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L’automatismo irresponsabile dei “mercati”. L’esempio della sterlina

Come diavolo viviamo? Dentro quale universo? Quali sono i meccanismi fondamentali che ci costruiscono le “condizioni oggettive” dentro cui facciamo le nostre misere – e lentissime – scelte?

La domanda è filosofica in senso stretto, ma la risposta più normale è quella che ci viene offerta dal pensiero unico ammannito dai media: sono i mercati.

Come se questa parola equivalesse a dio, nel linguaggio contemporaneo, il pensiero a questo punto tende a fernarsi. I mercati regolano, i mercati decidono, i mercati sono più saggi di noi, hanno più informazioni e più cultura, più scienza ed esperienza.

I mercati, indubbiamente, oggi decidono più degli Stati, anche di quelli più potenti ed armati. Al punto che non è esagerato dire che oggi è il capitale – il brutale meccanismo dell'accumulazione – a fare e difare la politica. Non le elezioni e la volontà popolare, ridotta sempre più chiaramente a legittimazione a posteriori di decisioni già prese.

Ma cosa sono i mercati? Funzionano davvero in modo così saggio e lungimirante? Davvero riescono nel difficile gioco dell'allocazione ottimale delle risorse?

Inutile chiederlo agli ideologi del capitale, faremmo la parte di quelli che chiedono all'oste se il vino è buono… Meglio prendere in esame qualche momento di crisi, qualche defaillance, che in genere costringono persino gli ideologi a mettere da parte le risposte precotte e farsi invece qualche domanda più seria.

Nella notte tra giovedì e venerdì, mentre i mercati sonnecchiavano tra la chiusura della borsa di Wall Street e l'apertura di quelle asiatiche (Tokyo, Hong Kong e Shangai, in primo luogo), la sterlina inglese ha registrato un crollo del 6,1% in soli due minuti, per poi recuperare quasi altrettanto velocemente.

Cosa è successo? Qualcuno ha fatto grandi operazioni? Oppure c'è stato un errore umano? O sono i robot del trading a far partire un ciclo di vendite senza senso?

Scartata la prima ipotesi, l'unica che avesse un senso economico o geopolitico razionale, ne restano soltanto due. Entrambe molto banali.

In gergo gli operatori chiamano l'errore umano fat finger, dita grasse. Un operatore insonnolito, insomma, avrebbe aggiunto per sbaglio qualche zero a un ordine di vendita di sterline inglesi. Non è difficile che accada. Le tastiere dei trader hanno qualche differenza rispetto a quella che stiamo usando e comprendono in genere anche un tasto “000”, che semplifica la digitazione delle cifre con molti zeri, assai frequente per gli operatori. Se ti resta il dito incollato su quel tasto, per esempio, un ordine da un milione di sterline diventa da un miliardo. Gli scambi notturni, quando le borse principali sono tutte chiuse, si muovo in genere con scambi limitati, per numero e dimensioni. Un grosso ordine di vendita o di acquisto genera dunque un terremoto che in orari normali sarebbe stato forse più contenuto.

L'ultima ipotesi è relativa a una sequenza frenetica di ordini di vendita “decisi” dai robot in base ad algoritmi molto sofisticati, ma in fondo dipendenti da una pura reazione automatica al verificarsi di una condizione: se accade questo… vendi (o compra). È del resto quel che fanno anche i trader umani, solo a una velocità impensabile per un essere vivente. Arrivare prima dei concorrenti significa vendere ad un prezzo più alto o comprare a un prezzo più basso, Anche una frazione infinitesima di secondo dà un vantaggio competitivo. E si si tiene presente che il 60% delle transazioni globali viene gestito da piattaforme robotizzate, in automatico, si comprende facilmente che quella frazione di secondo è decisiva per guadagnare.

Le condizioni previste dai programmatori di software, sulla base delle indicazioni degli “strateghi di mercato” delle varie società che popolano le piazze finanziarie globali, sono praticamente infinite e sottoposte a continua revisione, perché il quadro macroeconomico da tener presente cambia spesso e anche molto velocemente. Lo stratificarsi di algoritmi modificati incrementa, tra l'altro, la possibilità che si creino dei veri e propri bug, per quanto bravi possano essere i programmatori. E comunque le mosse anche sbagliate di qualcuno (un software) costringono tutti gli altri a reagire (sono programmati per farlo, in automatico).

Visti da questa angolazione – che è poi la condizione reale quotidiana – i mercati appaiono tutt'altro che razionali. Più simili ai bisonti o agli gnu, che non a dio. E quando scatta una stampede di vendite o acquisti, in genere, l'unica soluzione è fermare le contrattazioni (su un titolo o un gruppo di titoli) e consentire agli umani di riprendere il controllo dei “cervelloni”.

Il più grande crollo di Wall Street in una sola seduta non risale infatti alla mitica crisi del 1929 e neppure a quella in corso da quasi dieci anni. Il “lunedì nero”, ossia il 19 ottobre 1987, l'indice Dow Jones registrò una perdita del 22,61%, causata appunto dalle vendite in automatico programmate a determinati livelli di prezzo. La lezione – durissima – portà ovviamente una sofisticazione molto più alta degli algoritmi di controllo, con soglie critiche molto più basse oltre le quali era comunque richiesto un intervento umano. Ma non alla fine dei “terremoti” di borsa.

Sismi di entità minore, concentrati magari su determinati titoli, valute o paesi. Ma più numerosi e frequenti.

Le critiche alle piattaforme robotizzate sono numerose (distacco dalla realtà, valore segnaletico del prezzo che sparisce, asimmetria tecnologica, instabilità dei mercati, ecc), tutte però contrastabili con considerazioni tecnicamente plausibili. Peccato che tutte queste disquisizioni tecniche convergano su – o derivino da – una fiducia sconfinata nella “mano invisibile” del mercato, che “nel lungo periodo” dà risultati migliori, ecc.

Ovvero in un meccanismo a sua volta automatico (il massimo profitto, l'accumulazione fine a se stessa) che certamente dà “risultati veloci”, ma ad un prezzo che che nessuno sarebbe così pazzo da considerare ragionevole. Possiamo prenderla dal lato ambientale, oppure del bilancio tra risorse consumate e risultati ottenuti, tra quantità degli esseri umani macinati nel processo (produttivo, di rapina delle risorse, in guerre militari o "solo" economiche, ecc) e quantità dei "beneficati", o da altri versanti ancora.

Il conto comunque non torna…

 

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