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Quando i fascisti sparavano dal palco dei loro comizi

L’episodio accaduto ieri a Macerata con la sparatoria attuata da un dichiarato razzista che ha messo a ferro e fuoco il centro della cittadina marchigiana colpendo alcuni immigrati di colore, ha portato alla ribalta il clima d’odio che sta esacerbando questa bruttissima campagna elettorale, tutta incentrata sul personalismo e della concezione assoluta del potere.

Si è ceduto troppo, nel corso degli anni, allo smarrimento di una cultura politica fondata sui valori dell’antifascismo, della convivenza civile, della costituzione repubblicana.

Si è ceduto oltre misura all’idea del “né di destra, né di sinistra”, alla presunta obsolescenza dei valori della Resistenza, all’indifferenza, alla concessione dell’equidistanza tra i partigiani e i “ragazzi di Salò”.

Si è sdoganato tutto in fretta e soprattutto, con la proposta di deforma costituzionale per fortuna respinta il 4 dicembre 2016, si è aperta la strada all’idea della possibilità di modificare la Carta Costituzionale, quasi come se si trattasse di un fatto politico tra i tanti, una delle tante “modernizzazioni”.

Si è dimenticato il periodo delle stragi fasciste, da piazza della Fontana a quella della Loggia,  e si è dimenticato quando i fascisti sparavano dal palco dei loro comizi.

Colgo l’occasione allora, allo scopo di rinfrescare la memoria di tutti, per ricordare ancora una volta un episodio del 1976, a testimonianza di un clima di violenza fisica e morale che non può essere dimenticata per allora e che deve indurci, ancor oggi, al massimo di vigilanza democratica.

Non possiamo e non dobbiamo allentare la guardia, mollare la presa. Ieri la grande manifestazione di Genova lo ha dimostrato: mai come in questo momento l’antifascismo militante è fattore decisivo e dirimente per una possibile ripresa democratica.

Ecco il ricordo di quell’episodio, in apparenza lontano nel tempo, ma nella realtà molto vicino al dramma della nostra epoca (ogni accenno all’attualità sul piano della presenza di agenti del servizi intenti alla provocazione fascista è puramente casuale…):

Il 28 maggio del 1976, a Sezze Romano, cittadina in provincia di Latina, è previsto il comizio di Sandro Saccucci, importante esponente del Movimento Sociale Italiano. Ex paracadutista e sospettato di aver partecipato al tentato golpe orchestrato nel dicembre del 1970 dal principe Junio Valerio Borghese con l’aiuto di settori «deviati» di istituzioni e servizi segreti, il Saccucci giunge nel centro pontino con un manipolo di fedelissimi. La scelta della città è quanto mai provocatoria: Sezze è un centro tradizionalmente antifascista.

Intorno alle 19,30 un corteo di otto automobili entra in paese e si dirige verso piazza IV Novembre, dove è previsto il comizio. A bordo degli automezzi, tra gli altri, vi sono fascisti di dichiarata fede come Pietro Allatta, Angelo Pistolesi, Gabriele Pirone, Miro Renzaglia e Franco Anselmi. A rendere ancora più ambigua la comparsata neofascista è il curriculum politico di Saccucci: ex paracadutista e membro dell’ ufficio informazioni del corpo dei paracadutisti nell’ambito del tentato golpe organizzato nel dicembre 1970 ad opera del principe Junio Valerio Borghese.

Ad attendere Saccucci c’è una piazza gremita di antifascisti, dal movimento studentesco a Lotta Continua, fino ad arrivare alla Fgci. Il palco è presidiato da camerati armati di bastoni e pistole, mentre le forze dell’ordine, disinteressate da quanto sta accadendo, rimangono isolate ai lati della piazza. Non appena Saccucci accenna a parlare viene ricoperto da fischi e insulti, e quando tenta di ricondurre le stragi neofasciste di Stato alla sinistra extraparlamentare viene raggiunto dal lancio di bastoni, pietre e bottiglie.

«Non volete sentirmi con le buone, mi sentirete con questa»

Dopo aver pronunciato queste parole, l’ex parà estrae di tasca una pistola e comincia a sparare sulla folla. Seguono attimi di caos, mentre Saccucci ripara in auto e fugge via a tutta velocità per sottrarsi alla rabbia degli antifascisti; i manifestanti tentano di bloccare le vie d’uscita alle automobili, e per tutta risposta vengono esplosi tre colpi di pistola dall’auto di Saccucci. Antonio Spirito, studente-lavoratore militante di Lotta Continua viene colpito alla gamba sinistra, mentre Luigi Di Rosa, 21 anni, iscritto alla Fgci, viene colpito prima alla mano e poi al ventre, rimanendo ucciso.

Pochi giorni dopo vengono emanate le autorizzazioni a procedere per l’arresto di Pietro Allatta e Sandro Saccucci, “tempestivamente” espulsi dall’Msi del repubblichino Almirante soltanto due settimane dopo i fatti di Sezze Romano.

Il 13 giugno 1976 Saccucci viene arrestato a Londra e accompagnato alla frontiera francese per l’estradizione; la scarcerazione però, si legge in una rogatoria, avviene in tempi brevissimi e grazie agli interventi di don Sixto di Borbone, del prefetto di Parigi e di un tale Jacques Susini, amico di Stefano Delle Chiaie, altro personaggio controverso già coinvolto nella stage di Piazza Fontana e «collega» ai tempi del golpe Borghese. Saccucci troverà riparo in America latina, specialmente in Argentina, dove potrà contare su protezioni e aiuti anche a livello “pubblico”, e in Cile, dove alcune voci lo vogliono coinvolto nella gestione del regime fascista del generale Pinochet.

Pietro Allatta è stato riconosciuto colpevole di aver impugnato l’arma che ha colpito prima Spirito e poi Di Rosa, anche se le prove balistiche hanno dimostrato che Luigi ha ricevuto due colpi di calibro diverso, avvalorando la tesi secondo cui Saccucci sarebbe uno degli autori materiali dell’omicidio. Le indagini non hanno mai chiarito inoltre la presenza a Sezze di un ex maresciallo dei Carabinieri e agente del Sid, Francesco Troccia, indicato come colui che guidò i missini fuori dal paese, evitando che fossero bloccati dalla popolazione. 

La memoria di Luigi Di Rosa negli anni non è mai venuta meno, nonostante le assoluzioni e i depistaggi di Stato nei confronti degli autori della strage e i ripetuti attentati al monumento posto, ad un anno dal suo omicidio, in ricordo di tutte le vittime dell’antifascismo e culminato con la spregevole profanazione della sua tomba avvenuta nel 1978”.

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