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L’”emergenza migranti”

Non si parla d’altro, in questa strano inizio d’estate in Italia, dell’emergenza migranti. Vediamo, prima di proporre soluzioni, di descrivere semplicemente il fenomeno, scrivendo inizialmente – magari – cose ovvie. Ma riteniamo sia utile, forse non per i nostri lettori attuali, ma pensando a qualcuno che nel lontano futuro (ad esempio, nel 2019) si ritrovi a leggere questo articolo e, letteralmente, cerchi di spiegarsi cosa succedeva in Italia, e in Europa, in quel 2018. Useremo volutamente termini neutri, almeno inizialmente.

  1. La situazione

Centinaia, anzi migliaia di persone provenienti principalmente dalle coste settentrionali dell’Africa tentano di raggiungere il nostro territorio viaggiando nel Mediterraneo a bordo di barche quasi sempre troppo piccole e insufficienti. Si tratta di persone in stato di estrema indigenza, uomini, ma anche donne e bambini, intere famiglie, che hanno investito le loro poche risorse nel viaggio. Il loro viaggio è iniziato in realtà ben prima, partendo dai loro paesi di origine: paesi dove vi sono generalmente situazioni insostenibili con guerre, fame, violenza, o anche “soltanto” estrema povertà che minaccia la loro sopravvivenza. Non tutti arrivano ad imbarcarsi: molti periscono durante il viaggio, magari attraversando deserti o altre zone a rischio, mentre molti altri arrivano a vedere la costa sud del Mediterraneo molto provati dal viaggio. Quasi sempre, in nord Africa, si raccolgono, anzi, vengono raccolti, in campi di concentramento: è quest’ultimo un termine forse non troppo neutro, ricordando cosa ha vissuto l’Europa durante la seconda guerra mondiale, ma non riusciamo a trovarne uno che meglio si adatti alla situazione reale.

Poi partono. Spesso, questi natanti – condotti dai cosiddetti “scafisti” – naufragano in mare aperto, affondando o rischiando di farlo. Gli scafisti sono dei fuorilegge che lucrano sulla situazione di queste persone, pretendendo prezzi altissimi per la traversata, e trattando le persone che si affidano a loro con estrema disumanità. Il destino dei naufraghi può variare: possono essere soccorsi da mezzi della Marina mercantile, oppure della Marina militare, oppure da navi di organizzazioni non governative (ong) che conoscendo l’alta probabilità di questi naufragi, recuperano queste persone e le traggono in salvo. Oppure possono annegare o morire di ipotermia; il Mediterraneo è un mare diverso da come lo immaginiamo noi Europei dalle nostre spiagge, le sue acque d’inverno hanno temperature medie intorno ai 10-15 gradi a seconda ovviamente dei luoghi, mentre a giugno siamo intorno ai 20 gradi. In tali acque un essere umano in un tempo più o meno breve, muore.

Recuperati dalle navi che hanno prestato loro soccorso, oppure raramente con le imbarcazioni di partenza, arrivano nei porti dell’Europa meridionale: Spagna, Francia, Italia, Grecia. Nel caso non siano a bordo di mezzi della Marina militare, ma della Marina mercantile o delle ong, occorre che le autorità della nazione “ospitante” diano il permesso di attracco. Nel caso di sbarchi clandestini, questo passaggio viene saltato. In ogni caso, comunque arrivino in Europa, finiscono normalmente in centri di raccolta statali. Il loro destino qui può di nuovo essere disparato: dal permesso legale di restare nel caso in cui venga riconosciuto il loro status di rifugiati, al transito verso paesi del centro e nord europa, alla fuga e ad una nuova clandestinità, al rimpatrio.

2. Le cause

Il fenomeno sopra descritto è in atto da molti anni. Se vogliamo estenderlo anche ad altre “ondate migratorie” (si ricordi ad esempio le navi stracolme provenienti dall’Albania), addirittura da decenni.

Non può trattarsi pertanto di un’emergenza. Anche le sue cause sono semplici e ben note.

a) In Europa ci sono condizioni di vita migliori che nei paesi dell’Africa e del vicino oriente. Qui non abbiamo avuto guerre dal 1945, se si esclude quelle di aggressione e smembramento della Jugoslavia negli anni ‘90, che infatti hanno prodotto morte, povertà, profughi e migrazioni. Ad esempio, giova ricordarlo ai più smemorati, molti dei rom non di nazionalità italiana che si trovano oggi in territorio italiano sono le vittime di quelle guerre. Che ai tempi vennero definite – se ben ricordiamo – umanitarie, chirurgiche, o missioni di pace.

