È la primavera dei generali, quelli dei golpe e dei colpi di mano. Il ritornello più stucchevole della comunità internazionale udito in questi anni davanti alle crisi mediorientali è il seguente: «La soluzione non è militare ma diplomatica». Niente di più falso. Lo abbiamo sentito a proposito della Siria per anni, poi le fette di torta le ha fatte con l’intervento militare la Russia di Putin appoggiando Bashar Al Assad. Lo stesso sta accadendo in Libia.
Il generale Khalifa Haftar, cittadino americano – che piace all’Egitto alla Francia, alla Russia, all’Arabia Saudita e agli Emirati – da due mesi sta compiendo avanzate militari nel Paese. Forse solo il nostro governo, con l’Onu, non se ne era accorto, pur di blaterare un altro comodo e falso ritornello: «La Libia è un porto sicuro». Insieme alle ripetute accuse a Parigi, questo slogan ha innescato un puerile coretto governativo. Anche in Sudan la situazione l’hanno presa in mano i militari che vorrebbero sigillare per un paio d’anni il Paese da ogni pulsione democratica.
E sono ancora i generali gli arbitri delle proteste in un’Algeria che vorrebbe tanto farla finita con il sistema legittimato dalla lotta anti-francese e poi dalla guerra civile degli anni ’90. Sono problemi complessi, che si trascinano da decenni, ma i generali, sostenuti dall’Occidente e dalle potenze regionali, offrono soluzioni apparentemente facili brandendo il bastone.Quali sono gli obiettivi?
1) Chiudere i conti con l’Islam politico e la controversa stagione delle primavere arabe. A Tripoli Fratelli Musulmani e jihadisti sostenuti da Qatar e Turchia devono essere fatti fuori: ecco perché il governo Sarraj voluto dall’Italia e riconosciuto dall’Onu non può reggere a lungo. Spingendosi magari anche più in là: anestetizzare ogni alternativa democratica per tornare a plebiscitarie elezioni-farsa.
2) Fermare i flussi migratori e militarizzare le frontiere. I confini devono restare questi, ereditati dal colonialismo, e non si devono cambiare. È la vendetta postuma di Sykes-Picot, l’accordo anglo-francese del 1916. L’unico Paese autorizzato a cambiare le frontiere è Israele che può inglobare territori siriani e palestinesi con l’approvazione americana. Si possono al massimo concedere «fasce di sicurezza», per la Turchia in Siria, a danno dei curdi, o per l’Egitto in Cirenaica.
3) Imporre un ritorno all’ordine economico precedente le rivolte contro i vecchi regimi, quando le multinazionali potevano con una certa sicurezza estrarre risorse dall’Africa e dal Medio Oriente. La variabile fastidiosa è quella cinese ma a questa ci pensano gli americani con la guerra dei dazi. Poi naturalmente restano le sanzioni, con cui isolare i Paesi più riottosi, come l’Iran o il Venezuela.
Il modello è quello egiziano del generale Abdel Fattah al Sisi, dal 2013 lo sterminatore dei Fratelli Musulmani, che come segnalava sul manifesto Chiara Cruciati, al vertice euro-arabo di Sharm el Sheikh è stato investito del ruolo di guardiano del Sud, così come Israele è il guardiano del Medio Oriente.
Il tutto finanziato dai sauditi: i massacratori dello Yemen e mandanti dell’omicidio Khashoggi un tempo appoggiavano rivolte e terroristi per tenerli lontani da casa loro, adesso portano soldi ai generali e nelle casse dell’industria bellica occidentale. Meglio di così…
Ma sia chiaro: ci sono i militari che piacciono e altri definiti terroristi. L’America di Trump, giusto per dare un altro aiutino a Netanyahu alla vigilia del voto israeliano, ha messo in lista nera tra le organizzazioni terroristiche i pasdaran iraniani. Ora l’Iran non è uno stato terroristico più di quanto non lo siano gli Usa, Israele, la Russia, anzi forse a volere ben vedere lo è meno degli altri, visto che le milizie sciite al comando del generale iraniano Qassem Soleimani hanno in parte salvato le minoranze cristiane e yazide dalle stragi del Califfato. Certo lo hanno fatto anche nell’interesse di Teheran ma non è colpa sua se Usa, Occidente e Paesi arabi alleati commettono errori strategici madornali, dall’invasione dell’Iraq nel 2003 al tentativo di abbattere Assad usando i jihadisti.
A proposito dell’Isis: Francia, Gran Bretagna e Germania hanno rinunciato a processare i loro foreign fighters che insieme a altre centinaia di jihadisti sono nella carceri irachene dove, assicura presidente Barham Salih, verranno impiccati. Per loro non ci saranno tribunali pubblici come per la ex Jugoslavia e imbarazzanti testimonianze sulle complicità internazionali con il Califfato: tutto deve essere sotterrato alla svelta, come fanno i bravi ragazzi.
Non disturbate i generali, stanno lavorando per voi.
* da ilmanifesto.it
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Andrea U.
Si, le analisi di Negri sono tra le pochissime che ci offrono le oggettive ragioni principali di tipo geostrategico di molti avvenimenti dell’attuale consesso globale capitalista degli stati. Capitalismo di stato cinese compreso!
Però non dobbiamo scordare – ora che si parla persino di una catastrofe ecologica generale che si avvicina – delle questioni di fondo. Che ci concernono ormai a tutti i popoli del pianeta Terra!
Per esempio, come ho trovato in un eccellente piccolo saggio di K. Raveli, “Proprietà, patriarcato e criminalità ecologica Cop24”, quando scrive in termini ben più concreti, alla fine del paragrafo ‘Politica e scena politica reale’:
“Prima conclusione: la nostra ‘scena politica’ in cui lavorare e muoverci in modo prioritario, anche come movimenti femministi ed ecologisti, è quella della ‘società reale’, dei movimenti sociali, del territorio vivo, dei rapporti tra tutti i corpi, campi e settori ‘di classe’, organismi, collettivi e gruppi di base. E non nelle scene determinate ogni volta da logiche ed esigenze di regime, partitocratiche, elettoralistiche, parlamentariste condizionate dalle Opinioni Pubbliche delle mafie mediatiche; tipo ‘metoo’ o le varie Greenpeace, WWF, ecc. cioè fenomeni in fin dei conti para-istituzionali, per intenderci.”