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Grillini in crisi, alla “festa del condono”

Crisi sfiorata, crisi rimandata. Lo scontro tra Lega e Cinque Stelle è esploso in tutta la sua evidenza, senza troppi filtri e possibilità di “narrazioni” dal sapor di melassa.

Il mistero della “manina”, dopo l’aperta rivendicazione del maxi-condono voluto da Salvini & co, non è più tale: il testo uscito dal Consiglio dei ministri è quello che poi Luigi Di Maio ha disconosciuto in diretta tv dallo studio di Vespa, minacciando denuncia alla Procura e voto contrario in Parlamento.

Ma la denuncia, a 72 ore dal fattaccio, non è stata presentata. Quindi Di Maio sa perfettamente che “il reato” non è stato commesso (e sarebbe pure singolare invocare la magistratura per sindacare atti del potere esecutivo mentre li si sta ancora elaborando): quello è il testo da lui approvato, anche se ora lo nega.

E non votare la legge di stabilità alle Camere significa crisi di governo, l’esercizio di bilancio provvisorio (quindi l’annullamento di tutte le “misure” previste nel testo), aprire la strada che porta alle urne. Con un clamoroso fallimento alle spalle e nessuna possibilità di gestirlo.

Ce n’è abbastanza per concluderne che Di Maio ha cercato una via di fuga inesistente tra le pressioni interne al suo movimento (i “boatos” riferiscono di telefonate inferocite di Beppe Grillo a proposito del condono approvato in consiglio dei ministri, oltre ai comprensibili mal di pancia di attivisti che hanno passato una decina d’anni a gridare “onestà, onestà”) e la necessità di non rompere con la Lega.

Si è inventato dunque la “manina” misteriosa mentre provava a ribadire la fiducia in Salvini e compagnia bella. Ma quelli lo hanno scaricato alla grande, denudandolo nella sua pochezza e intestandosi senza problemi un condono che va ben al di là dei “65mila euro” concordati tra i due soggetti politici. Quello che viene fuori dal testo, infatti, non solo arriva a 100.000 euro, ma permette di “riparare” mancate denunce di reddito per ogni singola voce di evasione. Classicamente, per un’impresa, sia per quanto riguarda i versamenti contributivi, che per l’Iva, l’Irpef, e altre imposte. Ci vuole insomma un attimo per passare dai 100.000 euro al milione a suo tempo promesso dalla Lega. Se poi ci aggiungiamo la possibilità di “sanare” anche mancate dichiarazioni di più anni, i milioni si moltiplicano come il pane alle nozze di Canaa…

La domanda finto-ingenua è dunque: possibile che Di Maio e il suo staff di ministri e consulenti, in sede di Consiglio dei ministri, non si siano resi conto di che cosa stavano approvando?

Se si risponde positivamente, garantendone dunque la “buone fede”, i grillini di governo fanno la parte dei fessi raggirati dagli espertoni della Lega (che, di pratiche di sottogoverno, hanno fatto scuola con Berlusconi). Se invece l’avevano capito, fanno la parte di quelli “come gli altri”, pronti a qualsiasi sozzura pur di salvare la poltrona.

Di qui Di Maio e i suoi fedelissimi non possono scappare.

Fosse solo un problema interno al movimento Cinque Stelle, non sarebbe neanche particolarmente interessante occuparsene. E’ invece il primo, serissimo, “incidente di percorso” che mette in discussione il rapporto fiduciario tra gruppo dirigente grillino ed elettorato che ha fin qui creduto in loro. E’ questa la crisi che interessa chi, come noi, lavora alla costruzione della rappresentanza politica del nostro “blocco sociale”, in gran parte fin qui attirato dalla autocertificata “differenza” grillina.

Il focus politico principale è però sulla prossima, quasi programmata, crisi di governo. Per ora rientrerà, perché – come scrive il confindustriale Sole24Ore – “Matteo Salvini non può permettersi di far saltare il banco prima che le elezioni europee di maggio consegnino alla Lega il vessillo di primo partito in Italia e a lui quello di premier in pectore. Con lo spread a 327 punti, l’imminente bocciatura della manovra da parte della Commissione Ue, mettere fine al governo Conte è un azzardo che neppure Salvini può permettersi. Dunque, ci sarà a breve una riappacificazione tra i due vicepremier, sia pure fasulla, con tanto di sorrisi e pacche sulle spalle”. Si stralcerà la parte più ignobile del condono, con un breve tira-e-molla  che consenta ai due contendenti di salvare la faccia e rimandare a tempi migliori il regolamento di conti.

Ma l’establishment italiano ed europeo ha già emanato la sua sentenza: i grillini sono inaffidabili come forza di governo. Non perché siano “antagonisti” al sistema, tutt’altro… Sono inaffidabili perché la loro “cultura politica” – e quindi anche l’immaginario di chi ha avuto fiducia in loro – è fatta di princìpi astratti, slogan pubblicitari senza contenuto, interessi sociali marginali mal sintetizzati (dal punto di vista macroeconomico, anche se riguardano milioni di persone), rigidità formali incomprensibili a maneggioni abituati a farsi scrivere leggi su misura, evasione fiscale in primo luogo.

Ma se non puoi essere un partito-movimento affidabile per l’establishment industrial-finanziario, e al tempo stesso non hai mai voluto essere il referente politico degli sfruttati… a che titolo, in nome di chi,  pretendi di “governare un paese” peraltro sottoposto al vincolo esterno dei trattati europei?

Possiamo dirlo con altre parole: avrai pure fatto temporaneamente fortuna giurando di essere “né di destra né di sinistra”, ma al dunque – la prova di governo, ovvero delle scelte da fare a favore di uno strato sociale o di un altro – ti ritrovi dentro un sistema di trappole, senza armi culturali per dominare quella complessità e infine senza via d’uscita. Tranne quella, democristianissima, di gridare al “complotto”. Come un liceale un po’ imbroglioncello, convinto chissà perché di poterla far franca in ogni occasione.

Abbiamo sempre ricordato che pensare di trasformare un paese avendo come riferimento “la legalità” era una pia illusione. Non perché sia sempre meglio essere “illegali”, ma il buon motivo che le leggi fissano temporaneamente un determinato rapporto di forza tra classi sociali; insomma esistono per essere cambiate. E la politica si può fare solo cambiando la legalità esistente, per crearne un’altra.

Ma questo presuppone che tu abbia un’idea più alta rispetto alla legge. Che tu sia in grado di concepire e costruire consenso intorno a un’idea di giustizia sociale. Ovvero a una visione del mondo. Il che, purtroppo per i Cinque Stelle, costringe a girovagare tra destra e sinistra per cercare un rifugio non  improvvisato, magari creato da “pensatori da tastiera”.

La Lega una “cultura politica” – per quanto immonda e reazionaria, da combattere con tutti i mezzi – ce l’ha. I grillini no. E ora si vede benissimo.

E’ indicativo che questo disastro politico, comunicativo, di immagine, sia avvenuto alla vigilia dell’”evento” romano che doveva essere un festa per “la forza del cambiamento”, tra le ammonitrici rovine del Circo Massimo. Rischia invece di passare per la festa del condono”, con molta meno gente, meno entusiasta, con musi più lunghi e qualche sorriso stiracchiato, a beneficio di telecamera.

Noi, come sapete, riempiamo oggi ben altra piazza. Quella del conflitto sociale, per “riprenderci quel che è nostro”, per nazionalizzare imprese, infrastrutture e servizi strategici. Quella di San Giovanni.

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