Le nostre migliori condizioni di vita derivano dal secolare drenaggio di risorse materiali e umane che l’Europa ha compiuto nei confronti delle nazioni africane e del medio oriente. Dal colonialismo vero e proprio, terminato solo negli anni 60 dello scorso secolo, fino al colonialismo economico attuale. Occorre onestamente riconoscerlo come un dato di fatto, al di là degli ovvi giudizi morali che tralasciamo per ora.

b) Negli ultimi decenni, il combustibile con il quale viene alimentata l’economia delle nazioni occidentalli ha iniziato a scarseggiare. Non si parla qui soltanto banalmente del petrolio, ma di risorse energetiche, ecologiche, umane. La società capitalista – basata sullo sfruttamento delle classi inferiori – rischiava di andare in crisi, non mantenendo la “crescita” delle condizioni di vita assolutamente spoporzionate rispetto al terzo mondo e insostenibili se estese a tutti, venendo a mancare, appunto, gli sfruttati. Dopo gli immigrati meridionali al nord, dopo gli appartenenti alle ex-colonie (si pensi alla Francia), dopo i provenienti dai disastri economici e/o bellici nei paesi dell’est europeo dopo il 1989, scarseggiavano i potenziali sfruttati. Dopo le crisi petrolifere degli anni 70, le principali risorse energetiche e materiali rischiavano di essere in mano – potenzialmente – a stati indipendenti che avrebbero preteso, per la prima volta nella storia, che queste risorse venissero pagate un giusto prezzo, e che terminasse il colonialismo economico. Questo avrebbe portato nel giro di poco tempo all’incepparsi del motore del capitalismo occidentale e ad una crisi profonda di un modello fisicamente – oltre che moralmente – insostenibile. L’estremo rimedio a questo pericolo sono state le nuove guerre: Iraq, Somalia, Libia, Siria, Ciad. Quando non è stato possibile mantenere la povertà, la corruzione, la schiavitù economica con le guerre, si è ricorsi ad “aiutarli a casa loro” a restare poveri o schiavi, mediante l’appoggio a regimi corrotti, il drenaggio delle risorse economiche con il debito, le multinazionali energetiche ed alimentari che efficacemente hanno mantenuto i paesi “in via di sviluppo”, appunto, eternamente in quello stato. Gli abitanti di questi paesi, in ultimo, dovevano restare in loco, corroborando con la loro morte o povertà estrema il funzionamento, per un altro po’, delle società occidentali, senza provare a spostarsi.

3.La soluzione

Dall’analisi delle cause si potrebbe dedurre che, essendo i fenomeni migratori causati dal nostro atteggiamento criminale e predatorio verso il resto del mondo, noi – cioè l’Occidente – abbiamo il dovere morale di cercare di porvi rimedio; avendo causato l’ondata migratoria, non dovremmo opporci e – anche in nome della nostra umanità  – “fronteggiarne le conseguenze”. Certamente, già questo ci pare un atteggiamento migliore rispetto a coloro i quali vorrebbero conservare il proprio supposto benessere cacciando chi cerca di immigrare in Italia chiudendo i porti, rifiutando l’accoglienza e l’asilo, istituendo una sorta di apartheid (“prima gli italiani”) che tenda a prolungare la situazione di privilegio, accettando semmai l’immigrato qualora si tratti di un “immigrato che lavora”, cioè che si fa sfruttare in lavori umili e sottopagati. Su costoro, anche se fossero – ma non lo crediamo – una parte rilevante degli italiani, il giudizio politico e morale è così severo da doverlo tacere.

Ma anche l’atteggiamento ispirato soltanto alla giustizia, alla moralità, all’umanità, verso “l’emergenza migranti” è secondo noi incompleto. Sottende il ragionamento che l’effetto dell’immigrazione in Italia possa avere forse negative conseguenze economiche e sociali, ma ciò non deve importare, e comunque si può e si deve affrontare. Un atteggiamento nobile, ma basato su un presupposto sbagliato.

Diamo per assodate le ragioni umanitarie, morali ed etiche che fanno sì che sia inaccettabile l’atteggiamento delle forze politiche attualmente al governo e di quelle dei governi precedenti verso l’immigrazione. 

Il punto è però che, economicamente e politicamente  parlando, l’immigrazione potrebbe essere la salvezza dell’Italia. Ma non in nome di un terzomondismo idealista, o di una morale religiosa basata sull’autoflagellazione. Non crediamo in un aldilà, e pensiamo che – nell’attuale società – anche alcuni ragionamenti più basati sull’aldiqua  possano essere util. Supponiamo allora – per assurda ipotesi – che al governo d’Italia vi siano alcuni politici capaci e preparati, con uno sguardo più lungo che non il brevissimo termine. Sappiamo che ciò pare arduo da immaginare, ma non dobbiamo rassegnarci al fatto che sia impossibile. Supponiamo che questo governo decida che l’immigrazione in Italia sia legale. Che chiunque lo desideri possa imbarcarsi in un porto del terzo mondo con un regolare biglietto di una nave di linea e giungere in Italia. Prima di pensare alle “apocalittiche conseguenze” di ciò, consideriamo che sparirebbero i barconi, i morti in mare (bambini, donne, vecchi, persino uomini giovani che invece secondo la nostra morale pseudocristiana fanno “meno pietà”), le missioni della marina militare (che non potrebbe così più giustificare la sua inutilità e spreco immane di risorse con ragioni umanitarie), mentre le ong potrebbero destinare le loro risorse ad altre missioni umanitarie. Questo scenario è paventato come apocalittico: cosa farebbero tutte queste persone una volta in Italia? La nostra economia sarebbe in grado di sostenerli?

