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Renzi è ora più debole, e si vede da Franceschini

Si chiama Matteo Renzi il più grande e urgente problema dell’Unione Europea; ed anche della Germania di Schaeuble. Fin qui la sua azione è stata fondamentale per l’imposizione del modello sociale e istituzionale che l’ordoliberismo predilige: mercato del lavoro senza difese e certezze per i dipendenti, istituzioni al riparo dalla volontà popolare, massimo potere alle imprese, massimo favore per i capitali esteri, politica economica mercantilista.

Ma il ragazzo non ha già più fiato. I prossimi passaggi – a cominciare dal referendum sulla sua controriforma costituzionale – sono ora vissuti come un rischio fortissimo. L’Italia è, dopo il voto sulla Brexit, un elemento imprevisto di instabilità che si aggiunge alla Spagna, all’Austria, all’Olanda e altri minori.

Il ragazzo non ha più fiato e la muta dei pretendenti al trono, dentro e fuori il Pd, sente l’odore della sua paura, e comincia a girare intorno al sovrano in difficoltà. E lui non riesce neppure a dissimulare questo disagio sotto il solito fluviale bla bla che ormai addormenta anche i suoi supporters.

Invece di mostrarsi saldo in sella, comincia già a distribuire minacce esplicite alle sue stesse truppe: “Parlo anche ai renziani del primo e dell’ultimo minuto, a chi sale e a chi scende dal carro. Non c’è garanzia per nessuno in questo partito, a cominciare da me. Girate, fate iniziative, visitate le aziende, fateli i tavolini. State in mezzo alla gente o io e voi non abbiamo futuro”. La precarietà diffusa a piene mani tra la popolazione che lavora cembra si riverberi ora anche sui piani alti del Palazzo.

E prima che il gallo avesse voglia di cantare, già un professionista del galleggiamento come Enrico Franceschini si incaricava di dar corpo al prototipo del “renziano che sale e scende dal carro del vincitore”. Lo ha fatto “aprendo” – come si usa dire – a una modifica della legge elettorale, con la proposta di spostare l’abnorme premio di maggioranza dalla lista (lo stesso Pd, nelle speranze di un anno e mezzo fa) alla “coalizione”, in modo “da prendere qualcosa sul centro (Verdini, ndr) e qualcosa sulla sinistra (Sel o quel che ne resta, ndr).

Il voto delle amministrative, nella corte renziana, ha colpito duro. Molti che popolano la direzione del Pd si sono resi conto che, se alle ormai prossime elezioni politiche dovessero vincere i grillini, per molti di loro la carriera da parlamentare sarebbe già finita. E sui territori nessuno ha uno straccio di base sociale sufficiente a garantirgli una poltrona da amministratore.

Ottobre sembra dunque il mese di tutti i redde rationem. “Se il referendum passa la classe politica dà un segnale, la più bella pagina di autoriforma in Occidente”, ha spiegato ancora una volta Renzi. In quel caso la classe politica “sarà più in grado di guidare e cambiare il Paese. Si chiude la stagione delle riforme e si apre la stagione del futuro”. Ovvero dalla fase dello scasso costituzionale alla gestione senza freni del potere delegato da Bruxelles e dal sistema delle imprese.

Una ragione in più, se ne servissero altre, per schiantarlo sotto una valanga di NO.

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