Chi ci aveva detto “esagerati” quando abbiamo sintetizzato come “dovete morire prima” il complesso delle politiche economiche decise dall’Unione Europea – e realizzate almeno in parte dai governi nazionali degli ultimi due decenni – ora dovrebbe fare almeno un po’ di autocritica. Roba da comunisti vecchio stile? Può darsi, ma il “dovete morire” vale anche per voi, quindi meglio sarebbe almeno aprire gli occhi.
Il rapporto Svimez presentato stamattina spiega alla grande il perché i governi vorrebbero chiudere centri di ricerca così attenti ai dati reali e non alle dichiarazioni del ministro o del premier di turno. Dice infatti una cosa molto chiara: nel Mezzogiorno d’Italia, per il secondo anno consecutivo, il numero dei morti supera quello delle nascite”. Quindi il programma europeo sta funzionando nel migliore dei modi. Per il resto d’Italia, ancora tenacemente attaccato alla vita, si stanno attrezzando (a partire dal jobs act per finire con i tagli alla sanità).
Leggiamo:
Al Sud ancora più morti che nati, per il secondo anno consecutivo – In base alle elaborazioni dei dati del censimento 2011 ora allineati alle anagrafi emerge che il decennio appena trascorso ha rappresentato un momento straordinario nella crescita del Paese. Dal 2001 al 2011 la popolazione è cresciuta del 4,2 per mille, ma soprattutto al Centro-Nord (6,3 per mille contro lo 0,4 del Mezzogiorno), un livello che non si registrava dagli anni Settanta. Il Mezzogiorno ha però perso il tradizionale ruolo di bacino di crescita dell’Italia: si conferma anche nel 2013 il fenomeno già emerso nel Rapporto SVIMEZ dello scorso anno, secondo cui al Sud i morti hanno superato i nati: un risultato negativo che si era verificato solo nel 1867 e nel 1918. Anzi: nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177mila, il valore più basso mai registrato dal 1861. Pericolo da cui il Centro-Nord finora appare immune: con i suoi 388mila nuovi nati nel 2013 pare lontano dal suo minimo storico di 288mila unità toccato nel 1987. Il Sud sarà quindi interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%.
Ci sono solo due precedenti storici: il 1867 e il 1918, dice lo Svimez. Ma allora si erano verificate circostanze eccezionali, come ondate migratorie, carestie, guerra mondiale (difficile far figli, se gli uomini in età feconda sono stati mandati in massa – da quattro anni – a morire al fronte).
Oggi è invece la normalità, l’andamento “naturale” preparato da una crisi economica gestita da criminali, con misure “pro cicliche” come quelle chiamate di “austerità”, che sommano danno al danno, perdita a perdita, miseria a impoverimento. Per il mezzogiorno, dunque, sta montando lo “tsunami” più spaventoso che abbia mai attraversato questo paese. Neanche durante la seconda guerra mondiale, con tedeschi in arretrata e americani in avanzata, tra uomini al fronte, bombardamenti sulle città, rappresaglie e attentati, si era verificata una caduta di queste dimensioni. Altro che “dare un futuro” a questo paese… Qui si sta azzerando ogni prospettiva.
Al centro di tutto c’è ovviamente la in-disponibilità di posti di lavoro:
Il mercato del lavoro italiano continua comunque a deteriorarsi: ancora nel secondo trimestre 2014 il Sud ha perso 170mila posti di lavoro rispetto all’anno precedente, contro -41mila nel Centro-Nord. A fronte di una quota di occupati pari a circa un quarto dell’occupazione complessiva, tra il secondo trimestre del 2013 e il secondo trimestre del 2014 l’80% delle perdite di posti di lavoro in Italia si è concentrata al Sud.
L’insieme di persone in cerca di occupazione e le forze lavoro potenziali arrivano nel primo trimestre 2014 a quasi 7 milioni di persone, di cui 3,7 nel Mezzogiorno, dando il senso della drammaticità della crisi. In crescita anche il tasso di “mancata partecipazione”, che raccoglie sia disoccupati che inattivi disponibili a lavorare: rispetto a una media dell’Ue a 28 del 13,9%, il Sud registra un valore tre volte superiore, pari al 36,6%.
170mila posti di lavoro persi tra aprile e giugno di quest’anno, in pieno “entusiasmo” per la svolta impressa al paese dal sorgere del nuovo astro politico e in piena trance elettorale che gli ha concesso il 40,8% dei consensi. E la tendenza peggiora ancora, pare, nel terzo. L’anno prossimo, “grazie” alle misure comprese nella nuova legge di stabilità, si potrà misurare un effetto ancora superiore. Se alla amncanza di posti di lavoro, infatti, si aggiungono i tagli alla spesa sanitaria, il “programma europeo” non potrà che fare dei giganteschi passi in avanti….
La sintesi dello studio Svimez:
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