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Servizio militare obbligatorio: “a chi la vittoria?”

Nella sua quotidiana ansia di sparare un corbelleria in grado di fargli tenere il centro della scena politica, il fascioleghista Salvini ha pestato il piede là dove proprio non doveva. Lo si può capire: non essendo ancora riuscito a produrre un benché minimo provvedimento-bandiera (neanche da ministro dell’interno, visto che la “chiusura dei porti” è stata annunciata via twitter o in tv, ma non è mai stato diramato un ordine del genere), diventa indispensabile far parlare d’altro.

La sortita sulla reintroduzione del servizio militare obbligatorio, però, ha fatto scoprire il gioco su un fronte dove la sua ignoranza del sistema di potere (che pure dovrebbe gestire, ora) è balzata fuori con disarmante evidenza.

Il poverino parlava addirittura di alcuni casi di cronaca, con protagonisti ragazzi border line o annoiati. “Vorrei che oltre ai diritti tornassero  a esserci i doveri”, perché di fronte ai casi di mancanza di educazione e senso civico, “facciamo bene a studiare i costi, i modi e i tempi per valutare se, come e quando reintrodurre per alcuni mesi il servizio militare, il servizio civile per i nostri ragazzi e le nostre ragazze così almeno impari un po’ di educazione che mamma e papà non sono in grado di insegnarti“.

Sorvoliamo sull’idea ridicola che il servizio militare possa essere concepito come una sorta di “collegio duro” – un periodo di carcerazione preventiva in assenza di reato – per “insegnare l’educazione”. Ci dovrebbero essere la scuola e i normali rapporti sociali, per questo; ma la prima è sulla via della rottamazione e i secondi sono improntati all’onanismo individualista, quindi impossibilitati a far introiettare qualsiasi “regola” limitativa dell’”autoespressione”.

Più interessante, infatti, è la bastonata arrivatagli dagli “ambienti della Difesa”: “Il ministro Trenta si è già espressa sul tema nei giorni scorsi: è una idea romantica, ma i nostri militari sono e debbono essere dei professionisti e su questo aspetto è d’accordo anche Salvini“. Della serie: non provare a rilanciare o smentire, come sei solito fare, perché abbiamo pronto alche il resto…

Neanche le beghe interne al governo grillin-leghista, però, sono il centro della questione. Lasciamo volentieri a Repubblica e ai vertici del Pd le chiacchiere su questo punto.

Il cuore della questione è in un’altra considerazione che gli anonimi “ambienti della Difesa” hanno evidenziato per liquidare le battute di Salvini come una goliardata “romantica”: Nei giorni scorsi, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta aveva sottolineato, durante un’intervista, che il servizio militare obbligatorio è un qualcosa “non più al passo con i tempi”. I soldati di oggi, aveva spiegato il ministro, “sono dei professionisti. E non abbiamo più le truppe che vengono dalle Alpi”. Dunque, “non c’è più bisogno di tanti soldati tutti insieme.

Qui si sente l’odore acre della Nato al tempo della guerra asimmetrica, il fastidio dei professionisti che si vedono coinvolti nelle fesserie di un dilettante, ma soprattutto si ricorda che la guerra oggi è un’altra cosa: Il potere – statuale o meno, ma questa è un’altra discussione – non ha più bisogno del “popolo in armi”.

Non è una cosa nuova, né una caratteristica specifica di questo paese. In tutto l’Occidente capitalistico la leva militare è stata abolita a partire dalla fine degli anni ‘70, con un periodo più o meno lungo di trapasso. Il Salvini che ha “bigiato” il servizio militare dovrebbe saperlo…

Sul piano strettamente politico-conflittuale si potrebbe pensare che questa scelta sia stata una conseguenza positiva dei movimenti giovanili precedenti, quelli che negli Usa avevano creato un enorme problema politico-sociale (c’era da andare a morire o restare invalidi combattendo in Vietnam, mica solo la controcultura e il rock&roll), e in Italia qualche preoccupazione (i “proletari in divisa” avevano simboleggiato, per qualche anno, i pericoli derivanti dall’inserimento in reparti armati di “teste calde della contestazione”). Ma altrove questi problemi non si sono presentati con la stessa rilevanza o dimensione sociale. Dunque la ragione del passaggio da un esercito che manteneva un’ampia quota di soldati-massa a uno composto di soli specialisti professionali deve avere una spiegazione meno occasionale.

