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La “Battaglia di Algeri”: un classico del pensiero post-coloniale

Venerdì 25 Febbraio, con inizio alle ore 19:30 e ad ingresso gratuito, riprende, come di consueto a cadenza quindicinale, presso gli spazi della Casa del Popolo Civico 7 Liberato di Napoli -ubicati sotto i portici della Galleria Principe, in Piazza Museo, di fronte al Mann- la Terza Edizione del Cineforum Popolare.

Un appuntamento che si era interrotto a Dicembre, dopo la proiezione dei due film, diretti da Steven Soderbergh, sul comandante Ernesto Guevara de la Sierna –el Che– a causa del rinfocolare della pandemia.

Un appuntamento che, quest’anno -dopo le prime due edizioni presentate negli anni 2019 e 2020, poi interrottosi per il dilagare del Covid- incrocia la grande Storia, con particolare riferimento al colonialismo e ai movimenti di liberazione nazionale.

Lotte di liberazione intraprese dai popoli oppressi, contro la tirannia di giunte militari o di autocrati aguzzini, finanziati e mantenuti al potere da amministrazioni americane, ex potenze coloniali europee e dai brutali interessi di arcigne e muscolari multinazionali.

Movimenti di liberazione contro l’imperialismo europeo e statunitense, da sempre impegnati nel saccheggio delle risorse e nella riduzione in schiavitù di interi paesi e popolazioni.

Come, ad esempio, la Francia in Africa. Soprattutto nella ex colonia di Algeria.

Che, dopo una lunga guerra durata otto anni, riuscì, nel Luglio del 1962, ad ottenere l’indipendenza dall’oppressore francese.

E proprio a questo evento, dunque, sarà dedicata, Venerdì, la prima proiezione della ripresa del Cineforum Popolare.

Una idea militante di cinema che, in questa nuova edizione, non a caso, sostiene la campagna internazionale “Americalatina, una speranza per l’umanità”.

Il film scelto, pertanto, non poteva che essere il bellissimo “La battaglia di Algeri”. Vera e propria opera d’arte in pellicola, realizzata da un grande maestro del cinema italiano come Gillo Pontecorvo.

Un film a metà strada tra il documento storico e l’estetica neorealista, in cui la coralità e il contesto degli eventi sociali e politici costituisco il nucleo ideologico della narrazione.

Film marxista a tutti gli effetti, che potremmo considerare un vero e proprio classico del pensiero Postcoloniale e Terzomondista.

Corrente che ebbe, a partire dalla metà degli anni ’60, i suoi corifei in pensatori e scrittori come Edward Said e Franz Fanon.

Qui di seguito, dunque, propomiamo il mini saggio di Flavio Santi sul film, contenente alcune importanti notazioni storico-critiche e  sull’opera.

La Battaglia di Algeri

Algeri, 1957: Alì La Pointe, capo superstite del Front de Libération Nationale (FLN), una ragazza di nome Halima e il piccolo Omar vengono fatti saltare in aria nel loro nascondiglio dall’esercito francese.

In flashback si torna ad Algeri nel 1954.

Alì La Pointe, piccolo delinquente con precedenti penali, assiste in carcere alla decapitazione di un prigioniero politico e decide di entrare in contatto con l’FLN.

Cinque mesi dopo, uscito di prigione, riceve l’ordine di uccidere un poliziotto alle spalle. Prima di compiere l’omicidio, però, egli disobbedisce mettendosi davanti alla vittima per insultarla; poi scopre che la pistola è scarica e riesce a scappare.

Djafar, uno dei leader, gli spiega che era stato messo alla prova per smascherarlo nel caso fosse stato una spia.

Aprile 1956: l’FLN ripulisce la casbah dalla droga e dalla prostituzione; quindi mette in atto una serie di attentati, prima contro le forze dell’ordine, poi nei posti pubblici.

La polizia francese chiude la casbah con posti di blocco.

Gennaio 1957: Philippe Mathieu, comandante della decima divisione Paracadutisti, assume il controllo dell’operazione ‘Champagne’, che ha il compito di smantellare l’organizzazione dell’FLN; per fare ciò i militari francesi arriveranno a servirsi soprattutto della tortura.

In occasione della decisione dell’ONU di prendere in considerazione la questione algerina, l’FLN proclama uno sciopero generale di otto giorni: l’esercito francese ne approfitta per rastrellare la casbah; nel frattempo l’ONU decide di non intervenire direttamente, formulando solo un auspicio.

Dopo lo sciopero, che ha visto parecchi arresti, l’FLN deve riorganizzarsi: seguono altri attentati.

