Si è consumata la rottura fra la minoranza interna della CGIL de “Il sindacato è un’altra cosa-Opposizione CGIL” e la CGIL stessa. Una parte cospicua dei delegati e delle delegate aderenti a questa componente – che, non a caso, hanno scelto di chiamarsi “incompatibili” – ha infatti deciso di mollare definitivamente gli ormeggi.
Ma parlare di una rottura non sarebbe corretto. In realtà si tratta di una vera e propria espulsione, anche se camuffata dietro ad un paravento formale. Il comitato centrale della FIOM-CGIL in particolare, sulla base di una delibera del collegio statutario nazionale, ha infatti decretato come incompatibili ad assumere incarichi direttivi o di rappresentanza all’interno della CGIL tutti/e coloro che “aderiscono a forme associative sindacali o parasindacali in competizione con la rappresentatività generale alla quale tende la Cgil, ovvero promuovono azioni organizzate che di fronte alle controparti del sindacato rompono l’unita’ della Cgil come soggetto contrattuale”.
Si tratta, come è evidente, di un escamotage per non parlare dichiaratamente di espulsione. Il provvedimento ha colpito molti delegati, locali e nazionali, in primis Sergio Bellavita, fino a pochi mesi fa membro del direttivo nazionale della CGIL e del Comitato centrale della FIOM nonché portavoce nazionale dell’area, che una mattina di un paio di mesi fa si è trovato sulla sua scrivania la lettera con cui il segretario della FIOM, Landini, gli comunicava che poteva pure fare i bagagli e tornarsene in fabbrica perché il rapporto di fiducia con la FIOM e la CGIL era venuto meno.
Stessa sorte, più o meno, è toccata ad alcuni delegati del gruppo FCA (Fiat-Chrysler-Automobiles) degli stabilimenti di Termoli, Melfi, Val di Sangro e Cassino “colpevoli” di aver promosso un coordinamento di lavoratori indipendente da tutte le sigle sindacali. Anche loro si sono visti recapitare quella lettera in cui sono stati dichiarati “incompatibili”.
“E’ l’ultimo atto dell’inevitabile frattura con un sindacato come la CGIL che non rappresenta più i lavoratori ma soltanto la burocrazia interna”, spiega Mimmo De Stradis, operaio della Fiat di Melfi e fra i promotori del coordinamento, intervenuto oggi all’affollata assemblea nazionale che si è svolta al Centro congressi Cavour di Roma organizzata dagli “Incompatibili”.
“Perché la CGIL ci caccia? Semplice. Perché noi scioperiamo e lottiamo per i nostri diritti e la Fiat non vuole, e la CGIL è del tutto prona ai suoi diktat. Quello del coordinamento è stato solo un pretesto per buttarci fuori e per eliminare il dissenso e allora ci ha dichiarati “incompatibili”. Ma una cosa è certa, possiamo essere incompatibili per la CGIL ma non certo per gli altri lavoratori”.
E’ lo stesso concetto espresso da Giuseppe Tiano, dirigente e funzionario della CGIL calabrese. Per lui la scelta di lasciare il sindacato significa anche la perdita del posto di lavoro. Un atto di grandissimo coraggio e coerenza che deve essere evidenziato in tutto il suo valore. “Non si può tardare ancora – spiega – vogliamo tornare ad essere compatibili, sì, ma con gli operai, vogliamo tornare a fare sindacalismo vero, autentico, a dare risposte concrete ai bisogni e alla richiesta di rappresentanza da parte dei lavoratori. Stiamo costruendo all’interno dell’università un osservatorio sulle lotte e sulle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori. Noi diciamo a quei compagni che sono rimasti e che non hanno ancora maturato la nostra scelta, che li aspettiamo, perché è questione solo di tempo, e si renderanno conto che non ci sono spazi all’interno della CGIL per fare una vera e autentica attività sindacale”.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento di Mario Maddaloni, delegato della Napoletana Gas, dove il sindacato di base è quello che gode del sostegno della maggioranza dei lavoratori e che ha staccato di diverse lunghezze, per numero di iscritti, tutti le altre sigle sindacali. “Dobbiamo batterci contro le privatizzazioni delle aziende pubbliche – spiega – non solo per tutelare i diritti dei lavoratori delle aziende ma anche per tutelare quelli dei cittadini”. “E’ necessario uscire dai confini nazionali – continua – e pensare a un sindacato autentico, conflittuale, di classe, che unisca tutte le esperienze europee e che rifugga dai politicismi e dalle logiche arrendevoli nei confronti della controparte e del padronato”.
