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Il Bangladesh italiano, tra buoni pasto e voucher al posto del salario

L'”Italia che riparte” – come cinguetta quotidianamente il Contafrottole – è questa roba qui. Gente disperata disposta a lavorare a qualsiasi condizione pur di mangiare, pagata con buoni pasto o con voucher. E non solo da “imprese marginali” – basr, trattorie, ecc – ma anche da grandi multinazionali della distribuzione. Come la francese Carrefour. Senza contributi, senza assicurazione, senza niente che non sia il puro baratto: lavoro contro cibo, senza neanche la mediazione del denaro.

Due denunce da prendere subito come esempio vivente di cosa sia diventato lo sfruttamento de lavoro nell’Italia renziana e di Confindustria, il paese che cerca di diventare “competitivo” con i salari del Bangladesh…

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L’ultima frontiera del lavoro, i precari pagati con i buoni pasto

Finora utilizzati per pagare i lavoratori al nero soprattutto nei pubblici esercizi a carattere stagionale. Il fenomeno è emerso con le prime vertenze sindacali. Coinvolti spesso cinquantenni che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali

di Ilaria Bonuccelli

Ai camerieri ancora non ci sono arrivati. Per ora, i buoni pasto i datori di lavoro li usano per pagare i lavapiatti, gli sguatteri di cucina, chi si occupa di pulire. Una scodella di minestra – o poco più – in cambio di un’ora di lavoro. Eccola qui l’ultima frontiera della disperazione. Del precariato che supera se stesso. Del lavoro nero che baratta la paga in denaro con il cibo. Proprio ieri a Firenze, è stata conciliata una delle prime vertenze. In Toscana sono una decina in tutto in questo momento. Il fenomeno, però – ammette la Cgil – è molto più ampio. Almeno tre volte più grande di quello che appare. Farlo emergere non è facile, perché chi lo subisce è disperato. Ha bisogno di lavorare per mangiare. A volte sono ragazzi, giovanissimi. Ma, molto più spesso, sono ultra 55enni disoccupati di lungo corso, che hanno esaurito tutti gli ammortizzatori sociali.

PAGA MINIMA 5,29 EURO

Non hanno più cassa integrazione, non hanno sostegni di alcun tipo. E la preoccupazione – spiega Luana Del Bino, responsabile regionale dell’ufficio vertenze della Cgil – è di mangiare tutti i giorni. Di arrivare a sera e mettere qualche cosa in tavola. Per sé e magari anche per la famiglia. E, quindi, vanno bene pure i buoni pasto per la spesa, invece dei soldi. Ai datori di lavoro – denuncia la Cgil – di sicuro: spendono poco, meno perfino che con i voucher (i buoni lavoro), visto che il taglio minimo dei buoni pasto cartacei è di 5,29 euro, mentre il voucher vale 10 euro l’ora e garantisce un salario netto di 7,50 euro al lavoratore. Inoltre, con questo sistema i datori pagano solo a nero e possono perfino scaricare dalle tasse quello che spendono per comprare i buoni pasto che esistono di vario taglio: fino a 12 euro, anche se quelli che vanno per la maggiore sembrano quelli intorno a 10 euro. Sembra incredibile, eppure è così. Anche in Toscana.

FENOMENO DEL COMMERCIO

Le prime segnalazioni – esordisce Luana Del Bino – arrivano al sindacato, dalla zona di Firenze, a dicembre, sotto le feste di Natale, in periodo di saldi. «Il settore più colpito, infatti, è il commercio. Il terziario. Più che i negozi, in realtà, parliamo di pubblici esercizi. Bar, ristoranti: in generale di locali che esercitano attività stagionale, magari nei centri storici e che non hanno molti dipendenti. I pubblici esercizi più strutturati, in effetti, anche per le assunzioni straordinarie ormai ricorrono ai “voucher”, i buoni lavoro da 10 euro l’ora che erano stati pensati per contrastare il lavoro nero». E che ora sono stati perfezionati: sono stati “personalizzati”: l’imprenditore che li acquista (dal tabaccaio o all’Inps) è obbligato a inserire il nominativo e il codice fiscale del lavoratore al quale li cede, per evitare il fenomeno dell’evasione che era esploso all’inizio dell’utilizzo dei buoni: «Molti imprenditori, infatti, quando i voucher erano anonimi – conferma Luana Del Bino – pagavano al lavoratore un solo buono da 10 euro e gli altri acquistati se li tenevano nel cassetto. Regolarizzavano il pagamento di un’ora di lavoro». Per il resto continuavano con il nero.

COSTO ZERO PER IL DATORE

Ora che questa pratica è diventata più complicata con i voucher – perché si deve comunicare a Inps e Ispettorato del Lavoro a chi si cedono – si inventa un altro sistema: il pagamento con i buoni pasto. «Qui abbiamo raggiunto, finora, il massimo dell’irregolarità – illustra Luana Del Bino – perché almeno i voucher contengono una quota (2,50 euro) destinati all’Inps, come contributi per la pensione e all’Inail per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro». Invece il pagamento con i buoni pasto è priva «di qualsiasi garanzia per il lavoratore. Del resto, il ticket nasce non per pagare il lavoro ma come benefit per le aziende che non sono dotate di mensa aziendale. È un beneficio che il datore di lavoro riconosce al dipendente, al pari di un cellulare, dell’auto aziendale o del computer». Proprio perché il buono pasto è un “bene di servizio”, la legge consente al datore di lavoro che lo acquista di dedurre per intero il costo sostenuto dal bilancio. «Grazie a questo sistema – attacca Luana Del Bino-i datori di lavoro possono continuare a pagare in nero i dipendenti utilizzando gli incassi non dichiarati. Ma con una trovata che li fa sentire più sicuri».

