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Puigdemont e gli altri, liberi ma “vigilati”

Match quasi pari, al primo incontro con la giustizia belga incaricata di far eseguire quella spagnola. Carles Puigdemonti, presidente destituito della Catalogna, e i quattro ex ministri che lo hanno seguito a Bruxelles, non vengono infatti restituiti alla vendetta di Rajoy, ma neanche potranno girare per l’Europa come liberi cittadini.

Il vertice istituzionale dell’indipendentismo catalano resta dunque in libertà vigilata entro e non oltre i confini del Belgio.

Lo ha deciso il giudice istruttore incaricato di esaminare il mandato di arresto europeo spiccato dalla Spagna.

I cinque, ieri mattina, si erano consegnati alla polizia giudiziaria di Bruxelles. Dopo una lunga giornata trascorsa in Procura è arrivata la notizia del rilascio con una serie di misure cautelari: obbligo di restare nel paese, ritiro del passaporto, restare a disposizione del giudice e comunicare il domicilio.

E’ il risultato di un atteggiamento “rispettoso” dell’autorità giudiziaria del paese ospitante, con cui era stato concordato un appuntamento presso il commissariato della polizia federale. “E hanno rispettato l’appuntamento”, ha detto il portavoce della procura, Gilles Dejemeppe.

Nessuna novità è emersa dall’interrogatorio individuale presso il giudice istruttore, alla presenza dei loro legali che hanno scelto – significativamente – il fiammingo come “lingua di lavoro” per il dialogo con i giudici. Il fiammingo è infatti la lingua degli indipendentisti locali, anche se la maggioranza è vallone e dunque parla francese.

Il magistrato, nominato dalla procura di Bruxelles, aveva tempo fino alle 9.17 di stamattina, perché gli accusati possono restare in stato di fermo solo per 24 ore (si sono presentati in commissariato alla stessa ora ieri mattina). Ma tutto è stato molto più rapido, anche per evitare che i cinque passassero una notte in cella. Il che appare più che una “cortesia” per dirigenti politici accusati di “reati” che – in Belgio ma non solo – difficilmente possono essere considerati tali.

La trafila giudiziaria non è comunque finita. Il caso passa ora alla Camera di consiglio del Tribunale di primo grado, che dovrà decidere entro 15 giorni se il mandato europeo emesso dalla Spagna può essere reso esecutivo. Ma qualunque sia la sentenza ci potrà essere un ricorso in appello presentato dalla parte insoddisfatta.

Si può dunque immaginare che la schermaglia si prolungherà con una tempistica che – grosso modo – arriverà nei pressi delle elezioni catalane fissate d’autorità dal governo spagnolo.

Il che mette in tensione, tra l’altro, anche il governo di Bruxelles. Il ministro dell’interno Jambon, senza nemmeno concordare le sue dichiarazioni cone il premier Michel, ha infatti pesantemente criticato le istituzioni dell’Unione Europea, giudicandole”parziali” nella vicenda catalana. “Sono cose successe in uno Stato europeo; mi chiedo cosa spetti l’Ue a pronunciarsi. Se fosse successo in Polonia o in Ungheria, credo avrebbe avuto una reazione diversa”. Ha inoltre chiesto alla comunità internazionale di “vigilare sul rispetto dei diritti in Spagna”, perché Puigdemont e gli altri “hanno solo applicato il mandato che hanno ricevuto dai loro elettori”.

Ogni giorno che passa, insomma, si allargano le smagliature intorno alla posizione ufficiale – e profondamente vile – dell’Unione Europea, fin qui immobile dietro la frase “è una vicenda interna a un paese membro, noi non c’entriamo”.

Si fosse trattato di una legge di bilancio o di un aumento salariale, invece, ci sarebbero entrati eccome…

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