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La guerra contro i lavoratori. A Pontedera l’ultima vittima

Fabio Cerretani è morto schiacciato da una pressa, mentre svolgeva il suo lavoro alla Revet di Pontedera, azienda a controllo pubblico, amministrata da un gruppo di manager che mettono in pratica, sulla pelle dei lavoratori, le logiche del massimo profitto, a discapito della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Un sistema che funziona da oltre venti anni, macinando vite e salute di milioni di lavoratori in tutta Europa. In Italia questa guerra “unilaterale” costa oltre 1.000 lavoratori morti ogni anno. Più di 20.000 morti, per rispettare i dogmi di un capitalismo immerso in una crisi sistemica che non vede vie di uscita se non quelle dello sfruttamento intensivo delle classi lavoratrici, manuali e mentali.

Le linee guida di questo massacro sono imposte dall’Unione Europea, attraverso un complesso sistema di raccomandazioni, applicate dai governi nazionali e dalle amministrazioni locali. Ricette economiche, sociali e politiche devastanti, che hanno distrutto lo Stato sociale e la quasi totalità dei diritti del e nel mondo del lavoro.

Questo è il contesto che sostiene e legittima Consigli di Amministrazione come quello della Revet e di altri centinaia di gruppi manageriali impegnati a spremere sempre di più i lavoratori, coadiuvati da una legislazione ferocemente antioperaia (Jobs Act, abolizione dell’Art. 18), da sgravi fiscali e da enormi contributi pubblici a fondo perduto.

Di fronte a questa strage le dichiarazioni di politici, amministratori e sindacalisti confederali collusi assumono le caratteristiche della più cinica ipocrisia, dato che le loro responsabilità dirette sono evidenti e facilmente rintracciabili nella legislazione nazionale, regionale e locale, negli accordi aziendali, nella riduzione delle risorse e del  personale preposto ad esercitare funzioni di controllo all’interno dei luoghi di lavoro: Direzione Provinciale del Lavoro (ex Ispettorato del Lavoro), Vigili del Fuoco, Azienda Sanitaria Locale.

Il presidente della Regione Toscana, di fronte a questo ennesimo “omicidio bianco”, parla di carente “cultura della prevenzione” tra i lavoratori, quando è evidente che senza risorse non è possibile alcuna politica “culturale” in materia. Per fermare la strage occorre rompere i “patti di stabilità” imposti dall’Unione Europea alle spese delle amministrazioni locali, distogliere margini di profitto dalle tasche dei padroni alla prevenzione, alla formazione, agli investimenti per la sicurezza.

Non saranno politicanti, amministratori locali, manager e sindacalisti collusi a fermare il bagno di sangue. Tutti questi personaggi giocano sempre sul fattore “tempo”: dopo le dichiarazioni di cordoglio e di buona volontà tutto sarà dimenticato, sino alla prossima vittima quando ricomincerà l’osceno balletto.

Solo il rilancio del conflitto di classe potrà fermare il massacro. La questione della difesa della vita e della salute dei lavoratori deve tornare ad essere centrale in ogni vertenza locale e nazionale, insieme alla lotta per distruggere un sistema che si nutre della sofferenza e dello sfruttamento di lavoratori e masse popolari: il capitalismo ed i governanti che ne difendono gli interessi.

 

 

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