Probabilmente sarebbe necessario trasformare le attuali strutture – simili a carceri – in semplici centri di vera accoglienza e di smistamento. Una piccola spesa iniziale, suvvia: si stima che siano sufficienti circa un ventesimo delle risorse che attualmente spendiamo nel bilancio difesa, per fare un esempio. E dopo? Dopo verremmo ripagati con gli interessi. Dopo – per tutti coloro che desiderano restare – si aprono le porte del lavoro regolare. Le imprese che desiderano assumere regolarmente persone (non schiavi sottopagati e senza contratto) avranno un’amplissima scelta di potenziali lavoratori. Spesso, giovani e dotati di buona istruzione. Sparisce il caporalato, spariscono i nuovi schiavi, spariscono i ghetti: possiamo assicurarvi che nessuno, se viene retribuito regolarmente, ambisce ad abitare in una baracca, in venti per stanza. Impossibile, prima gli italiani che sono disoccupati o in povertà? Quanta ignoranza: la regola base del nostro amato capitalismo è semplice. Lavoro crea lavoro. La nostra economia basata sulla mafia e sullo sfruttamento riceverebbe una tremenda frustrata dall’afflusso di “nuova gente”. In pochissimo tempo certi equilibri di cartoncino sui quali si basa la sopravvivenza di questo sistema economico mafioso salterebbero necessariamente, ed aumenterebbero anche le possibilità di lavoro per “gli italiani”. Definizione che diverrebbe obsoleta, dato che ogni immigrato con un lavoro avrebbe il diritto di ottenere, dopo breve tempo – se lo desidera – la cittadinanza italiana per sé e la sua famiglia. A lungo termine, forse riusciremmo a sbarazzarci di parole quali “razza”, “etnia”, colore della pelle. Residui dell’ignoranza dell’umanità che certo spariranno in futuro: ma perché non agevolarne ed affrettarne il processo? 

Certamente, questo scenario prevederebbe la revoca di moltissimi provvdimenti e leggi istituite in materia di lavoro e diritti da parte dei governi degli ultimi vent’anni. Supporrebbe un ripudio di organizzazioni sovranazionali di stati ricchi che vogliano imporre all’Italia la schiavitù economica. Supporrebbe che la mafia (intesa come mentalità dominante nella società italiana), vedendosi sottratto il terreno in cui prospera da questa rivoluzione, si estinguesse senza doversi neppure sforzare di eradicarla. Supporrebbe che gli attuali italiani abbandonassero le pseudo-ideologie che guardano alla società come un ecosistema immutabile nel quale conservare supposti privilegi sopprimendo il proprio vicino, e non come un sistema in evoluzione nel quale le risorse possono moltiplicarsi mentre vengono redistribuite.

Certo, forse l’Italia avrebbe con questo scenario un paio di decenni un po’ movimentati. La Lega potrebbe perdere la possibilità di governare. Altre forze politiche legate ai sondaggi elettorali e apparentemente prive di una vista politica che vada oltre i confini nazionali, o altre ancora da alcuni decenni riconvertite al liberismo selvaggio tipico di una società stagnante e in crisi, potrebbero essere messe di fronte all’alternativa: cambiare atteggiamento o sparire. L’Italia avrebbe le risorse – grazie al plusvalore economico – per “aiutare a casa loro” le nazioni sfruttate da secoli anche dagli italiani: e non parliamo di secolo scorso, ma ad esempio dei grandi imprenditori progressisti che delocalizzano la produzione sfruttando minori nei paesi del terzo mondo.

Ed infine, ne sortirebbe anche un vantaggio politico. In un pase con italiani nuovi, forse si troverebbero facilmente un po’ di persone di sinistra che abbiano meno di ottant’anni. Il rasto – cioè la rivoluzione, verrebbe da sé. Ma occorre disappaltare questa nazione dai suoi attuali occupanti.

4. Conclusione

Come risolviamo allora la “emergenza migranti”? Abbiamo appena visto come non si tratti di un’emergenza. E che i migranti non costituiscano un pericolo, ma un’occasione davvero unica di crescita, morale, economica e politica.

Ma l’emergenza migranti in realtà esiste: è costituita da chi ne ostacola – o ne ha ostacolato nel  recente passato – il libero afflusso regolare in Italia. Va cacciato dal potere, o deve essergli impedito di tornarci.

 

* Attualmente Massimo è docente presso il Politecnico di Nuclear Technologies, Radiation Protection e Storia dell’energia.

Nel 2015 è stato nella shortlist dei candidati finali per il Premio Nobel per la fisica, per i suoi studi sulla fusione nucleare a deuterio-elio3. È autore di circa 300 pubblicazioni scientifiche sui temi della fusione termonucleare e dell’ambiente

È stato consulente del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati sul tema dell’Uranio Impoverito. Sullo stesso tema è Consulente tecnico in diversi procedimenti giudiziari.

È stato consulente tecnico gratuito per i lavoratori al processo ThyssenKrupp.

Ha assunto posizioni di contrarietà al MUOS e alla TAV.

 

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