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Un “Piano B”, anche per Potere al Popolo

Com’è noto le elezioni producono “in automatico” accelerazioni e sintesi politica. Questo sta accadendo anche nel contesto del prossimo passaggio elettorale per le europee. Il tentativo – al quale Potere al Popolo ha aderito definendo con chiarezza i propri punti “non trattabili” – di dare vita alla sinistra del PD ad una lista che facesse riferimento a Luigi De Magistris, è fallito in quanto il sindaco di Napoli ha ritirato la propria disponibilità dichiarando che: “Per quanto mi riguarda non ci sono gli spazi per essere presente alle europee e nemmeno con una lista che faccia riferimento al movimento demA”.  

E’ noto anche che i motivi del mancato accordo ruotano tra l’altro attorno alla questione della “rottura dei trattati europei”, la quale ha segnato un solco invalicabile per Sinistra Italiana, Possibile e Diem, con un ruolo “centrista” del PRC che comunque sarà presente alle elezioni con il simbolo della “Sinistra Europea”, cercando di coinvolgere nella sua lista tutti quelli che in Italia si riconoscono in quell’area politica.

Se è necessario tentare di praticare tutti i passaggi elettorali, che in Italia però hanno una defatigante e deviante cadenza quasi annuale, è evidente come, appena si esce dall’ambito della miope politica delle alleanze elettorali e si arriva ai contenuti, riemerga prepotentemente la natura dei partiti e dei gruppi della sinistra nostrana.

Ovvero si evidenzia la subalternità di questi alle politiche del centrosinistra/PD, in particolare sul feticcio dell’Unione Europea, che diviene lo spartiacque strategico tra chi si oppone alla Ue reale, materiale, quella dei capitali, e chi continua a parlare di una ipotetica Europa dei popoli. Paradossalmente, questo tipo di UE oggi viene evocata anche dai cosiddetti “sovranisti di destra”, che si sono convertiti sulla via di Damasco – al mantenimento dell’Unione e dell’Euro – soprattutto dopo aver accettato a Dicembre i diktat di Juncker e Moscovici sulla legge di bilancio.

Quello che sta emergendo da questa tornata di trattative è il solito pasticcio della sinistra, in cui l’unico obiettivo evidente è quello di tornare ad avere una rappresentanza politica e istituzionale, ma evitando di fare il bagno nel mare magnum del nostro blocco sociale (lavoratori, disoccupati, ceti medi impoveriti) che nel 2018 ha votato per il M5S e la Lega. L’esito di tale scelta appare abbastanza scontato, nel senso che il quorum del 4% è di difficile raggiungibilità e quello che abbiamo definito più volte “l’acquario della sinistra” rischia di diventare questa volta una pozzanghera.

Se il giudizio sulle pratiche della sinistra è abbastanza scontato e difficilmente smentibile, visto che questi tentativi vanno infruttuosamente avanti dal 2008 (con la sola eccezione della Lista Tsipras nel 2014), è evidente come le difficoltà rimangano tutte anche per forze come Potere al Popolo che invece vogliono porsi in discontinuità rispetto a quel tipo di pratiche. Difficoltà che sono relative al radicamento popolare di massa, un dato questo di peso strategico e che richiede un piano di intervento che vada  ben oltre le elezioni. Ma anche conseguenza dell’estrema mobilità del quadro politico, ragione per cui si rischia di discutere di ipotesi politiche senza tenere conto che ci troviamo nuovamente in un passaggio della situazione, la quale richiede l’analisi delle dinamiche in atto e l’adeguamento di PaP.

Sul radicamento di massa è necessario tornare a ragionare rapidamente, visto che le difficoltà in realtà sono state prodotte dalla impossibilità di raccogliere le oltre 150.000 firme valide necessarie alla presentazione del simbolo di Potere al Popolo. Non è questione da poco e questo dato materiale non può essere rimosso dalla discussione e dalla pratica.

