Arriva ed esibisce il biglietto della nuova compagnia di trasporti Al Izza che si occupa di trasferimento di denaro. La ditta si è infiltrata con autorità tra le compagnie di bus che si moltiplicano a Niamey. Prezzi ridotti per liquidare la concorrenza e farsi un posto al sole del Niger che rispunta con la consueta autorità dopo la polvere. Da Madawa a Niamey il biglietto arriva appena a 7 mila franchi, che poi fa 11 euro. Almeno 2 volte meno del prezzo abituale. Da Madawa, a pochi kilometri dalla Nigeria, Martin, la signora e i due figli hanno preso il bus per raggiungere la capitale. Il primo figlio l’hanno chiamato Kennedy per via delle nuove frontiere che si pensavano a quel momento in via di estinzione. La seconda è una bimba di qualche anno a cui hanno affidato il nome di Josephine. Quanto alla moglie giura che si chiama Mamy, nel caso sorgessero dubbi . Nessuno di loro sta bene e Martin sente la stanchezza della strada e dei sei mesi di lavoro non pagati. Madawa è un villaggio non lontano da Maradi, città di commercianti e contrabbandieri di confine.
Martin si era rifugiato in Costa d’Avorio durante la guerra di Charles Taylor negli anni novanta. Lui e la metà della popolazione della Liberia avevano trovato nel paese confinante una parvenza di tranquillità. Da lì era poi andato in Ghana e in seguito nel Gabon, in quel momento affogato dal petrolio e dai soldi facili. Dopo qualche tempo Martin passa in Nigeria e si trova per casualità nel Tchad. L’occasione per il concepimento, la nascita e l’avvio virtuale della vita dei due figli e poi il ritorno al paese di fuga, la Liberia. Riparte nel 2008 perché il viaggio l’ha contaminato e il paese d’origine tradisce e svende i suoi figli ai migliori acquirenti umanitari di povertà. Stavoltà è il turno dell’Algeria e poi della Libia per qualche mese dove è arrestato, fatto prigioniero e infine espulso nel deserto al confine con Niger. Scende fino a Madawa e diventa apprendista contadino nello scarso terreno arabile che spinge i locali a migrare. Se ne va, e con lui parte la famiglia perché il padrone nigerino non lo paga e di salute non sta bene. E con lui viaggia la famiglia.
Martin ha imparato a fare il meccanico a Djamena, la capitale del Tchad dove, per altri motivi, ha avuto da Mamy i due figli che vivono, come lui, di migrazione senza fine. Un amico gli aveva consigliato di raggiungere l’Italia per via marittima e da allora è solo il mare di sabbia che l’ha circondato e imbrogliato. Martin si trova a Niamey con un biglietto del bus della nuova compagnia Al Izza che straccia i prezzi abituali per conquistarsi un posto nel mercato dei trasporti di persone, beni e migranti. Martin ha adesso 42 anni e la geografia si trova disegnata negli occhi e nelle mani che tendono il biglietto ancora in buon stato del bus di linea. Il colore dei pulman e delle stazioni della nuova compagnia è giallo intenso con bordi neri per solidarietà col popolo trasportato a prezzi di concorrenza. Dopo qualche giorno passato gratuitamente alla stazione della compagnia, Martin ha trovato rifugio nei dintorni del quartiere popolare di Gamkallé. Quello che i liberiani hanno scelto come primo luogo di approdo dopo la traversata del mare di sabbia.
Tante vite in una per Martin. La maledetta guerra che allunga i tentacoli fino adesso e che Martin si porta dietro come il biglietto del bus di Al Izza a cui si aggrappa come una scialuppa di salvataggio. Non vuole tornare al paese che non riconosce come proprio e soprattutto non a mani vuote. Partito un giorno e mai più tornato. Meccanico per le circostanze, contadino per forza, sposo e padre in esilio e col transito senza fine che ne confisca gli anni. Josephine è il nome dato alla figlia per ricordare quello di sua madre e Kennedy quello affidato al primogenito. Il nome del presidente della nuove frontiere di sabbia che Martin si ostina ad attraversare.
Mauro Armanino, Niamey,
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