La gestione del sistema carcerario italiano è sempre più imperniata su una governance che espunge, continuamente, ciò che residua di quelle norme e principi costituzionali che, almeno sulla carta, garantivano la prevalenza degli “elementi umanitari” e di “reinserimento nella società civile” a scapito delle concezioni penali e punitive tipiche dell’universo concentrazionario.
Le cronache di questi ultimi anni, lungo tutto l’arco dei temi e questioni, che afferiscono al “pianeta giustizia” indicano una linea di condotta tutta esposta verso l’accentuazione dei caratteri della blindatura e della trasformazione autoritaria. I ripetuti scandali che, periodicamente, si consumano in questi ambienti e – soprattutto – la recrudescenza di episodi di accertate violenze psichiche e fisiche ai danni di detenuti sono lo specchio fedele di questa generalizzata condizione.
E’ di questi giorni una Nota, trasmessa dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (numero 0318577 del 22/10/2019) al Ministero della Giustizia e alle sigle sindacali del corpo di Polizia Penitenziaria, denominata “Schemi di decreti legislativi correttivi del riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle forze di polizia”, in cui viene ribadita la nuova collocazione della Polizia Penitenziaria all’interno della catena di comando e controllo degli istituti carcerari.
Nella sostanza, in tale Nota, viene ribadita che la Polizia Penitenziaria non deve essere subordinata gerarchicamente al direttore del carcere. Inoltre, sempre a detta di questa Nota, il comandante d’istituto (ossia il capo delle guardie) non deve rispondere, automaticamente, alla direzione amministrativa del carcere ma può e deve avere una propria autonomia di decisione e di azione.
Tale modalità – come evidente – toglie potere reale ai direttori per trasferirli ai comandanti della Polizia Penitenziaria con tutte le conseguenze che derivano da una scelta di questo tipo sia dal punto di vista della “filosofia di gestione” ma anche delle modalità attuative che scaturiscono da simili mutamenti di indirizzo e di pianificazione del lavoro di polizia.
Tra le rarissime voci che si sono espresse contro questo ulteriore atto di “militarizzazione della giustizia” c’è quella del Garante Campano dei Detenuti, Samuele Ciambriello, il quale ha denunciato “il preoccupante ritorno ad una idea di carcere chiuso gestito solo dalla polizia”. Inoltre Ciambriello ha palesato: “Il ripresentarsi di un modello di pura custodia, vigilare per redimere, altro che incentivare la speranza, promuovere la risocializzazione e il reinserimento dei detenuti”.
Una denuncia, questa del Garante dei Detenuti della Campania, che non ha trovato eco adeguato nel panorama dell’informazione vigente il quale assorbe – sempre più – gli istinti all’odio, alla diffusione della paura e del linciaggio verso quelle variegate figure sociali, particolarmente nelle grandi aree metropolitane, vittime della marginalità e dell’esclusione sociale.
Ben venga – dunque – la Manifestazione Nazionale del prossimo 9 novembre, a Roma, dove la sacrosanta richiesta di Abolire la vergogna dei Decreti Sicurezza deve essere accompagnata da una campagna culturale, politica e sociale contro la crescente militarizzazione della società ed il complesso delle misure che limitano le libertà ed il loro esercizio.
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