Ma va preso in considerazione anche un altro dato, questo tutto politico, ed è il fatto che lo scenario apertosi il 5 marzo del 2018 è ormai superato da sviluppi che vanno analizzati bene per capire come ricollocare l’azione politica. Intanto la crisi del M5S è evidente e non è transitoria, in quanto stanno emergendo tutte le contraddizioni – politiche e di gestione interna, su cui abbondano gli esempi – che il M5S aveva già in sé ma che ora diventano oggettive, dirompenti e sotto gli occhi di tutti.

La Lega oggi sembra il cavallo vincente, ma una crisi del M5S, e dunque del governo Conte, non lascia indenne Salvini il quale, puntando a fare “rubamazzo” se non avrà i numeri per governare da solo, o dovrà fare i conti con l’alleanza di Berlusconi, oppure dovrà gestire per fine anno una pesante situazione economica concordata proprio dall’attuale governo con la Commissione europea. Infine, ed è una ipotesi del tutto plausibile, si dovrà piegare all’ennesimo governo dei tecnici di infausta memoria, viste le sue “relazioni” con la Confindustria.

Un altro elemento di novità, relativa perché era nell’aria, è che la ripresa del PD e del centrosinistra, associata all’elezione a segretario della CGIL di Landini, ripropone un’ipotesi di ricomposizione “democratica” che tenta di reimbarcare il deluso “popolo della sinistra”, nonostante le contraddizioni di un tale tentativo, come dimostra la fretta di Zingaretti di recarsi a Torino a sostegno del SI TAV. Questo recupero finora non vincente, ma consistente, del centrosinistra – vedi le elezioni in Abruzzo e Sardegna – diventa un ulteriore elemento di difficoltà per la sinistra, la quale sul piano dei contenuti di fondo non si differenzia dal Pd tornato in mano alla “Ditta”, esattamente come si è verificato nella trattativa con De Magistris su una possibile lista “di sinistra”

Last but not least si prospetta una fase recessiva e di riproposizione della crisi economica, sicuramente per l’Italia – ma anche a livello internazionale -, che si manifesta nelle tensioni economiche e militari che vanno e vengono ma che non si risolvono, né danno l’idea che si possano risolvere.

Questi elementi emersi nelle ultime settimane, non casualmente tutti assieme, ci dicono che il quadro politico è in rapida evoluzione e che non possiamo continuare a ragionare come nei mesi scorsi, in quanto i processi di velocizzazione si fanno sentire anche nei diversi specifici e ci obbligano, per mantenere una funzione politica, ad avere una coerenza sia sui contenuti che sulle forme della nostra politica.

Questa necessaria coerenza forse non garantisce immediati esiti elettorali, ma mette in condizione Potere al Popolo di affrontare le difficoltà di una situazione in rapida evoluzione e con esiti non facilmente prevedibili. Dunque, definire con chiarezza alcune questioni di fondo che diano identità e capacità di costruzione/sedimentazione, sono le condizioni preliminari per tenere testa ad una situazione estremamente complessa e velocizzata.

Qui ritorna il nodo di fondo dell’Ue, sulla quale abbiamo sostenuto unitariamente la necessità di una rottura dei trattati come presupposto per una alternativa. Si tratta ora, soprattutto in vista di una nuova crisi recessiva, di essere ancora più netti, seguendo l’indicazione che viene dalla “France Insoumise” sul piano B. Questa però non può limitarsi ad essere una posizione tattica da tenere negli schieramenti della sinistra in Europa, ma è una questione di merito che ci riguarda direttamente e sulla quale né la destra sovranista né i grillini sono stati capaci di mantenere le posizioni, nonostante i loro rilevanti risultati elettorali. Ogni ambiguità sulla rottura dei trattati e della UE, come sul piano B, rischia di essere percepito come un elemento di debolezza e di indeterminatezza rispetto all’unanimismo “europeista” – coniugato in tutte le salse – di tutte le altre forze politiche, che non permette di cogliere uno spazio politico obiettivo che si sta creando sia nel paese che a livello europeo.