La casbah è ormai sotto l’assedio dell’esercito francese, che con elicotteri e altoparlanti cerca di dissuadere la popolazione dall’appoggiare l’FLN.

Djafar, circondato e minacciato di essere fatto esplodere, si consegna.

11-21 dicembre 1960: insurrezione del popolo algerino.

Dopo altri due anni di durissimi scontri e perdite umane, il 2 luglio 1962 l’Algeria ottiene infine l’indipendenza.

Nato dalle ceneri di un film che doveva chiamarsi Parà, sulle vicende di un ex paracadutista, l’opera, scartato il soggetto propagandistico di Yacef Saadi, comandante militare dell’FLN e titolare della società coproduttrice, richiese circa un anno per le ricerche e la stesura della sceneggiatura.

Gillo Pontecorvo e Franco Solinas si recarono un mese in Algeria, consultarono i giornali dell’epoca, i verbali della polizia, i discorsi dei colonnelli francesi.

Da qui lo stile documentario sapientemente alternato a uno più narrativo, che inscena potenti parti corali.

L’atteggiamento del regista è estremamente realista, teso a mettere in luce il processo irreversibile della rivoluzione, nel tentativo di comprendere le logiche sia dei colonizzati che dei colonizzatori.

Il vero protagonista è il popolo algerino, con le sue sofferenze, ma anche ritratto senza tacere le crudeltà perpetrate in nome dell’indipendenza (a quest’ultimo proposito, secondo Ben M’Hidi, uno dei capi storici della lotta algerina, il terrorismo serve solo per iniziare, poiché le rivoluzioni poi non si vinceranno con le armi, ma sarà necessaria la partecipazione di tutto il popolo).

Pontecorvo illustra le dinamiche della lotta armata nel Terzo Mondo con uno sguardo attento, che trae ispirazione dalla sua formazione marxista e dalla lettura delle opere dell’intellettuale francese (ma nato in Martinica) Frantz Fanon, che sposò la causa del popolo algerino.

Il carattere di estrema veridicità è ottenuto con un uso frequente del teleobiettivo e mediante una fotografia che rimanda a quella dell’attualità dei settimanali e della televisione, con un bianco e nero di impronta documentaristica.

Il film ha una struttura sinfonica, grazie a un montaggio secco e analogico, in cui le immagini non prescindono dalla colonna sonora, che alterna tempi forti e tempi deboli.

I commenti over dei dispacci dell’FLN e delle disposizioni della prefettura, assieme alla scansione delle date, danno un ritmo incalzante, in un crescendo narrativo.

Girato per i vicoli della casbah con macchina da presa Arriflex a mano, il film è interpretato da attori non professionisti, ad eccezione di Jean Martin (il tenente colonnello che arriva ad Algeri in pompa magna e dà il via all’Operazione Champagne ndr).

Spesso si tratta di algerini che hanno partecipato agli eventi, come Yacef Saadi.

Brahim Haggiag, scelto per la somiglianza fisica col vero Alí, era invece un contadino analfabeta.

L’opera è un’intensa e scomoda riflessione sul destino del Terzo Mondo.

Suscitò polemiche in Francia, dove venne vietato fino al 1971; ebbe notevole risonanza internazionale e fu anche oggetto di studio per le Black Panthers.

La critica americana è stata fra le più entusiaste, formulando importanti paragoni, ad esempio con Orson Welles e David W. Griffith;

in Europa, c’è chi lo ha avvicinato entusiasticamente a Bronenosec Potëmkin (La corazzata Potëmkin) mentre altri ne hanno rilevato invece la mancanza di omogeneità o una visione eccessivamente romantica dell’evento storico.

Secondo alcuni critici, i limiti del film starebbero in una certa superficialità, che ha portato a trascurare il problema dei pieds-noirs e dell’Organisation Armée Secrète (OAS), le lotte contadine e sui monti, le differenti posizioni europee, per concentrarsi esclusivamente su un momento preciso e circoscritto della lotta d’indipendenza, senza per altro fornire un’articolata analisi dell’FLN e dei paracadutisti francesi.

Ma di proposito il film evita tutto questo, lo trascende poeticamente, e la sua grandezza consiste soprattutto nel tono epico e civile, nell’energia e nella vitalità con cui si rimarcano come valori universali la giustizia, l’indipendenza e la lotta contro l’oppressione.

Il film vinse il Leone d’oro e il premio della critica internazionale alla Mostra del Cinema di Venezia; ebbe tre nominations all’Oscar, per il miglior film straniero, il miglior regista e la migliore sceneggiatura originale.

 

 

 

 

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