A ben guardare, in effetti, la rapida scomparsa del soldato-massa (“il fante” preso dalla sua casa e sbattuto al fronte con una preparazione pressoché inesistente) avviene contemporaneamente alla scomparsa dell’”operaio massa” nelle fabbriche. Anche in quei paesi la cui classe operaia non era stata particolarmente combattiva.

Le esigenze di governance (e di massimizzazione dei profitti) hanno trovato risposta, in entrambi i casi, con l’innovazione tecnologica fenomenale rappresentata dall’automazione gestita informaticamente.

In campo militare, dunque, non occorrevano più milioni di fanti che si scontravano con altri milioni nemici per schiodare – per pura consunzione – le sorti della guerra. Stalingrado e il D-Day, da questo punto di vista, rappresentano iconicamente il massimo che si potesse raggiungere.

Ma così come la fabbrica può produrre quasi senza operai manuali (che non vuol dire – attenzione! – “senza lavoratori dipendenti”), così la distruzione del nemico fino al punto di provocarne la resa (l’obiettivo di qualsiasi guerra) non ha più bisogno della “regina delle battaglie”, ossia la fanteria.

Per massacrare milioni di esseri umani, armati o meno, esistono ormai decine di strumenti militare gestibili da remoto (dai droni ai mini-sommergibili, dagli shock della produzione elettrica ai missili intercontinentali), senza la presenza di combattenti sul campo almeno fin quando la resa del nemico – reale o apparente, il che è un bel problema – non consente di occupare un certo territorio e disciplinarne la popolazione in vista dei propri obiettivi.

La “guerra asimmetrica” è stata l’unica forma di guerra combattuta dall’imperialismo Usa e Nato negli ultimi 70 anni. Anche quella del Vietnam lo è stata, ma lo sviluppo tecnologico raggiunto fin lì – nonostante l’abuso di napalm – non era sufficiente a sostituire l’operatività di truppe sul terreno.

La svolta avviene con la fine degli anni ‘80. Prima con una serie di invasioni sperimentali (Panama, Grenada, ecc), poi con prima guerra all’Iraq, ben presto accompagnata dagli attacchi alla Yugoslavia, all’Afghanistan post-sovietico, di nuovo all’Iraq, ecc.

Guerra asimmetrica, in poche parole, è quel conflitto in cui la dotazione militare delle due parti è strutturalmente squilibrata sul piano tecnologico: una parte ha i cacciambombardieri e l’altra no (o perlomeno sono di generazioni molto differenti, quindi per quelli più “arretrati” è come non averli), una ha l’atomica e l’altra no, una ha i missili intercontinentali e l’altra no, una ha i droni bombardieri e l’altra no, una può impedire le comunicazioni nemiche e l’altra no, ecc.

La fanteria, in questa guerra, diventa polizia urbana in territorio nemico. Come ci hanno mostrato i migliori registi di Hollywood a proposito del dopo-seconda guerra in Iraq (o in Somalia, con Black Hawk down di Ridley Scott), il fante moderno è un serial killer di civili, a volte resistenti e combattenti, altre no (è il dubbio che Clint Eastwood rappresenta in American Sniper). E’ un cecchino iper-allenato, dentro squadre composte di specialisti diversi (comunicazione, esplosivi, interpreti, ecc).

Nessuno spazio, insomma, per giovani liceali o contadinotti senza esperienza. Quelli, semmai, li hanno di fronte, tra i civili inferociti d’esser stati invasi e che “resistono” con i mezzi che trovano, con l’ideologia o la religione che trovano. Anche se fossero del tuo stesso paese, alla fin fine (la moltiplicazione dei “soldati nelle strade” è un tipico esperimento di assuefazione di massa al regime di occupazione, “per difenderti dal terrorismo”…).

