ATTUALITA’ DI HEGEL NEL PROCESSO STORICO IN CORSO
Appare del tutto evidente che il capitalismo nel XXI secolo non espande più benessere generale, non ridistribuisce la ricchezza ottenuta dall’aumento della produttività, non diffonde i benefici del progresso scientifico e tecnologico; al contrario, esso finisce per aumentare il livello dello sfruttamento dei lavoratori da parte delle oligarchie che detengono i capitali.
Non solo, l’oligarchia capitalista diffonde un’ideologia antisociale che spinge alla conflittualità popoli appartenenti a diverse nazioni, soggetti di diverse generazioni o genere e si avvale della paura di imminenti catastrofi e del clima di costante emergenza per impedire l’uso della ragione, che è la condizione per una democrazia sostanziale (ma neppure quella formale è più rispettata!).
Pertanto le trasformazioni politico-economiche imposte sono presentate come necessità improrogabili, come se fossero dettate da una dialettica uomo-natura (o uomo-economia, il che non cambia) anziché dalla dialettica tra uomini. Ci viene detto continuamente che il mondo è cambiato, eppure le trasformazioni cui assistiamo non sono condotte da forze esterne metafisiche, sono opera umana, frutto di rapporti che mutano. L’uomo è quell’animale che, in condizioni naturali date, e secondo la propria natura, sviluppa un’attività finalista, la quale progredisce senza altri limiti che quelli naturali, dunque un’attività perfettamente trasparente in se stessa, e sempre più conoscibile, man mano che le realtà esteriori divengono meglio dominate, controllate e conosciute.
In realtà, ciò che accade all’interno del sistema capitalistico di produzione, come Marx ha saputo mostrare, è che gli uomini costruiscono un mondo secondo la loro volontà, ma nel mondo da essi creato invece di una finalità cosciente regna una fatalità cieca. Essi infatti compiono la loro attività finalista all’interno di condizioni naturali e sociali che non hanno scelto e che ne modificano la portata e il senso: quando i prodotti del lavoro umano entrano nello scambio mercantile, avviene che questo scambio segua leggi proprie che non sono più quelle della finalità umana e dunque l’attività umana finisce per produrre addirittura l’antiumano.
Lo spirito oggettivo, ciò che Hegel considerava come l’insieme delle realizzazioni dell’uomo nel mondo reale, si rivela essere tutt’altro che obbediente alle ingiunzioni dello spirito. Ma la ragione sembra incapace di orientarsi in questo rapporto tra libertà e necessità, allorché ad essa viene celato che la stessa natura del modo di produzione capitalistico non è una legge eterna della società umana, bensì una condizione storica immanente agli stessi rapporti sociali, è il risultato del continuo scontrarsi delle classi sociali. Di tale oscuramento e mistificazione si occupa abbondantemente un vero e proprio sistema ideologico onnipresente e proteiforme, che permea la nostra vita di tutti i giorni in ogni circostanza, -nel linguaggio- dai luoghi di formazione culturale, ai media, agli svaghi, fino all’”uomo di strada”.
Allorché, a seguito delle attuali trasformazioni in atto, il dispiegarsi globale del sistema capitalistico non produce più sviluppo umano in termini di benessere materiale e spirituale, diviene molto più complicato produrre un’ideologia coerente, in grado di mantenere quel consenso necessario al funzionamento di un sistema di sfruttamento su scala planetaria. In particolare un ceto medio diffuso, il quale nei paesi ad economia capitalistica avanzata ha caratterizzato il periodo del secondo dopoguerra fino ad oggi, nei fatti ha svolto, non sempre consapevolmente, un ruolo politico e ideologico di difesa dello status quo. Tuttavia esso sembra destinato a ridimensionarsi, se non a scomparire, nel processo di ristrutturazione capitalistica in corso, a seguito della tendenza ad una progressiva sempre più estrema polarizzazione della ricchezza sociale, da imputarsi al livellarsi verso il basso dei salari e delle protezioni sociali e all’incremento
delle tasse sul consumo e sulle abitazioni.
Dunque il dispiegarsi al massimo grado del modo di produzione capitalistico apre al suo interno delle contraddizioni insolubili, che possono, in prospettiva, anche minarne le fondamenta: non è trascurabile che la convergenza delle condizioni economiche e di vita dei lavoratori di tutto il mondo potrebbe facilitare un processo di formazione della coscienza di classe del proletariato mondiale, requisito indispensabile per poter trasformare la società, liberandola dal capitalismo. Perché questa possibilità si attui è necessaria una presa di coscienza sempre più diffusa, ma anche una crescita culturale e morale e la capacità di comprensione della realtà sociale e delle sue dinamiche.
Un’adeguata riflessione sullo svolgimento del processo storico in corso deve poter cogliere gli elementi essenziali delle forze in gioco, affinché essa possa fornire un’efficace visione finalizzata a trasformare i rapporti di produzione. Si tratta in ultimo, infatti, di emancipare l’umanità, affinché essa razionalmente e consapevolmente prenda in mano la propria storia anziché subirla: questa è la libertà cui deve e può aspirare l’essere umano in questa fase.
Occorre però ripartire dal pensiero teorico serio, respingendo quelle posizioni decadenti e di ripiego nell’ambito del postmodernismo (che tanto hanno influenzato la cultura di sinistra negli ultimi decenni), le quali relativizzano la conoscenza del mondo, subordinandola all’esperienza soggettiva, al “vissuto”, al “desiderio”, all’”immediatezza”, al “credere” e ricorrono ad una logica basata su categorie oppositive antidialettiche quali noi-altri, dentro-fuori, inclusi-esclusi, primi-ultimi, umano-scientifico e via dicendo, espressioni che richiamano il sentimento religioso e l’irrazionalismo. Si tratta di posizioni di sconfitta, di visioni miopi che frammentano la realtà e forniscono solo l’illusione della libertà individuale. Pur essendo, il postmodernismo, funzionale al mercato capitalistico e in particolare al consumo di massa (segmentato in svariate tipologie dai sociologi pubblicitari), tuttavia va precisato che sarebbe errato affermare che esso sia la diretta ideologia del sistema capitalistico, in quanto, per altri versi, esso si oppone a tutte le regole e quindi anche alla subordinazione richiesta dalle stesse logiche dell’organizzazione capitalistica della produzione.
Per potersi inserire nella dialettica del movimento storico è invece indispensabile la presa di coscienza delle connessioni interne allo svolgersi della storia, e ciò è possibile solo riprendendo l’insegnamento di Hegel e mettendo da parte la vulgata postmodernista. Occorre recuperare proprio quella concezione del marxismo che riconosce in Hegel l’essenza del pensiero di Marx.
Accentuare il significato dell’eredità hegeliana nella filosofia di Marx serve da antidoto contro le falsificazioni meccaniciste della concezione materialista della storia, della quale occorre riscoprire la ricchezza e la complessità, e conduce in generale alla rivalutazione del significato filosofico del marxismo e dei suoi sviluppi etici, che vanno al di là della sconfitta dell’esperienza comunista.
La ripresa di Hegel significa comprendere il connubio inscindibile tra la “necessità” e la “caducità” di qualsivoglia istituzione o prodotto umano: la monarchia francese era diventata nel 1789 così “irreale”, cioè priva di ogni “necessità”, così “irrazionale”, che dovette essere distrutta dalla Grande Rivoluzione…
*Collettivo Formazione Marxista, Roma
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