Il 25 marzo Roma è stata messa sotto assedio, non dal pericoloso blocco nero – che sempre torna alla ribalta delle testate giornalistiche quando c’è una manifestazione di protesta – ma dalle forze dell’ordine, utilizzate in maniera a dir poco spropositata. Da giorni gran parte dei mass media hanno iniziato una campagna di terrore sul presunto arrivo del terribile blocco nero nella manifestazione di protesta organizzata da Eurostop.
Già al concentramento a Piramide si susseguono voci tra i manifestanti: controlli serratissimi e daspo cittadini dati nella notte, pullman fermati per controlli e manifestanti portati ad un centro di identificazione perché trovati in possesso di “indumenti atti ad occultare l’identità ed impedire l’identificazione”. Felpe, kway e giubbotti, per dirlo fuor di metafora.
Il concentramento inizia ad infoltirsi e tuttavia non parte: l’intervento di Nicoletta Dosio, militante dei Notav arrivata in treno dalla Val di Susa spiega il perché: tre pullman sono stati fermati e – senza che fossero stati trovati effettivi motivi per procedere ad un fermo – più di centocinquanta persone sono state portate in un centro d’identificazione a Tor Cervara. A loro sarà di fatto negato il diritto di manifestare, perché nonostante non ci fosse nessun motivo valido, saranno rilasciati solo dopo la fine della manifestazione.
Si decide di non partire prima che ai manifestanti in stato di fermo sia restituito il diritto di esprimere il dissenso e mentre avvocati e una delegazione di manifestanti, tra cui Nicoletta Dosio e l’europarlamentare Eleonora Forenza, si reca a Tor Cervara, il corteo aspetta di poter partire: attesa, incertezza per quanto stava effettivamente accadendo e per la sorte dei compagni e delle compagne fermate non hanno contribuito certo a distendere il clima.
Quando finalmente il corteo si muove, con due ore di ritardo, attraversa il quartiere di Testaccio: negozi serrati, nessuno in strada e soprattutto ogni strada laterale a quella del percorso del corteo chiusa da agenti in assetto antisommossa: uno schieramento di forze dell’ordine smisurato.
Il corteo tuttavia prosegue senza problemi: molte persone alle finestre registrano, scattano foto, qualcuna applaude e sostiene il corteo, che arriva sul Lungotevere Aventino. È da qui è ancora più chiaro che poliziotti, carabinieri, guardia di finanza sono molti più di quanti si potesse immaginare: dall’altra sponda del Tevere, infatti, c’è un concentramento di agenti, camionette, idranti che assomiglia ad un esercito in attesa, c’è persino qualche gommone della polizia che attraversa il Tevere.
Il corteo arriva senza nessuna tensione dall’interno a Piazza Bocca della verità, ma nessuna uscita dalla piazza è libera: tutte le strade sono sbarrate da polizia in assetto antisommossa. E mentre gli organizzatori cercano di capire in che modo sciogliersi, con una manovra gli agenti chiudono anche la parte della piazza da cui la prima parte dei manifestanti è entrata, spezzando così in due il corteo. Infatti lo spezzone dei movimenti e dei centri sociali era qualche centinaio di metri dietro.
Una provocazione gratuita, ma non nuova (basti pensare a quanto successo durante il corteo dei licenziati Almaviva, sempre a Roma) messa in atto dalla polizia che ha approfittato che i due spezzoni fossero distanti, per provare a separare e caricare l’ultima parte e dare finalmente vita ad copione già scritto – quello dei manifestanti cattivi che devastano la città e della macelleria messicana che ne consegue – che stava tardando a concretizzarsi: gli scontri non ci sono stati, perché nessuno ha raccolto questa vergognosa provocazione anche grazie all’intervento degli organizzatori, che non hanno permesso che il corteo venisse diviso.
Non è servita la campagna mediatica di paura, non sono servite le provocazioni e la presunzione di colpevolezza con cui è stato impedito a centinaia di cittadini di esercitare il proprio diritto a manifestare. Non è servito l’uso delle forze dell’ordine per reprimere il legittimo dissenso: la manifestazione si è conclusa senza che i manifestanti rispondessero alle provocazioni. Con la delusione abbastanza evidente di un altro piccolo esercito presente in piazza, quello dei giornalisti, molti di loro più in attesa dello scoop che seriamente interessato alle motivazioni della manifestazione.
Ed infatti, come spesso accade, la paura degli scontri, le dichiarazioni dei politici contro chi usa la violenza, il tentativo mediatico fallito di dividere la piazza in buoni e cattivi, ha tolto spazio ai contenuti della piazza, al grido di protesta di migliaia di persone che tutte insieme hanno detto no all’Europa dei poteri forti e trasversali, dei muri contro i flussi di migranti, dell’impoverimento della classe lavoratrice, e che chiedono la libera circolazione delle persone, non delle merci.
Celebrare i 60 anni dell’Unione Europea, scrivere una dichiarazione dai toni trionfalistici in cui si celebra la costruzione di “[…] una comunità di pace, libertà, democrazie, diritti umani e governo della legge, un potere economico senza precedenti e un livello impareggiabile di protezione sociale e welfare” e farlo asserragliati in un palazzo, mentre nel resto della città si assiste alla sospensione del diritto di manifestare portandosi con sé un kway in caso di pioggia. Questo è quello che hanno fatto i 27 capi di stato europei e questo significa essere completamente scollati dal paese reale, non ascoltare assolutamente la voce di chi vive sulla propria pelle tutte le ingiustizie e le contraddizioni di un’Europa che nonostante i tentativi di presentarsi pulita, democratica, serena mostra invece le sue storture con i trattati di Dublino che umiliano i migranti, le politiche di austerity che schiacciano lavoratori e cittadini, le politiche di guerra che la rendono complice nei teatri di guerra del mondo.
Noi, insieme alle migliaia che hanno sfilato per le strade di Roma il 25 marzo, sappiamo da che parte stare e siamo solidali con chi è stato trattenuto e identificato solo per voler esercitare il diritto a manifestare il proprio dissenso.
da http://www.perunaltracitta.org – Firenze
Foto di Patriza Cortellessa
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