Salvini, parlando di servizio militare obbligatorio, ha parlato insomma di un mondo che non esiste più. “Romantico” nel senso di risalente a secoli fa.

Ma la sua sortita, come vediamo da molti commenti non brillanti, consente di interrogare anche il campo dell’opposizione politica, di certa “sinistra”. C’è chi rivendica “la vittoria” dell’abolizione del servizio di leva senza aver ancora capito che questa decisione era già stata presa a livello della Nato; ma volevano che tu ne fossi contento, e quindi fornissi il tuo “consenso disinformato”. Fatto. In nome del “pacifismo” nei confronti del potere e della critica di “estremismo” verso i resistenti…

Gli stessi, a volte, si indignano con Salvini ricordando l’Art. 52 della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita:

La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.

Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.

L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.

Non serve un genio per capire, dunque, che chi ha voluto e preteso – ai vertici della Nato o dentro “i movimenti” – l’abolizione del servizio militare obbligatorio si è mosso in un senso incostituzionale. Di collusione col nemico, in ultima analisi.

Non perché fare il servizio militare sia “bello” o “patriottico” (anche se la Costituzione dice proprio questo, come “dovere civico” di tutti, donne comprese), ma per un motivo ben più concreto: chi monopolizza l’uso della forza comanda, anche senza troppo consenso.

Gli altri, come sempre, bofonchiano dalle profondità dell’impotenza, delirando di altri mondi…

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5 Commenti


  • Fausto Angelini

    Bell’articolo, evidenzio solo una sbavatura nel finale: nel passaggio dalla leva obbligatoria all’esercito di mercenari, nella seconda metà degli anni ’90, il movimento pacifista (quello che ne restava, dopo la prima guerra del golfo e la ex Jugoslavia) seppe, abbastanza al completo, riconoscere la questione reale e opporvisi coerentemente, così come la sinistra politica (rifondazione). A volere l’abolizione della leva furono solo i vertici della Nato e i loro servi

    Fausto Angelini


    • Redazione Contropiano

      Hai ragione, ma anche settori di “movimento” erano per mettere fine alla naja (nel decennio precedente c’era stata una forte incentivazione dall’alto del “servizio civile”, per cui si otteneva molto più facilmente il permesso)… e non passò molto tempo che si cominciò a considerare l’abolizione come una cosa ormai scontata e “positiva”…


  • tonino

    E allora? Quale conclusione? Vanno bene i professionisti perchè è lo spirito dei tempi? Cosa fatta capo ha? Secondo me qualcosa si dovrebbe dire, o è un’altra cosa, insieme alle pensioni, all’uscita dall’euro, al precariato, ecc… che lasciamo gestire alla destra?


    • Redazione Contropiano

      Un articolo parla di un problema, per quanto grande possa essere, e non di tutto l’universo e zone limitrofe. La questione vera è: quale potere può sostituire l’attuale, cambiando le priorità, le modalità di vita comune, il modo e il perché produrre, e quindi anche come organizzare “la difesa” della collettività (non necessariamente “nazionale”, com’è ovvio)… Si chiama Rivoluzione, e non è dietro l’angolo, pare…


  • Manlio Padovan

    Riporto qui alcuni pensieri, non sempre miei, raccolti qua e là. Mi piacerebbe sapere codsa ne pensate.
    Leva obbligatoria
    A me pare che un esercito basato sulla leva obbligatoria, quindi popolare, sia pur sempre meglio di quello professionale e sostanzialmente mercenario che è il braccio armato dell’élite globalista e imperialista, subordinato a comandi anche stranieri; quindi per sua stessa natura antidemocratico.
    Pensare di eliminare la guerra e l’esercito è un obiettivo sacrosanto da perseguire; ma al momento e chissà fino a quando, rimane pura utopia, direi una visione religiosa della politica.

