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Nuove lotte operaie nel mondo del lavoro che cambia (3° Puntata di Equilibrio Precario)

Per sentire il podcast della trasmissione di Radio Città Aperta, clicca qui

Dopo esserci occupati di scuole superiori e di università, in questa terza puntata della rubrica di approfondimento “Equilibrio Precario” ci occuperemo delle nuove lotte dei lavoratori nel mondo del lavoro che cambia, anche e soprattutto sotto la spinta del cambiamento tecnologico e della precarizzazione crescente.

La prima notizia interessante riguarda il mondo della cosiddetta “gig economy”, l’economia dei lavoretti (“gig” inglese) mediati da algoritmo che si sta diffondendo in misura crescente in tutto il mondo, Italia inclusa. La promessa di flessibilità offerta delle imprese della gig economy (dal servizio taxi offerto da Uber alla consegna di cibo a domicilio di Deliveroo e Foodora) per i propri lavoratori (chiamati con accattivanti nomi inglesi come “rider” o “driver”) può sembrare allettante. Una volta assunti si segnalano le proprie disponibilità tramite una app e un algoritmo provvede ad assegnare i turni in maniera efficiente. Peccato ben presto la patina di lavoro “trendy” e “smart” si sia dissolta, per lasciare spazio ad una realtà di lavoro a cottimo ultraprecario.

Non sorprende quindi che anche in questo settore siano sorte le prime proteste, specialmente nel settore della consegna cibo a domicilio. Hanno cominciato i fattorini di Deliveroo a Londra nell’estate del 2016, ma la protesta si è ben presto allargata ad altri paesi europei (qui una mappa delle proteste finora). In Italia le mobilitazioni sono cominciate nell’autunno dello stesso, con un primo sciopero a Torino organizzato dei fattorini dell’azienda tedesca Foodora, seguito poi da altre mobilitazioni a Milano che hanno coinvolto anche altre aziende come Deliveroo.

A più di un anno dalle prime proteste, le lotte dei nuovi fattorini non sembrano fermarsi e novembre 2017 i fattorini bolognesi della gig economy hanno deciso di scioperare, dopo che una nevicata aveva reso particolarmente pericolose le loro condizioni di lavoro (le consegne, infatti, si svolgono solitamente in bicicletta o in moto). I contratti di lavoro parasubordinato solitamente offerti da queste aziende non prevedono infatti coperture assicurative, tantomeno il pagamento della malattia. E proprio sull’illegittimità dell’applicare dei contratti di lavoro para-subordinati a lavoratori che sono di fatto dipendenti si sta giocando la partita al tribunale di Torino, dove alcuni ex fattorini di Foodora hanno portato in tribunale l’azienda per licenziamento illegittimo. Sarà interessante osservare se in futuro queste lotte sapranno allargarsi ad altri settori della gig economy (magari coinvolgendo qui lavoratori la cui intermediazione con l’azienda è esclusivamente online, come nel caso della piattaforma Amazon Mechanical Turk).

Un altro settore che negli ultimi anni è stato attraversato da numerose lotte dei lavoratori è quello della logistica. Nel regime di accumulazione flessibile che ha seguito il fordismo la velocità di circolazione delle merci è diventata particolarmente importante, e con essa la logistica. Non è un caso che una delle aziende più importanti al mondo oggi insieme a giganti IT come Microsoft, Google ed Apple sia proprio Amazon, il cui CEO Jeff Bezos si contende con Bill Gates la palma di uomo più ricco al mondo. Il successo di Amazon si basa su una micidiale combinazione di tecnologie avanzate per la gestione del processo produttivo e imposizione di ritmi di lavoro intensissimi ai propri lavoratori. Una serie di inchieste giornalistiche ha svelato i turni massacranti e le pressioni cui sono sottoposti i lavoratori per aumentare la performance. A questo si aggiunge un pesante clima antisindacale, con Amazon che sostiene (esattamente come le aziende della gig economy!) di credere in una relazione “diretta” fra lavoratori e management, senza l’intermediazione di “corpi intermedi” come il sindacato. E cosi’ perfino i sindacati generali sono arrivati alla proclamazione di uno sciopero il 24 Novembre -la giornata del “Black Friday” in cui l’azienda promuove prezzi scontatissimi con conseguente aumento della domanda e dei carichi di lavoro.

Contemporaneamente anche i sindacati in Germania hanno proclamato uno sciopero. Nonostante la solita guerra sulle adesioni (oltre il 50 per cento dei dipendenti secondo i sindacati, solo il 10 per cento a sentire ciò che dice l’azienda), inizialmente lo sciopero sembrava aver avuto un certo impatto sul management di Amazon, che si era detto disposto ad incontrare i sindacati. Peccato però che Amazon abbia disertato i successivi incontri previsti con i sindacati, portando alla proclamazione di un secondo sciopero al magazzino di Castel San Giovanni il 20 dicembre. Sarà certamente interessante vedere come si evolveranno le lotte in questo gigante della logistica, e se saranno in grado di connettersi con le tante altre vertenze del mondo della logistica, uno dei pochi settori ad aver visto un’alta conflittualità operaia grazie all’azione dei sindacati di base. Ne è un esempio lo sciopero di pochi giorni fa proclamato da USB contro il licenziamento di un delegato alla GLS di Crespellano (Bologna).

Chiudiamo infine con una notizia che riguarda la compagnia aerea irlandese low-cost Ryanair. Divenuta estremamente popolare grazie ai suoi biglietti a prezzi stracciati, anche il modello Ryanair si basa sulla compressione del costo del lavoro rispetto ai concorrenti. Una serie di denunce di lavoratori e lavoratrici in questi mesi hanno fatto infatti emergere come Ryanair utilizzi massicciamente agenzie di reclutamento per mantenere una forza lavoro flessibile e precaria, che si paga da se costosi corsi di formazione per accedere al lavoro, ha remunerazioni estremamente variabili (solo le ore di volo vengono retribuite) e addirittura viene minacciata di provvedimenti disciplinari se non vende abbastanza merendine o profumi a bordo.

Come le imprese citate in precedenza, anche Ryanair ha fatto di tutto per evitare la relazione con i sindacati, addirittura imbarcandosi in una costosa battaglia legale in Irlanda che l’ha vista ottenere un pronunciamento della corte suprema nel 2007 che ha sostanzialmente affossato una legge sul riconoscimento legale dei sindacati. Per anni è sembrato che Ryanair avesse ottenuto una vittoria totale al riguardo. La situazione però è cambiata nel corso dello scorso autunno, quando i piloti dell’azienda (la categoria con più potere contrattuale, perche’ difficilmente sostituibili) hanno iniziato ad organizzarsi a livello europeo, chiedendo all’azienda di riconoscere i sindacati, invece di utilizzare la contrattazione tramite degli organi creati dall’azienda stessa in ciascuna delle sue basi europee. L’azienda ha inizialmente rifiutato qualsiasi trattativa, portando alla proclamazione allo sciopero in prossimità del Natale in vari paesi europei (fra cui l’Italia). A quel punto, a fronte del rischio di dover erogare cospicui risarcimenti proprio in un periodo di massima domanda come quello natalizio, Ryanair ha ceduto, dicendosi pronta ad incontrare i sindacati dei piloti e degli assistenti di volo. Una vittoria storica per i lavoratori della compagnia low cost, anche se è ancora presto per capire che effetto avrà la decisione dell’azienda. Sembra comunque arrivato un punto di svolta, dopo anni di sconfitte e accettazione di un modello di relazioni industriali totalmente al ribasso.

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