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“Me ne frego” bis in faccia alla Cgil

Difficile essere più chiari, specie per un premier abituato a usare parole generiche per nascondere quel che vuol fare davvero.

Muovendosi secondo le vecchie cadenze della “concertazione” i tre sindacati un tempo riconosciuti come detentori di un “ruolo politico” si erano presentati speranzosi all’incontro con alcuni ministri di peso (Padoan, Poletti, il vice premier Delrio). Cercavano una riedizione dell’antica prassi per cui il sindacato – specie all’indomani di una manifestazione numericamente significativa – si presentava a Palazzo Chigi con un cahiers de doleance che andava preso in serissima considerazione dal governo, sotto forma di emendamenti, retromarce, smussamenti dei progetti di legge in discussione.

Già il luogo dell’appuntamento, però, deponeva male: il ministero del lavoro, anziché la presidenza del Consiglio. L’assenza di Renzi chiariva ancor meglio che quello, per il governo, era un incontro “secondario”, dove non si decideva nulla. L’andamento dell’incontro e la verifica dell’impossibilità per i ministri presenti di prendere qualsiasi “impegno” confermava che una fase storica era questa volta definitivamente e davvero chiusa. Il “surreale” con cui Susanna Camusso ha inquadrato la situazione al tavolo era la presa d’atto che nulla funzionava più come prima, ma che ancora non lo si voleva accettare. Questa è la nuova realtà: il sindacato, politicamente, non conta più nulla.

La spataffiata di Renzi, ospite della trasmissone di Lilli Gruber, metteva la lapide definitiva sulla questione. Partendo addirittura da una formulazione formalmente corretta: “le leggi le fa il Parlamento e il governo non deve trattarle preventivamente con i sindacati”. Quarant’anni di “ruolo politico surrogato” – viste le deficienze progressive del Pci, poi Pds, poi Pd, nel rappresentare politicamente gli interessi del lavoro diendente – spazzati via in poche battute.

Certo, è facile far notare che questo Parlamento di leggi non ha fatta mezza; si è limitato a votare la fiducia sulle decisioni del governo, anche quando – come nel caso del jobs act al Senato – il testo era solo una scatola vuota, fatta di titoli ma senza i contenuti. Ma la nuova situazione – solo in parte anticipata nei burrascosi trascorsi con i governi berlusconiani – è che il sindacato (sia chiaro: qualunque sindacato, complice, corporativo o conflittuale che sia) “tratta con le  aziende, non con il governo”. Se hanno delle proposte le presentino, naturalmente; così come fanno Confindustria e altri. Starà poi al governo vedere quali di queste proposte sono compatibili con il “disegno organico” che sta perseguendo.

Non ci soffermeremo qui sulla qualità di questo “disegno” – lo facciamo in molti altri articoli – perché il tema è il ruolo futuro del sindacato in questo paese. E nell’Unione Europea guidata dagli interessi dei “mercati”.

Ora la palla è tutta nel campo sconquassato dei “complici”. La Cgil medita lo sciopero generale, ma aspetta “ulteriori risposte” dal governo alle sue proposte; come se i “me ne frego” quotidiani che arrivano da Renzi non fossero già delle risposte anche di merito. Cisl e Uil non ci pensano neanche, accucciandosi ai piedi del nuovo potere e pronte anche a ridimensionarsi (fra calo degli iscritti e tagli a Caf e patronati) pur di restare in qualche misura “utili”.

In ogni caso è finita un’epoca. Ripristinare la condizione precedente, semplicemente, non è possibile. Neanche con uno sciopero generale vero e a oltranza. Ma non è certo questa Cgil che si può porre obiettivi in qualche misura all’altezza della sfida reazionaria renziana…

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