    Un modello potrebbe essere l’esercito svizzero, si possono apportare eventuali modifiche, basato sul criterio della milizia popolare, ovvero sul principio che ogni cittadino è soldato. Il modello svizzero prevede che il servizio militare deve essere un servizio operativo armato con richiami quinquennali di addestramento fino al compimento dei 45 anni .
    Senza forti forze armate, convinte del loro ruolo, è inutile parlare di sovranità del popolo. Chi può difendere la sovranità quando essa venga messa in pericolo? Quindi la leva deve essere obbligatoria per tutti, uomini e donne. Il servizio potrebbe essere svolto nelle forze armate oppure nella protezione civile. Ricordo che ci fu un tempo l’obiezione alle spese militari, ed io fui un obiettore, che era purtroppo di origine cattolica, ma la chiesa nella sua infinita bontà, con l’amore per la pace che la contraddistingue, ecc., mai la appoggiò. Fu quella l’occasione per parlare della difesa popolare non violenta, che prendeva spunto da eventi olandesi e danesi della seconda guerra mondiale e che avevano avuto non poca efficacia nel contrastare l’occupazione tedesca.
    Con il servizio di leva obbligatorio l’esercito è popolare e di massa. E’ complicato coinvolgerlo in operazioni belliche sporche ed aggressive basate tra l’altro su menzogne più o meno spudorate. La gente si fa domande, contesta. Ne sanno qualcosa gli americani con la loro guerra in Vietnam.
    L’esercito di professionisti invece è addestrato appositamente per combattere senza fare domande. Fu questo il motivo per cui abolirono il servizio militare obbligatorio e non certo per il ripudio della guerra, che hanno continuato a fare impuniti in giro per il mondo, e del militarismo che al contrario è pienamente insito nella mentalità imperialista che contraddistingue l’occidente capitalista. Sono pagati per quello, è il loro mestiere ed anzi la guerra diventa lo sbocco naturale della loro attività: non dimentichiamo che i carabinieri furono tanto fedeli nei secoli che ebbero il compito di colpire alla nuca i militari italiani che giustamente si rifiutavano di andare all’attacco con sicura morte per colpa degli ordini di quegli imbecilli che ce li mandavano…e che erano sempre al riparo;…ma continuiamo a tenere intestate vie e piazze a quell’inetto del generale Cadorna!

    Naturalmente occorre garantire il diritto a spazi democratici e di autodeterminazione dei soldati. L’idea, da riproporre oggi per un’eventuale nuova leva, militare o civile, è quella dell’intima connessione tra forze armate e società civile, territorio, istanze e bisogni popolari. Un esercito scuola di costruzione della democrazia a partire dai suoi cittadini organizzati in servizio di leva, dalla compartecipazione di militari, comandi e politica nelle decisione riguardanti attività di difesa e di intervento nelle problematiche nazionali, nell’assoluto rispetto dell’art.11 della Costituzione. I soldati di leva andrebbero pagati e istruiti sulla Costituzione che ripudia la guerra e sui diritti del militare.
    Missioni all’estero, che non siano per aiutare a estrarre persone da sotto le macerie del terremoto neanche a sognarle.
    Credo che ogni Stato realmente democratico all’interno e indipendente in politica estera abbia forme di leva obbligatoria….noi ormai da tempo non siamo più una democrazia se non solo formalmente. L’imperativo per noi deve essere quello di ripristinare la democrazia, la sovranità del popolo, attuare la Costituzione, e ciò non si può fare con l’esercito di professionisti, né può arrivarci dall’alto che è come dire dai cialtroni della politica.
    Per quanto riguarda il servizio civile, in una comunità democratica convinta della sua unità, tutti i lavori sono un servizio civile. Ogni lavoro costituisce la partecipazione della persona alla comunità, il suo dovere; in cambio la persona riceve dalla comunità nazionale a cui appartiene ciò di cui ha bisogno, il riconoscimento dei suoi diritti.

    E noi abbiamo bisogno di ricostruire un forte sentimento di appartenenza alla comunità nazionale: basti pensare all’eterno divario nord-sud. Certo non si può riuscire nell’intento con uscite propagandistiche e semplificate.

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