VERTENZE DA 2000 EURO

A meno che il lavoratore, esasperato, non denunci la situazione. Al momento, però, le vertenze aperte in Toscana sono solo una decina e per lo più concentrate nella zona di Firenze. «D’altronde – conferma la responsabile dell’ufficio vertenze della Cgil – spesso il fenomeno coinvolge persone espulse da anni dal mercato del lavoro: persone con più di di 55 anni che hanno esaurito tutti gli ammortizzatori sociali: non hanno più Naspi o cassa integrazione ma devono mangiare lo stesso». E quindi si accontentano «praticamente di una scodella di fagioli», dice la Cgil. Di un pagamento da niente. Per farle arrivare a una denuncia al sindacato, mettono nel conto di non tornare più a lavorare nel locale o nell’azienda che segnalano. «In più – spiega la sindacalista – c’è da considerare che parliamo di vertenze da poche migliaia di euro, non di cause con risarcimenti che ti cambiano la vita». Anche quando, grazie alla collaborazione con l’Ispettorato del Lavoro, sia possibile «dimostrare che per alcuni mesi, ci sia stato lavoro subordinato pagato con i buoni pasto, gli importi della vertenza oscillano fra i 1000 e i 2500 euro. Soprattutto se la questione si conclude con una conciliazione. Proprio ieri a Firenze abbiamo firmato un verbale di accordo, ma la conciliazione comporta che anche il dipendente rinunci a una parte di quello che gli spetterebbe». Questo è il “prezzo” da pagare per chiudere la vertenza in tempi brevi: magari anche entro 15 giorni dalla segnalazione, dice Luana Del Bino «perché se andiamo davanti a un giudice, ci vuole un anno o due prima di arrivare alla sentenza. E nel frattempo il lavoratore non solo deve provare a trovarsi un’altra occupazione, ma deve anche mangiare».

EVASIONE DEPENALIZZATA

Il datore di lavoro, invece, se la cava «senza troppi danni. Infatti – ricorda la sindacalista – anche la denuncia per l’evasione contributiva (per non aver pagato i contributi al dipendente) si chiude con il pagamento di una multa. Di recente il reato è stato pure depenalizzato, così si mette anche meno scrupoli a commetterlo».

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Carrefour di Massa, lo stipendio è in voucher

Il preavviso con una lettera dell’azienda ai lavoratori interinali, il sindacato insorge

di Melania Carnevali

MASSA. «Caro lavoratore, ecco come fare a riscuotere i tuoi voucher. Registrati all’Inps, poi alle Poste e infine riscuoti». Una lettera, quella ricevuta nei giorni scorsi da alcuni lavoratori interinali di Carrefour, inviata direttamente dalla società. Oggi scade infatti il loro contratto e l’ipotesi – che però è più di una possibilità – è che da domani la forma dell’organizzazione del lavoro all’interno del punto vendita massese cambi, almeno per gli interinali: non più contratti a termine ma voucher. Tradotto: basta ferie, malattia o disoccupazione. E peggio ancora: basta maggiorazioni per il lavoro notturno o per i festivi. Proprio loro che invece lavorano solo di notte e durante le feste, in sostituzione dei dipendenti Carrefour.

Gli interinali verranno pagati a ore, 10 euro lordi, 7,50 euro netti (la differenza di 2,50 euro viene in parte versata all’Inps come contributo per il lavoratore e in parte all’Inail come assicurazione contro gli infortuni). Che lavorino di notte o di giorno, a Ferragosto o lunedì mattina. E punto. Carrefour non conferma e non smentisce. «Sono informazioni che non vi possiamo dare», dice il responsabile delle risorse umane, Paolo Nadilin. Che aggiunge solo «alcuni lavoratori hanno ricevuto alcune lettere, altri lavoratori altre lettere».

Non è chiaro quanti lavoratori siano coinvolti: forse una ventina, ma potrebbero essere di più. Oggi parleranno con la Manpower (l’agenzia del lavoro interinale) per capire che ne sarà di loro, ma il futuro sembra tracciato. Ne è convinto Francesco Vannucci, segretario provinciale della Ugl Terziario, che, con l’avvocato del sindacato, è già pronto ad aprire vertenze. Secondo la Ugl Terziario, infatti, non è legittimo pagare con i voucher gli interinali che lavorano all’interno del Carrefour. «I buoni lavoro – spiega Vannucci – devono essere utilizzati per il pagamento delle attività occasionali e accessorie, come ad esempio l’agricoltura. E non è questo il caso. I lavoratori interinali, che vengono impiegati perlopiù nelle casse, sostituiscono i dipendenti Carrefour tutte le notti, nelle festività e le domeniche. E non è quindi lavoro occasionale». Ma il punto è anche un altro. Nell’accordo sul contratto di solidarietà sottoscritto da sindacati (esclusa la Ugl Terziario) e Carrefour «precisamente al punto 16», dice Vannucci, «è previsto che si possa utilizzare anche il lavoro interinale per la sostituzione dei dipendenti (in caso appunto di turni notturni non coperti o festività), ma purché sia lavoro somministrato». Ossia con contratto a tempo determinato. Se così fosse, se cioè l’accordo sottoscritto non prevede l’utilizzo di voucher – Il Tirreno non ha potuto leggerlo – allora, secondo l’avvocato Claudio Lalli, uno dei massimo esperti nel territorio di diritto del lavoro,«si aprirebbero numerose vertenze sindacali per farlo rispettare», l’accordo.

 

Entrabi gli articoli sono tratti da http://iltirreno.gelocal.it/

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