Inoltre non possiamo non valutare gravissima la scelta della UE di stare a fianco di Trump, con il sostegno politico a Guaidò e con le sanzioni contro Maduro, nel tentativo di colpo di stato in Venezuela, disvelando così la natura imperialista della UE che si propone come uno dei competitori internazionali nel conflitto tra le grandi potenze.

L’altro elemento di identità e di visibilità politica indispensabile, è quello dell’affermazione della totale indipendenza dagli schieramenti sia liberisti che nazionalisti, come elemento di distinzione netta di Potere al Popolo con un conseguente programma politico.

Questo posizionamento di PaP appare  indubbiamente scomodo e ci mette seccamente di fronte ad un processo che deve misurarsi con la questione centrale della sedimentazione delle forze. Ma va detto molto chiaramente che una vera indipendenza, sulla quale siamo tutti d’accordo, non può che essere il prodotto di una modifica, pure parziale, dei rapporti di forza da noi prodotti e della costruzione del rapporto con il nostro blocco sociale di riferimento. Questo approccio ad alcuni appare anche velleitario, ma non possiamo dimenticare che siamo reduci da una trattativa sulle elezioni europee che ha dimostrato l’impossibilità delle scorciatoie e delle tattiche che non tengono conto dei rapporti di forza che dobbiamo riuscire a costruire.

Quest’ultima questione ci rimanda al nodo della strutturazione, sia territoriale che nazionale, ed alla necessità di amalgamare sia le posizioni che la pratica politica. Questo è un nodo irrisolto e sappiamo di non facile risoluzione, ma non si può pensare di costruire una forza politica indipendente senza andare ad un graduale ma definito processo di omogeneizzazione delle forze che abbiamo direttamente a disposizione. Sappiamo le differenze che ci sono e le difficoltà per raggiungere un tale obiettivo, ma è proprio con queste che bisogna fare i conti senza forzature, ma anche senza rimozioni e rinvii.

Siamo in un tornante complicato della vita di Potere al Popolo, ma non si poteva certo pensare che la strada intrapresa fosse tutta in discesa. A questo punto si rende necessario riaprire, con coraggio e determinazione, un confronto strategico che consolidi un percorso comune già dalle prossime settimane, sapendo che la ricerca delle soluzioni non sarà affatto facile.

*membro del Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo

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4 Commenti


  • giancarlo staffo

    c’è la disponibilità di Pap a questo percorso? …volontarismo idealista o dialettica materialista, serve un percorso strategico fatto di “avanzate e ritirate”, da sostenere con metodo e pazienza, accumulazione delle forze, lotte, radicamento, formazione, mobilitazioni mirate, più qualità che quantità, e… come diceva Lenin, “meglio meno, ma meglio”.


  • francesco giordano

    per favore…abbandonate l’illusione della via parlamentare in questo momento…bruciate il buon lavoro politico che si porta avanti.
    Proporsi elettoralmente è stata una splendida intuizione….ma doveva morire prima del 4 marzo 2018…averla in qualche modo portata avanti anche dopo, ed ancora adesso è puro suicidio politico.


  • Leonardo

    È un’analisi lunga, ci sono alcune ripetizioni e, soprattutto, non mi pare ci sia una proposta praticabile. Io ci ho letto, in sintesi: “Dobbiamo ridefinire la nostra posizione”, ma dopo l’analisi qual è la nuova posizione? Non mi pare ci sia e dunque sottoscrivo il commento di Francesco Giordano come analisi e come possibile linea di azione. Fra l’altro sintetica ed estremamente chiara.


  • leone

    io credo che questa nostra indisponibilità a scendere a compromessi con la vecchia politica a sinistra debba essere assolutamente controbilanciata con una flessibilità, un’apertura e una politica di alleanze nelle lotte sui territori…il tema dell’unità della “sinistra”é piu’ sentito della sua “ricostruzione”…

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