Se persino gli analisti economici si interrogano – sul serio – sulla data del referedum sulla riforma contro-costituzionale Renzi-Boschi, vuol dire che questo snodo ha valenze davvero sistemiche che sfuggono al più trito dibattito in politichese.
Del resto, dopo i trattati europei e gli obblighi lì previsti, “la politica” in senso stretto non ha più spazio vitale. “il programma” viene scritto a Bruxelles e Francoforte (e Berlino), ai politici non resta che interpretare creativamente la parte e intrattenere il pubblico con strabilianti cazzate o provvedimenti che non tocchino nemmeno marginalmente le politiche economiche.
In ogni caso: quando si farà l’annunciato “referendum di ottobre”?
Inizialmente tutto lasciava pensare al 16, in modo da rispettare con un minimo di decenza i tempi istituzionalmente previsti e fare una campagna elettorale presentabile come regolare (insomma: mica si possono convocare i comizi o i dibattiti in pieno agosto…).
I primi dubbi sono però sorti quando si è appresa la data dell’esame che la Corte Costituzionale deve condurre sulla legge elettorale chiamata, chissà perché, Italicum. Il 4 ottobre la Consulta comincerà a studiare i sei rilievi di incostituzionalità ammessi (sui 13 presentati):
– il “vulnus al principio di rappresentanza territoriale”;
– il “vulnus al principio di rappresentanza democratico”, visto l’abnorme premio di maggioranza;
– la “mancanza di soglia minima per accedere al ballottaggio” (potrebbe “vincere” un partito votato da una infima minoranza degli aventi diritto);
– la “impossibilità di scegliere direttamente e liberamente i deputati”, questione legata ai capilista da eleggere comunque, a prescindere dalle preferenze;
– le “irragionevoli soglie di accesso al Senato residuate dal Porcellum” (già bocciato dalla Consulta);
– la “irragionevole applicazione della nuova normativa limitata solo alla Camera dei deputati, a Costituzione invariata”, e non al Senato.
La sentenza potrebbe dunque ragionevolmente cadere proprio prima di domenica 16 ottobre. E sarebbe un disastro supplementare, per le ambizioni renziane, arrivare al voto sulle riforme costituzionali sull’onda di una bocciatura della legge elettorale per manifesta incostituzionalità. Oltre tutto, in caso di doppia bocciatura – dell’Italicum per sentenza e delle “riforme” per voto popolare – si verificherebbe la pericolosa situazione di un governo obbligatoriamente dimissionario ma in assenza di una legge elettorale (si dovrebbe andare al voto con il Mattarellum, e allora auguri, vista la polverizzazione politica attuale, tra poli che si sfasciano dicendo di volersi federare).
Bisogna però dire che il governo – in teoria il Parlamento, se non fosse fatto di nominati dai capi partito – ha cercato di porre riparo a questa eventualità con la sostituzione di ben tre membri della Consulta (per raggiunti limiti di mandato): uno indicato dal Movimento 5 Stelle e due dalla maggioranza renziana. È noto però che le sentenze più sfavorevoli al governo erano state pronunciate a stretta maggioranza, in Corte Costituzionale, dunque le nuove nomine dovrebbero aver prodotto una maggioranza diversa e più “collaborativa”. Ma in una materia così delicata, mai dire mai…
Non è però l’unica scadenza ottobrina che stride con il voto referendario. E l’ha fatto notare stamattina Federico Fubini, analista economico del Corriere della sera.
Sabato 15 ottobre sarà anche il giorno entro il quale il governo deve mandare a Bruxelles una proposta approvata di legge di bilancio che, per la prima volta da tre anni, imprime una (lieve) stretta all’economia. Naturalmente, dovrebbe farlo solo se davvero volesse rispettare i patti con la Commissione Ue firmati in settimana dal ministro Pier Carlo Padoan allo scopo di evitare una procedura europea contro l’Italia. Da ieri per il governo di Matteo Renzi esiste dunque un conflitto di calendario. […] Il premier capisce perfettamente il rischio di andare al referendum subito dopo aver varato tagli o tasse per correggere i conti dello Stato di (almeno) 10 miliardi di euro. Qualcosa, da qualche parte, deve cambiare: o Renzi anticipa il referendum di almeno una o due settimane, oppure decide di sfidare ancora una volta la Commissione Ue e rischiare la stessa sanzione sui conti che proprio ieri ha faticosamente scongiurato.
In effetti, mandare alle urne milioni di cittadini magari incerti sui quesiti costituzionali, ma assolutamente sicuri che quella di fine anno sarà una “finanziaria” lacrime e sangue, potrebbe fare del 16 ottobre un #RenziVaffaDay di proporzioni ciclopiche.
Dunque si apre la strada per un anticipo della data referendaria. Il 2 ottobre, se non addirittura il 25 settembre. A ottembre, insomma.
Certo, la regolarità della campagna elettorale sarebbe alquanto compromessa. Cero, in molti farebbero notare la fetenzia opportunistica di una data che precede di poche ore notizie pessime per la popolarità residua di un governo in affanno. Ma che volete che sia, per degli “innovatori” che sembrano allevati secondo i comandamenti di mister Starace?
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