Tra i provvedimenti centrali della Legge di Stabilità c’è la dismissione e la vendita di molti immobili del patrimonio pubblico. Una manna per chi ha capitali da spendere, anzi, da “investire” come dicono i corifei del libero mercato. In realtà sul patrimonio immobiliare pubblico e privato delle città italiane già da tempo è in corso uno speculare processo di svendita e shopping da parte di società straniere. Secondo quanto riporta oggi il Sole 24 Ore, “l’Italia è sempre più nel mirino degli investitori stranieri. Fondi medio orientali, investitori asiatici, ma anche capitali privati in arrivo da oltre frontiera sono a caccia di occasioni di acquisto nel real estate “commercial” – non residenziale quindi – del nostro Paese”.
Nei primi sei mesi del 2013, il 90% dei 760 milioni di euro di compravendite di immobili concluse, hanno visto la predominanza di capitali esteri.
Il quotidiano della Confindustria cita un recente report di Cbre sull’andamento del mercato immobiliare a Milano, che insieme a Roma, sono le due città più ricercate. Secondo il rapporto dal 2007 al primo semestre del 2013, nella metropoli milanese ci sono stati 1,5 miliardi di euro di investimenti provenienti da società extraeuropee (in questo caso gli “extracomunitari non suscitano allarme né polemiche), mentre gli investimenti provenienti da società europea ammontano a 1,4 miliardi di euro. Entro il 2013 almeno i due terzi delle transazioni avrà coinvolto operatori stranieri, dice Alessandro Mazzanti, chief executive di Cbre in Italia.
Tra gli acquisti di immobili in corso a Milano, si segnala quello del fondo di investimenti Blackstone, in trattativa per la sede del Corriere della Sera in via Solferino e neo-proprietario del Franciacorta outlet village. Ma – secondo il Sole 24 Ore – il gruppo starebbe anche guardando il portafoglio italiano di proprietà del fondo aperto tedesco Degi International messo in vendita e che include un centro commerciale a Brindisi, uno a Carpi e il factory outlet Valdichiana). C’è poi la Morgan Stanley, che ha realizzato un fondo con le proprietà di Auchan nel nostro Paese, un’operazione che vale poco più di 600 milioni di euro. A Milano il colosso assicurativo-finanziario AXA real estate ha acquistato parte del Bodio center, complesso direzionale da 65mila metri quadrati (24mila metri quadrati, oltre a 4mila metri quadrati di spazi retail sono quelli acquistati da Axa) con una transazione di 63,9 milioni di euro. Si è trattato della maggiore acquisizione di Axa in Italia dal 2010. E’ facile prevedere che con l’operazione dell’Expo 2015, soprattutto quando saranno finiti i giochi, spenti i riflettori e tutte le strutture resteranno sul groppone della collettività, comincerà una ulteriore corsa all’acquisizione di immobili che in molti casi verranno svenduti perché altrimenti inutilizzabili. Anche in questo caso è probabile che il capitale investito sia di società straniere che compreranno a prezzo di saldo quello che le casse pubbliche hanno pagato profumatamente.
Su Roma incombe invece l’ipoteca delle società e delle multinazionali straniere che da alcuni si riuniscono nella Capitale nell’ambito dell’Ibac (International Business Advisory Council) in stretta connessione con le amministrazioni comunali. L’ultima riunione tenutasi a Roma non a caso ha ritenuto di dover replicare l’iniziativa a Milano proprio alla vigilia delle “occasioni” offerte dall’Expo 2015. Nella Capitale lo shopping è iniziato da tempo, incentivato e incentivante allo stesso tempo degli alti prezzi degli immobili. Una dimensione meramente speculativa che rappresenta la storia e la dannazione della Capitale. E’ fin troppo facile immaginare che con l’ondata di dismissioni del patrimonio pubblico messa in agenda dal governo (ma anche dal nuovo Sindaco Marino) questa impronta speculativa nel settore immobiliare non potrà che schizzare, perpetuando così la dannazione della rendita fondiaria su Roma. Proveranno a consolarci sostenendo che questi sono i famosi “investimenti esteri” in Italia. Il problema rimane sempre quello della natura e degli effetti di questi investimenti. Se sono speculativi e non produttivi, gli interessi collettivi non solo non ne beneficeranno ma ne saranno danneggiati.
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