Antonello Colaiacomo, dipendente Atac, l’azienda dei trasporti di Roma, uno dei promotori dell’assemblea, va giù ancora più duro. “Anche all’ATAC – racconta – abbiamo fatto come alla Fiat di Melfi, abbiamo dato vita ad un coordinamento fra tutti i lavoratori, indipendentemente dalle sigle, perché chi ha fatto seriamente attività sindacale sa perfettamente che ciò che conta, ciò che fa la differenza, è chi effettivamente sta fino in fondo dalla parte dei lavoratori e non chi firma accordi senza neanche averli consultati, come da tempo immemore fa anche la CGIL, che in nulla e per nulla si differenzia ormai dalla Cisl e dalla Uil. Chi fa sindacato onestamente non deve mai smarrire la bussola, non deve mai dimenticare di fare sempre gli interessi dei lavoratori; questa deve essere la sua stessa polare. La CGIL è ormai ridotto a un “sindacato dei servizi”, a cui ci si rivolge per compilare il 740 e nulla più. Ormai la CGIL ha detto con molta chiarezza che chi fa reale opposizione alle politiche neoliberiste delle aziende e del governo è fuori, è incompatibile con l’organizzazione. Del resto in quel contesto, non ci sono più spazi. Restano alcuni gruppi in rappresentanza di micro partitini che raccolgono lo 0,0 e rotti e che in questo modo mantengono i loro posti in questo o in quel direttivo, ma si tratta di opportunismo di piccolissimo cabotaggio. Oggi invece è necessario rimetterci tutti in gioco e affrontare la sfida della costruzione di una nuovo grande sindacato di classe, antagonista e di massa. Per questo scegliamo oggi di aderire alla USB, perché consapevoli di portare un grande patrimonio di lotte e di esperienze all’interno di questa organizzazione con cui da anni combattiamo assieme”.
Di grandissima lucidità politica l’intervento di Maria Pia Zanni, ex membro del direttivo nazionale CGIL Funzione Pubblica. “Il dispositivo di incompatibilità azionato dalla FIOM con la bollinatura della CGIL – spiega – contro i delegati e le delegate FCA di Termoli e Melfi, colpevoli di aver organizzato la resistenza e il conflitto al modello Marchionne, ovvero a quel sistema di rapporti sociali e di produzione che azzerano la vita in nome del profitto; quel dispositivo segna una mutazione genetica nella vita organizzativa e nella stessa CGIL. L’incompatibilità sancita contro quei delegati è il riflesso di una precipitazione che non è confinabile in FCA ma è il frutto avvelenato di un processo degenerativo e di “cislizzazione” della CGIL e che non conosce altra regola se non espungere il conflitto. Ciò che viene dichiarata incompatibile è l’idea stessa della costruzione dal basso della resistenza e della lotta rispetto alla propria condizione di lavoro; è niente altro che l’applicazione del Testo unico del 10 gennaio 2014 sulla Rappresentanza, la garanzia dell’esigibilità dei rapporti. Ovvero un modello di rappresentanza sindacale speculare e funzionale al sistema di potere incardinato nel Jobs act e la cui concezione è presente in tutte le devastanti riforme del governo Renzi fino a quelle che riguardano l’assetto politico e costituzionale del paese” “Siamo ad una svolta epocale –prosegue – ciò che viene messo in discussione non sono solo i diritti del lavoro e dello stato sociale ma la stessa democrazia rappresentativa nelle sue forme ed istituzioni, le conquiste che il Movimento operaio ha realizzato dal dopoguerra ad oggi. Per questo è oggi necessario porsi il problema di unificare e ricomporre soggettività diverse (oltre ai lavoratori, i precari, i giovani, i migranti, i disoccupati, gli occupanti di case) per superare la frammentazione del lavoro prodotta dalla ristrutturazione capitalistica, a cui ha corrisposto una inadeguatezza del sindacato”.
