Al Senato è stato depositato un disegno di legge di modifica costituzionale con l’obiettivo di rendere lo sport oggetto di promozione da parte della Repubblica attraverso il suo inserimento all’interno dell’articolo 9 della Costituzione che recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”.
Lo sport e un avanzamento delle sue tutele e valorizzazione, sono venuti alla luce come esigenza durante dalla pandemia che ha ristretto in maniera assai significativa le possibilità di praticare attività sportive. Una spinta in tal senso è venuta obiettivamente anche dai recenti risultati ottenuti dalle nostre rappresentative nazionali a livello europeo e olimpionico.
Ma al di là della retorica, quello che è emerso è la necessità di promuovere e regolarizzare compiutamente lo sport a livello nazionale. Anche perché, come dimostra la tabella, in Italia le disuguaglianze sociali nell’accesso allo sport sono ancora fortissime. Introdurre e promuovere il diritto allo sport come diritto costituzionale sarebbe dunque un significativo passo nella direzione di ridurre – o ancora meglio eliminare – le disuguaglianze per i cittadini nell’accesso allo sport. La realtà del paese ci dice infatti che lo sport viene praticato… ma solo a pagamento. Lo Stato, i Comuni etc. non si prendono carico di gestire “pubblicamente” lo sport gratuitamente.
Al momento il “diritto allo sport” viene riconosciuto attraverso la legge n. 280/2003 il cui articolo 1 recita espressamente: “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale.”
Il problema è che, sulla base di questa legge, quello che viene tutelato non è lo sport in sé, ma l’ordinamento sportivo, ovvero il cosiddetto contenitore di tutti gli sport cioè il Coni. Ma la realtà del mondo sportivo in Italia è assai più ampia di quella rappresentata dal Coni che da sempre fa un po’ da “rubamazzo”.
Al contrario, nel caso di un paese come Cuba, anche sul piano del diritto allo sport la differenza è sostanziale
A Cuba sin dalla Rivoluzione del 1959 lo sport è stato riconosciuto come “diritto del popolo” nell’art. 52 della costituzione. E che questa visione sia un valore aggiunto nell’esperienza politico/sociale cubana, è ben visibile nei risultati che fanno di Cuba il Paese latinoamericano ad aver vinto più medaglie olimpiche e la seconda potenza sportiva dei Giochi Panamericani, alle spalle solo degli Stati Uniti ma ampiamente davanti al Canada, sottolinea Giulio Chinappi sul sito specializzato OA Sport.
L’INDER (Istituto Nazione di Sport, Educazione Fisica e Ricreazione) è stato fondato nel 1961, con l’incarico di pianificare i programmi delle varie attività sportive in tutto il Paese e a livello internazionale. In seguito è stata costituita l’ESEF (Scuola Superiore di Educazione Fisica). Nel tentativo di mantenere vivo lo spirito sportivo autentico e di evitare la commercializzazione dello sport, nel 1962 è stato eliminato il professionismo, misura che ancora oggi è in vigore. L’assenza del professionismo è compensata dall’importante sostegno economico dello Stato ai suoi atleti di tutte le discipline, compresi gli atleti paralimpici.
Cuba è protagonista da decenni in numerose discipline. Lo sport nazionale resta il baseball. Gli altri sport in cui Cuba eccelle sono, tra gli altri, il volley, la boxe, il judo e l’atletica.
Inoltre, ricorda OA Sport, il modello sportivo cubano è visto come un esempio in tutto il continente latinoamericano, infatti numerosi Paesi si avvalgono della collaborazione di tecnici ed allenatori provenienti da Cuba. Sono oltre mille gli istruttori sportivi cubani che lavorano presso le federazioni di paesi come Venezuela, Bolivia, Colombia e Repubblica Dominicana, ma anche del gigante Brasile e di numerosi Paesi africani.
L’alterità tra socialismo e capitalismo è una ginnastica sana che dovrebbe essere incentivata, anche su aspetti come questo.
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