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La finanza e l’Onu scoprono l’istruzione

In memoria di Simone Ramilli.

Ah, ma con la cultura si mangia!

A differenza di quanto pensano Tremonti e gran parte della classe dirigente italiana della Seconda Repubblica, l’istruzione sarà il driver del XXI° secolo e uno dei motori del capitalismo digitalizzato.

A tal punto che la finanza si è buttata a capofitto e l’Onu la ritiene uno dei capisaldi dell’economia sostenibile. Un interessante articolo pubblicato su Milano Finanza, a firma di Nicola  Carosielli (La cultura è oro),  ci informa che l’ultimo gestore ad investire in imprese che hanno come caposaldo l’istruzione e la formazione è il Credit Suisse Asset Management.

Il fondo investe in contenuti digitali, business innovativo con un approccio radicale e multidisciplinare dell’istruzione. Kirill Pyshkin, gestore del fondo dichiara che “siamo nella fase iniziale di una trasformazione strutturale in uno dei settori principali dell’economia mondiale e l’istruzione digitalizzata avrà un raddoppio della spesa, specie nei Paesi Emergenti dove si sta sempre più ingrossando la classe media, che attualmente è al 2% mondiale“.

Negli ultimi decenni la spesa in Usa è cresciuta del 1.225% contro il 256% del tasso di inflazione. La spesa attualmente è pari a 5mila miliardi di dollari,  ma avrà un raddoppio sia presso le strutture pubbliche e private sia presso le imprese.

Juliette Cohen, del fondo Cpr, afferma che “l’Ocse ha rilevato che l’istruzione di qualità aumenta la produttività e che vi sono ritorni pubblici e privati“.

La popolazione studentesca, nel grado superiore, è in costante crescita, dovuta ai Paesi Emergenti – Cina e India su tutti – dove rappresenta uno delle principali elementi di spesa delle famiglie.

Ora, negli ultimi due decenni, in Italia è aumentata notevolmente la dispersione scolastica, ci sono state varie riforme (Ruberti, Gelmini, Berlinguer, Moratti, la “buona scuola” di Renzi) che hanno prodotto questo disastro. Perché si voleva puntare sul pluslavoro assoluto dei subfornitori italiani, che non richiedevano un grado di istruzione superiore.

E i laureati sono perciò emigrati all’estero. La spesa scolastica è costantemente scesa e ciò ha influito sulla produttività totale dei fattori produttivi, stagnante da due decenni. 

Non dico altro. Lo vogliamo fare un bilancio della Seconda Repubblica e il neoliberismo “europeista”?

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