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La guerra finanziaria di JPMorgan contro il Venezuela

Dal 2014, il rischio del paese del Venezuela è passato da 1.458 a 2.989 punti. Vale a dire che ad ogni pagamento del debito venezuelano è sopraggiunto automaticamente un aumento del rischio

Questo articolo compare in contemporanea su Contropiano e L’Antidiplomatico.

da Mision Verdad

Il rischio paese è un indicatore che permette di valutare lo stato di salute finanziario di un paese in base agli impegni di debito che ha contratto, cioè la sua capacità o incapacità di pagare. Nel caso venezuelano è la banca statunitense JP Morgan che elabora questo indice – denominato EMBI -, incentrato principalmente sui mercati emergenti.

Ci sono altri indicatori – come il Credit Default Swap, elaborato dalla banca tedesca Deutsche Bank – che valuta anche la capacità di pagamento di un determinato paese e il rischio d’investimento.

Secondo i punteggi dell’indice (dal più basso al più alto), la credibilità finanziaria, la capacità di pagare e la salute finanziaria variano. La base del calcolo per determinare questi fattori è la relazione del debito estero con il Prodotto Interno Lordo (PIL), cioè la capacità che ha l’economia di ottenere le risorse necessarie per affrontare gli impegni assunti dal paese.

Tuttavia, una lettura comparativa minima consente di constatare che, per quanto riguarda il Venezuela, questo indicatore è utilizzato per scopi politici. Secondo l’economista Pedro Schneider, che lavora per la brasiliana Itaú Unibanco, il debito estero del gigante sudamericano è vicino all’80% del suo PIL, un fattore che provoca incertezza nella sicurezza dei suoi pagamenti a medio termine. Schneider, citato dal quotidiano El Cronista, afferma che questo l’aumento del debito estero è dovuto alla politica neoliberista del governo di Michel Temer.

Per il Brasile, l’indicatore del rischio paese si trova a 245 punti, una cifra sostenibile che rende il paese sudamericano sicuro per gli investimenti e con un’alta certezza di pagamento dei suoi debiti esteri.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il Messico ha un livello di indebitamento del 51% rispetto al suo PIL, approssimativamente. Diversi analisti hanno avvertito che se il governo di Peña Nieto continua con la sua politica di esteso indebitamento, nei prossimi anni il debito messicano potrebbe aumentare al 100% del PIL. Questo renderebbe il Messico un Paese con un debito non pagabile, simile a quello attuale della Spagna, del Giappone o degli Stati Uniti, dove i tassi di interesse su tali obbligazioni sono mantenuti artificialmente bassi in modo da non aumentare i disavanzi fiscali.

Per il Messico, l’indicatore di rischio del paese è di 186 punti, cifra che lo rende un paese meno rischioso del Brasile e altamente sicuro in merito al pagamento del suo debito.

Questi punteggi assegnati a Brasile e Messico stimolano il flusso di capitali a beneficio di gruppi di potere economico altamente concentrati, in quanto la privatizzazione delle risorse energetiche e delle società pubbliche strategiche offrono una gigantesca opportunità di investimento.

In Venezuela l’indice EMBI cambia drasticamente. Secondo la Cepal, il Venezuela ha un debito estero che rappresenta solo il 21,7% del suo PIL. Altre stime ritengono questo rapporto leggermente maggiore, ma sempre su una scala che non supera il 50%, una cifra molto inferiore rispetto a Brasile e Messico.

Secondo quanto reso noto dal presidente Nicolás Maduro, dal 2014 al 2017 sono state cancellate posizioni debitorie estere per un importo approssimativo di 70 miliardi di dollari, dimostrando che il paese ha capacità di onorare gli impegni e buona salute finanziaria. Senza compromettere gli investimenti in campo sociale ed economico.

Per il Venezuela, l’indicatore di rischio paese si trova a 2.989 punti, omettendo che secondo la base di calcolo di JP Morgan, visto il suo livello di debito gestibile rispetto al PIL, il Venezuela dovrebbe avere un indice di rischio di paese, similare o quantomeno inferiore a quello di Messico e Brasile.

Secondo l’EMBI, il Venezuela è il paese più rischioso del mondo per gli investimenti, per cui la capacità di pagamento di uno Stato che ha rispettato gli impegni internazionali sarebbe presumibilmente compromessa.

Dal 2014, il rischio del paese del Venezuela è passato da 1.458 a 2.989 punti. Vale a dire che ad ogni pagamento del debito venezuelano è sopraggiunto automaticamente un aumento del rischio.

Il fattore determinante per rendere questo paradosso una realtà è squisitamente politico. Le sanzioni e il blocco finanziario imposti dagli Stati Uniti attraverso il Dipartimento del Tesoro, a cui si aggiunge l’ostruzione finanziaria esercitata dal 2016 dall’Assemblea Nazionale in mano all’opposizione, ha contribuito enormemente a dipingere il Venezuela come un paese instabile, con elevata incertezza e insicurezza nei pagamenti.

L’indice del rischio paese è stato utilizzato come arma di guerra finanziaria per allontanare gli investimenti dal Venezuela, al fine di complicare una eventuale ristrutturazione del suo debito come obiettivo finale, mentre nel quotidiano complica l’ingresso di valuta estera e limita la capacità di ripresa economica del paese.

Affermando che la PDVSA non aveva provveduto ai pagamenti, alla fine del 2016 la banca JP Morgan emise un avviso di default contro il Venezuela per distruggere la sua credibilità finanziaria. In realtà fu la banca Citibank ad essere responsabile dei mancati pagamenti, un’opportunità usata da JP Morgan per generare un clima di incertezza e inquietudine sul debito venezuelano.

Questa stessa banca è quella che decide quale paese è rischioso e dove non investire. Tenuto conto degli interessi che ha sulle grandi risorse energetiche del paese e nella politica sovrana dello Stato che utilizza le entrate petrolifere per gli investimenti sociali, il rischio paese assegnato al Venezuela conferma l’assedio contro il Venezuela del capitale globale. E l’assedio è politico e si esprime nel campo finanziario.

(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)

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