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La bufala del Jobs Act, numero dopo numero

Un fluviale soliloquio di Facebook per dire che tutto va bene, che abolirà Equitalia, che ridurrà le tasse (anche se ha dovuto ammettere che nessuno si è accorto del fatto che le aveva già tagliate…), e via promettendo.

Ma è sugli effetti del Jobs Act che Renzi ha sparato più frottole del solito:

“Il dato è che nel giro di due anni abbiamo recuperato 400mila posti di lavoro. Potevamo far di più.
Ma intanto abbiamo ridotto la caduta e ripreso la salita. Oggi nei dati trimestrali le assunzioni in più, il saldo positivo, è meno grande dello scorso anno. Non è che sta diminuendo l’occupazione: la crescita prosegue ma siccome gli incentivi sono stati ridotti continua a un ritmo meno forte. Diranno che rallenta l’occupazione ma la crescita continua anche se con incentivi più bassi va meno veloce”.

“A breve entriamo sul merito delle clamorose balle che in tanti oggi hanno scritto sul lavoro: sono tecnicamente clamorose balle, l’hashtag è quello”.

Non ci è tornato sopra, quindi “a breve” dovrebbe voler dire “quando ci sarà un numero da poter enfatizzare”. Per ora, invece, i numeri (dai Inps, nulla di sovversivo o gufesco) gli danno clamorosamente torto.

Qui di seguito l’analisi della statistica Marta Fana, su il manifesto di oggi, che smonta pezzo pezzo tutta la messaggistica ottimistica di un premier in affanno.

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La primavera del lavoro non si vede

Occupazione. I fatti testardamente confliggono con l’atteggiamento del governo, sempre più convinto della necessità di maggiore flessibilità e dell’esigenza di correttivi ancillari, come nel caso dei voucher

A marzo, l’Osservatorio sul precariato dell’Inps registra il terzo calo consecutivo per i contratti a tempo indeterminato. Dopo la corsa agli incentivi, le imprese sembrano non trovare nessuna ragione valida per continuare ad assumere con il nuovo contratto a tempo indeterminato, quello a «tutele crescenti». A marzo i dati dell’Istituto di Previdenza indicano una riduzione dei contratti indeterminati di -15.533 unità. Nel complesso il primo trimestre di quest’anno rimane indietro non soltanto rispetto al 2015, quando iniziavano gli sgravi totali sul costo del lavoro e poi a marzo il Jobs Act, ma anche rispetto al 2014, quando le riforme del mercato del lavoro e gli sgravi erano solo una promessa, tristemente realizzata nei mesi successivi. Una dinamica simile caratterizza anche l’andamento delle trasformazioni dei contratti a termine in tutele crescenti, che sebbene positive, rimangono inferiori rispetto ai livelli dei due anni precedenti (circa 30.000 in meno rispetto ai primi tre mesi del 2014). Per cambiare il verso a questa serie di dati poco lungimiranti nei confronti delle politiche del governo, bisogna guadare ai contratti a termine, che continuano ad aumentare sia in termini assoluti sia rispetto agli stessi mesi dei due anni appena trascorsi. I nuovi rapporti di lavoro a termine sono oltre 73.000 solo nel mese di marzo, oltre 272 mila nel primo trimestre del 2016. Protagonisti indiscusso del mercato del lavoro italiano rimangono invece i voucher: sono 31.472.305 i buoni lavoro venduti tra gennaio e marzo di quest’anno, il 31% in più rispetto al primo trimestre 2015.

Oltre ai numeri, il quadro fornito dall’Inps conferma ancora una volta lo scivolamento dell’occupazione italiana verso settori a bassa produttività e scarso margine di investimenti: i nuovi contratti a tempo indeterminato si concentrano nel settore della ristorazione e del turismo, della vendita al dettaglio. La distribuzione anagrafica dei nuovi contratti sia indeterminati che a termine mostra la scarsa inclusione dei giovani, che sempre più spesso scivolano dal precariato tradizionale, così come è stato conosciuto fino a pochi anni fa, al lavoro pagato con i voucher, senza diritti.

Un dato non negativo di questi tre mesi è l’andamento delle retribuzioni lorde. Se è vero che in Italia le retribuzioni sono schiacciate sui valori molto bassi, intorno ai 1.700 euro lordi, è vero che nel 2016 il loro valore marginalmente aumenta. Un’evidenza che induce a riflettere sulle strategie di assunzione avvenute nel 2015, che pur beneficiando dei ingenti sgravi non hanno comportato nessuna distribuzione del risparmio sul costo del lavoro tra imprese e lavoratori. Un ragionamento simile vale anche per la quota di part-time all’interno dei contratti a tempo indeterminato (o stabilmente precari), che si riduce del 2% rispetto al 2015.

Della primavera del lavoro nessun segno, i fatti testardamente confliggono con l’atteggiamento del governo sempre più convinto della necessità di maggiore flessibilità e dell’esigenza di correttivi ancillari, come nel caso dei voucher. È così che davanti al dilagare del lavoro povero e destrutturato, incentivato dalla costante liberalizzazione di strumenti come i buoni lavoro, il governo si nasconde dietro al rischio di lavoro nero, irregolare, proponendo di introdurre la tracciabilità dei voucher contro gli abusi. Verrà in definitiva compiuta la regolarizzazione di un’ingiustizia: quella del lavoro a voucher che non è altro che uno strumento per fare dumping sul costo del lavoro, a discapito delle imprese che investono nella buona occupazione. Inoltre, il peggioramento delle condizioni lavorative, e più in generale di vita, di fasce sempre più ampie della popolazione, tra cui soprattutto i giovani, sarà domani usato come grimaldello per fomentare lo scontro generazionale, sottraendo la politica e i suoi interessi particolari dalle proprie responsabilità.

Il ribaltamento delle riforme del lavoro – ma non solo – degli ultimi vent’anni, a fronte di quasi tre milioni di disoccupati, il peggioramento delle condizioni di vita e del sistema economico nel suo complesso, rimane la priorità di qualsiasi governo.

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