Perché in Veneto le conseguenze della pandemia non è andata e non sta andando come in Lombardia? Eppure i presupposti c’erano tutti. Ma le cose sono andate e stanno andando diversamente. Una delle risposte è che si è scelto di fare più tamponi e che questa sia la strada anche per affrontare la fase 2.
A spiegarlo è il prof. Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’università-azienda ospedaliera di Padova, che ha sperimentato la strategia dei tamponi a tappeto a Vò Euganeo, uno dei primi focolai di coronavirus in Italia e poi ha lavorato per aumentare la capacità di testare in tutto il Veneto, costringendo il governatore Zaia a seguire una strada diversa dai suoi colleghi in Lombardia e Piemonte (e i risultati si sono visti).
Il prof. Crisanti ha lanciato l’appello per i “tamponi di massa”, firmato anche da altri docenti e specialisti italiani aderenti a Lettera 150. Il Veneto con 18.479 casi totali di contagiati ha fatto ad oggi 399.806 tamponi (231.469 casi testati), la Lombardia con 79.369 casi totali ha fatto 439.806 tamponi (262.964 casi testati), il Piemonte con 27.939 casi ha fatto 188.057 tamponi (131.269 casi testati), l’Emilia con 26.379 ha fatto 211.652 tamponi (138.871 casi testati).
Adesso tutti dicono che stanno facendo più tamponi, ma alla fine ancora d tamponi non se ne fanno abbastanza, anzi si perde ancora moltissimo tempo.
Crisanti segnala questa contraddizione spiegando che in Veneto hanno scelto questa strategia già da due mesi attrezzandosi per tempo: “La nostra capacità è il risultato di decisioni prese tempo fa: non è che oggi dici ‘faccio i tamponi’ e domani inizi. Bisogna ordinare i reagenti, bisogna reclutare il personale, sistemare il flusso di informazioni. Non si fa dall’oggi al domani”.
In Veneto hanno deciso di organizzarsi in proprio. Spiega ancora il prof. Crisanti che “Noi fin dall’inizio abbiamo fatto la scelta di non affidarsi a dei fornitori ma di fare noi la maggior parte dei reagenti, acquistando le sonde molecolari separate. Tutta una serie di decisioni che poi si sono rivelate vincenti. Perché se io volessi iniziare adesso a fare i tamponi sicuramente avrei difficoltà: dovrei aspettare un paio di mesi che arrivano gli strumenti e dovrei poi fare affidamento sui fornitori per avere i reagenti. E con i fornitori in questo momento è una specie di far west: danno un po’ ad uno e un po’ all’altro, c’è una rincorsa. Quindi chi dipende da fornitori e da sistemi che non sono flessibili in questo momento soffre”.
Il Veneto, dunque, può fare tutti i tamponi che vuole e non dipende da nessuno. “I reagenti – ricorda Crisanti – noi li abbiamo ordinati in grosse quantità tanto tempo fa e sono tutti reagenti che poi abbiamo assembrato noi, noi non compriamo kit, non compriamo sistemi già pronti da fornitori che poi possono essere usati solo con uno strumento”.
E chiarisce che i test si possono realizzare in due modi. Il primo, con sistemi chiusi: compri la macchina da una ditta, metti il campione del paziente in una scatola, premi il bottone, e non devi fare niente perché il fornitore dà tutto il sistema di processamento e dei reagenti. E’ tutto pronto in una scatola. Non si deve fare niente, solo premere un bottone. C’è un sistema molto più flessibile (seconda modalità) che è quello che usiamo noi, ma richiede anche un po’ di conoscenze e di capacità e soprattutto parte da un presupposto: noi questo tipo di macchina ‘chiusa’ non la utilizziamo perché non ci dà alcun tipo di flessibilità; invece usiamo un cosiddetto sistema aperto: i reagenti li prepariamo noi e così fondamentalmente non dipendiamo da nessuno. Usiamo altri sistemi, diverse macchine che processano diverse fasi della reazione in maniera indipendente, non legate a fornitori particolari. E se un fornitore ci dice domani ‘il kit, il reagente non ce l’ho’, a noi non ce ne importa nulla. Siamo autosufficienti”.
Aggiunge poi che con questa strutturazione “Ci siamo messi a fare i tamponi: siamo passati da poche centinaia a 4000-5000 tamponi a Padova e poi nelle altre province e aziende ospedaliere del Veneto”. Così ora ne fanno ogni giorno migliaia: ieri 8.854, l’altro ieri 7292.
La scelta di fare i tamponi non è ideologica ma pratica e parte dal territorio: “Tutto è partito dallo studio di Vò Euganeo, da quando abbiamo visto quanti asintomatici c’erano a Vò”. Quando si è presentato il primo caso ha ordinato che venissero fatti i tamponi a tutta la popolazione di Vò. “Dopo di che io mi sono reso conto che serviva di più: ho parlato con il presidente della Regione Luca Zaia e gli ho detto che bisognava testare una seconda volta (il secondo giro dopo i primi 14 giorni di quarantena) perché dovevamo capire cosa stava succedendo e una volta sola non bastava. E da lì è nato tutto quanto: la scoperta del 42% degli asintomatici degli infetti, la necessità di fare i tamponi per individuarli e bloccare i contagi. L’evidenza sul campo ha indotto a pianificare una strategia adeguata di risposta: se ci sono gli asintomatici si pone un problema grossissimo perché queste persone come si identificano? L’unico modo che avevamo era quello di fare i tamponi a più gente possibile”.
Per Crisanti quindi è “gigantesco” l’errore dell’aver sottovalutato all’inizio dell’epidemia il contagio degli asintomatici, perché anche se “è normale non sapere di fronte ad un nuovo virus, ma i dati di Vò erano disponibili a tutti dal 27 febbraio. Sono passati oltre due mesi dalla scoperta fatta a Vò che gli asintomatici vanno scovati lo sappiamo da oltre due mesi”.
Ora siamo entrati nella fase 2, dove il lockdown ha ceduto il passo alle riaperture delle attività e della mobilità e lo stare chiusi in casa non fa più da barriera contro i contagi. Le incognite sono numerose e inquietanti. L’appello in 11 punti lanciato dal prof. Crisanti e da altri specialisti è piuttosto semplice: più si testa prima si blocca la trasmissione del virus. Più tamponi, meno morti. Più tamponi, più possibilità di riaprire e riacquistare libertà, seppure con tutte le adeguate protezioni come le mascherine. Quindi : “Fare tamponi a più gente possibile”.
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