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Il governo scarica il presidente della Consob?

In fondo, se metti la volpe a guardia del pollaio, cos’altro ti devi aspettare? Sembra arrivata a fine corsa la carriera di Giuseppe Vegas, nominato alla guida della Consob dal governo Berlusconi, nel 2010. Giurista di formazione, sempre con piede nella pubblica amministrazione, democristiano di lungo corso, poi parlamentare di Forza Italia e Pdl, quindi viceministro dell’economia con Tremonti e infine arrivato alla guida dell’authority di controllo sulla borsa.

La correttezza istituzionale sua e del suo “nominatore” si è vista subito: passato alla Consob il 18 novembre, avrebbe dovuto rassegnare immediatamente le dimissioni da parlamentare, oltre che da membro del governo; ma ha continuato a partecipare ai lavori della Camera, specie quando si è trattato di respingere il voto di sfiducia (14 dicembre) all’ex Cavaliere. E sue dimissioni, infatti, erano state opportunamente messe in calendario alla fine di dicembre.

Questione di sensibilità per “l’editore di riferimento”, che aveva notoriamente anche molti interessi bancari (Mediolanum, al 50% con Ennio Doris) e un’altra azienda quotata in borsa (Mediaset) da tempo sotto tiro dei “mercati finanziari”.

La poltrona di Vegas ora barcolla per una inchiesta di Report sulle quattro banche fallite e salvate dal governo Renzi, con il metodo del bail in, ovvero facendo pagare un prezzo durissimo agli azionisti e ai possessori di obbligazioni subordinate; ossia di carta straccia acquista su “consiglio” degli impiegati della stessa banca, messi peraltro sotto torchio perché ne smaltissero quantitativi abnormi prima del fallimento effettivo.

L’inchiesta del team di Milena Gabanelli si è concentrata su un dettaglio fondamentale per stabilire se i sottoscrittori di bbligazioni bancarie fossero stati correttamente informati o meno; e quindi se avessero diritto a un risarcimento in quanto truffati oppure a niente in quanto “investitori consapevoli dei rischi”.

Nei prospetti informativi rilasciati dalle banche ai clienti non erano compresi gli “scenari prospettici”, ossia le simulazioni sull’andamento dell’investimento in diversi e contrapposti casi. E’ fin troppo ovvio che se nessuno mi dice cosa può accadere del mio denaro, anzi vengo rassicurato sul fatto che sono “titoli sicuri”, io sono stato truffato. Semplicissimo.

Ma com’è possibile che gli scenari prospettivi non siano stati inseriti nei profili informativi e nonostante questo abbiano ottenuto l’ok della Consob (che ha il compito di vigilare su tutto ciò che riguarda i rapporti tra società quotate e borsa, banche comprese)?

Vegas si è incazzato, spiegando che la Consob non ha mai abrogato l’obbligo di inserire gli scenari probabilistici nei prospetti delle obbligazioni bancarie perché quest’obbligo non è mai stato introdotto, né a livello nazionale né a livello europeo.

La replica è stata fulminante: Report ha fatto vedere il documento a firma Vegas in cui il presidente della Consob consigliava o ordinava alle banche di non pubblicare quegli “scenari prospettici”.

Ceh la Gabanelli abbia chiuso la trasmissione chiedendo le dimissioni di Vegas sarebbe stato in fondo un semplcie appello televisivo (per quanto rilevante). Ma il renzianissimo Calo Calenda, neo ministro dello sviluppo economico (al posto della “sfortunatissima” Federica Gudi), ha messo il peso del governo contro la permanenza di Vegas al suo posto: “Non sta al governo commentare l’operato di autorità indipendenti, ma degli errori gravi sono stati fatti. La Gabanelli ha ragione”.

Su tutt’altra lunghezza d’onda, invece, l’altrettanto renzianissimo viceministro dell’Economia, Enrico Morando: «Abbiamo collaborato con l’autorità di vigilanza in modo leale e costruttivo. Dire di più significa che il governo si mette a fare un mestiere che non è suo».

In effetti l’autorità di borsa è formalmente indipendente, ma come si è visto è il governo a nominarne il presidente (lo indica al Presidente della Repubblica, che emano il relativo decreto). Quindi una “sfiducia” del governo dovrebbe equivalere a una richiesta di dimissioni.

Ma come si è visto nel governo non tutti la pensano nello stesso modo. In fondo, potrebbe essere un’occasione per scaricare la patata bollente delle “quattro banche” – tra cui Etruria, di cui era vicepresidente il padre di Maria Elena Boschi – in altre mani, liberando in parte Renzi e ministra delle “riforme” dal sospetto (eufemismo). C’è però anche il rischio di introdurre un altro elemento di battaglia con i berlusconiani; ovvero con l’unica speranza di non perdere i ballottaggi a Milano e sperare in una inverosimile rimonta di Giachetti a Roma.

Dev’essere per questo che Renzi tace. Una notizia!

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