Nico Vox, pensionato ed anch’egli ex membro del direttivo nazionale della CGIL Funzione Pubblica sottolinea “la ricchezza dell’esperienza e del patrimonio che gli “incompatibili” portano oggi all’interno dell’USB, un bagaglio enorme che deve esser concepito come una sorta di “dote” che questi compagni portano con loro in quello che deve essere una sorta di matrimonio”. In Italia – prosegue – manca un vero sindacato di classe, democratico e di massa. In realtà nella CGIL non c’è mai stato un tasso particolarmente elevato di democrazia, neanche nei momenti più alti dello scontro di classe. E in quei momenti erano le lotte, la forza del conflitto e dei lavoratori che elevava e ampliava il livello di democrazia interna. Davanti a noi abbiamo dunque una scommessa, che è quella di costruire, insieme ai compagni dell’USB un sindacato di massa che deve diventare la casa di tanti, dei lavoratori più diversi per costruire un sindacato effettivamente democratico. Per questo obiettivo è necessario contaminarsi e proprio questa contaminazione va nella direzione opposta e contraria a quelle logiche che hanno portato alla nostra emarginazione e messa nell’angolo”.
Altri interventi molto significativi sono stati quelli di Domenico Conte (Sic Bologna), di Calimaco Cantoni della RSU FIOM di Parma, di Dario Filippini della Direzione nazionale dello SPI e di Ernesto Masullo dell’INPS di Napoli.
Presente ai lavori, naturalmente, Giorgio Cremaschi, fra i promotori di Ross@, storico leader sindacale nonché ex segretario della FIOM poi anch’egli fuoriuscito, che ha esordito dichiarando la sua grande soddisfazione per la scelta fatta dai compagni ex CGIL. “Non si può fare sindacato – ha spiegato – se non si è onesti con se stessi e con i lavoratori”. E’ bene chiarire subito un aspetto – ha detto con molta chiarezza – il processo di normalizzazione interna alla CGIL porta innanzitutto il nome di Landini, non della Camusso. Ho sempre visto Landini come un burocrate in erba, per di più decisamente autoritario, e non mi sbagliavo. Quanto accaduto a Termoli e a Melfi è altamente significativo. La CGIL ha scelto di fatto come controparte i lavoratori, gli operai, che lottano per i loro diritti e per migliorare la loro condizione. Quando si arriva a questo punto, al punto cioè in cui tu fai del male ai lavoratori, allora vuol dire che la rottura è totale, che non c’è più possibilità di ritorno. Oggi nella CGIL hai la libertà di fare i convegni su Marx e sul socialismo ma non puoi fare la lotta di classe, quella vera, perché se la fai, ti cacciano. Bisogna cambiare completamente rotta. E’ necessario uscire dalle logiche minoritarie dei micro partitini che insistono a stare nella CGIL, come ad esempio Lotta Comunista, che in attesa della rivoluzione proletaria approvano tutto quello che c’è da approvare, e rompere, lasciarsi alle spalle queste logiche e avere l’ambizione di conquistare la maggioranza dei lavoratori, perchè oggi ci sono le condizioni per “sfondare”, ci sono milioni di lavoratori che “ringhiano” perchè vivono uno stato di profondo disagio e l’assenza di una grande sindacato conflittuale e di massa che li rappresenta”.
I lavori dell’assemblea sono stati naturalmente aperti da Sergio Bellavita, il quale ha esordito dicendo che “quella della CGIL è una “segreteria formata e fondata sulla fedeltà”. La critica non è ammessa, gli iscritti e i delegati sindacali che portano avanti le lotte vengono cacciati”. “In realtà – ha spiegato Bellavita – abbiamo tentato con forza non tanto di cambiare la CGIL, perché sapevamo che era irriformabile, quanto costruire le condizioni per ricreare il conflitto. Ma anche questa possibilità è andata scemando. Siamo arrivati alla rottura perché non abbiamo accettato gli steccati e i diktat che volevano imporci. Siamo colpevoli di aver lottato per un sindacato democratico, per aver voluto riaprire il conflitto, per non aver accettato la pace sociale. E’ necessario smascherare l’ipocrisia della FIOM e della CGIL che a parole dice di difendere i diritti dei lavoratori ma di fatto collabora con l’azienda. Lo abbiamo visto alla Fiat dove lo scontro è durissimo, dove l’azienda segna su un taccuino i nomi e i cognomi dei lavoratori che non si piegano al “modello”, e non li dimentica. La CGIL li ha lasciati soli, li ha abbandonati. Per questo la CGIL non può essere più la nostra casa. Voglio dire ai compagni dell’USB ”Scusate il ritardo!”, però è fondamentale ribadire che in questi anni le nostre lotte sono state le stesse e anche se ci trovavamo in organizzazioni diverse, eravamo comunque dalla stessa parte, quella dei lavoratori. Molti ci chiedono:”Ma se tutto il sindacalismo di base fosse stato all’interno della CGIL come sarebbero andate le cose?”. La risposta è che saremmo stati tutti cacciati… Ora è fondamentale lavorare assieme alla costruzione di un gande sindacato di classe, di massa e alternativo alla CGIL, alla CISL e alla UIL”.
Uno degli ultimi interventi è stato quello di Pierpaolo Leonardi dell’Esecutivo nazionale dell’USB che ha sottolineato la straordinaria importanza dell’evento. “Per la prima volta – ha detto – un pezzo della CGIL rompe con quell’organizzazione e non torna a casa ma continua la lotta, in vista della costruzione di un grande sindacato di classe di dimensioni nazionali. Questa scelta dimostra come sia giusto non essere mai autoreferenziali, e infatti noi non lo siamo mai stati perché siamo sempre stati animati dalla volontà di ampliare la nostra area di consenso, non di creare orticelli e steccati. Certo, questa scelta cambierà completamente la prospettiva per questi compagni che oggi scelgono di entrare nell’USB. Noi infatti non siamo mai stati all’interno di quell’organizzazione, il nostro è un “sindacato di strada”, abbiamo un’altra storia e un’esperienza diversa dalla loro e siamo sempre stati convinti che non ci fossero le condizioni minime in quel contesto per fare della vera e autentica attività sindacale. Siamo anche persuasi che oggi si debba fare un salto di qualità. Si tratta di abbandonare determinate logiche che hanno reso debole e insufficiente un certo sindacalismo di base e lavorare alla costruzione di un grande sindacato nazionale di classe, antagonista e di massa, capace di rappresentare e coordinare tutti i vari e diversi soggetti sociali. L’USB ha scelto da tempo di incontrare i lavoratori non solo nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro ma anche fuori, dove vivono milioni di persone che oggi non incontrano più il sindacato a causa dei grandi processi di ristrutturazione capitalista che hanno portato alla disgregazione e alla frammentazione del tessuto sociale”. “E’ nostra intenzione – ha proseguito – chiamare i lavoratori a uno sciopero generale nazionale da tenersi a ridosso del referendum con il quale si vuole modificare la Carta Costituzionale. E’ fondamentale che i lavoratori facciano capire con chiarezza che non accettano in alcun modo l’attacco alla democrazia portato avanti dal governo Renzi”.
Per quanto ci riguarda non possiamo che salutare con soddisfazione la scelta dei lavoratori e delle lavoratrici “incompatibili” e la loro decisione di aderire all’Unione Sindacale di Base. Ci sembra ancora più importante la volontà, ribadita da tutti gli intervenuti, di lavorare per la costruzione di un grande sindacato di classe alternativo alla CGIL, alla CISL e alla UIL. Certo, come ha ribadito anche Leonardi, un sindacato non può fare un lavoro di supplenza. Resta quindi il problema del grande assente, cioè di un grande soggetto politico in grado di essere punto di riferimento del mondo del lavoro in tutte le sue articolazioni e la sua complessità.
Ma questo potrebbe essere un inizio.
*Interferenza.it
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