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Conflitto in Ucraina e movimenti nelle cancellerie europee

Qualche giorno fa, ColonelCassad enumerava una serie di considerazioni:

 – la UE cerca di ottenere la vittoria militare in Ucraina;

 – la NATO continua a schierare forze ai confini occidentali di Russia e Bielorussia;

– nei paesi NATO va avanti il programma di addestramento per l’uso dei mezzi militari dell’Alleanza nella guerra in Ucraina;

 – sono già cominciati ad arrivare in Ucraina sistemi razzo contraerei e a breve è previsto l’arrivo di nuovi missili anti-nave (a proposito dell’incidente con l’incrociatore lanciamissili “Moskva”, ammiraglia della flotta del mar Nero, le fonti russe continuano però a parlare, per ora, di incendio, che ha interessato il deposito munizioni e che potrebbe esser stato causato anche solo da un cortocircuito, su un vascello in linea dal 1982) oltre ai “Penguin” che sono già stati forniti dalla Norvegia, senza parlare di mezzi corazzati, obici, artiglieria pesante, lanciarazzi multipli, aviazione.

Sommario: USA e Gran Bretagna dichiarano apertamente di non volere negoziati con Mosca e che la guerra andrà avanti per mesi o anni.

Questi dati confermano nei fatti quanto detto sin dall’inizio delle operazioni russe, quasi due mesi fa: si è di fronte non al “semplice” conflitto Russia-Ucraina, bensì al riassetto dell’ordine mondiale.

Dal momento che Washington contava su un Blitzkrieg e una altrettanto rapida rovina dell’economia russa, accompagnata da “rivolte popolari” contro il governo e dato che ciò non si è avverato, allora l’alternativa è la prosecuzione e l’inasprimento della guerra, poiché è in gioco il ruolo egemone degli Stati Uniti.

A questo punto, scriveva ColonelCassad, la prospettiva è una “sirizzazione” del conflitto.

Era sin troppo facile (e Contropiano lo aveva scritto) prevedere che un attacco esterno avrebbe visto la popolazione russa non allontanarsi dal Cremlino, ma, al contrario, far fronte comune (qui sono necessarie alcune puntualizzazioni, che si faranno) contro l’attacco USA-UE-NATO alla Russia, come è sempre stato nei momenti di più acuta crisi mondiale.

Ecco allora che a Washington, dove, stranamente, non sembrano aver appreso la lezione che viene dalla storia russa, sia pre- che post-rivoluzionaria, si vede costretta a cambiare tattica.

E, alla lunga, c’è da aspettarsi (e c’è da augurarsi, lavorando sodo per questo) che sia non tanto il Cremlino a traballare, quanto piuttosto le forze euroatlantiche, sotto il peso delle contro-sanzioni russe e incalzate dal peggioramento di vita imposto dai governi di guerra alle masse popolari.

In ogni caso, scriveva ColonelCassad prima ancora della dichiarazione di Putin secondo cui i colloqui russo-ucraini sono finiti in un vicolo cieco perché Kiev ha violato quanto concordato a Istanbul, è impossibile firmare la pace con lo strumento, senza concludere la pace col soggetto che lo padroneggia e lo dirige.Gli Usa, insomma…

Dunque, se la prospettiva è quella di un conflitto che si protrarrà per molto tempo, diventa importante anche l’atteggiamento dei paesi europei, che rischiano di soffrirne le conseguenze molto più e più a lungo del soggetto di cui sopra.

Prendiamo, ad esempio, la Polonia. Il Senato polacco ha approvato all’unanimità la cosiddetta “legge sulle sanzioni”, che prevede l’embargo sulle importazioni e il transito di carbone e gas da Russia e Bielorussia e il congelamento dei beni delle persone “sanzionate”.

A corredo, la stessa legge vieta anche adozione e promozione di simboli o nomi legati in qualche modo al sostegno alla Russia, pena una multa o la reclusione fino a 2 anni. Si può dire che sono già “più avanti” rispetto ai nostri bellicisti!

Qualche voce, però, va in senso contrario alla Varsavia ufficiale. Su The American Conservative, lo storico polacco Michal Krupa scrive che è tempo per la Polonia di abbandonare l’ostinazione antirussa, ormai da tempo anacronistica, e compiere invece seri sforzi diplomatici per costruire relazioni con Mosca; in caso contrario, il suo destino è quello di rimanere «una ventosa dell’Europa», non in grado di curare i propri interessi vitali, che non si identificano affatto con quelli ucraini.

«A un osservatore esterno» scrive Krupa, «sembra che i polacchi si apprestino a combattere. Il trasferimento di armi in Ucraina attraverso il territorio polacco, che non fa altro che prolungare il conflitto, offre al Cremlino un pretesto per intensificare le operazioni militari più intense, di fronte alle quali il colpo portato sul poligono di Javorov ci sembrerà una passeggiata nel parco».

Duda, al contrario di Macron, Scholz o Erdogan, non ha ritenuto necessario mantenere contatti diretti con Mosca. Se ne è invece andato a Kiev, per proclamare che la Russia ha molti vantaggi rispetto alla Polonia, comprese le dimensioni, ma «i polacchi sono superiori ai russi almeno in una cosa. Siamo più coraggiosi e in grado di combattere fino alla fine. Questo è ciò che abbiamo dimostrato nella seconda guerra mondiale», ha detto quello il cui governo era già fuggito in Romania e poi a Londra due settimane dopo l’attacco tedesco.

E, comunque, ha detto ancora Krupa: «La politica di Varsavia contraddice l’opinione dei cittadini». In questo, aggiungiamo, senza differenziarsi in nulla da altre capitali, a noi vicine.

Secondo un sondaggio IPSOS di inizio marzo, circa il 60% dei polacchi ha risposto negativamente alla domanda se Polonia e NATO debbano intervenire militarmente in Ucraina.

Krupa cita uno dei padri dell’indipendenza polacca, Roman Dmowski, che negli anni ’20 scriveva «Sarebbe sciocco aspettarsi un idillio tra noi e la Russia in futuro. Interessi contrastanti e incomprensioni esisteranno sempre. Ma è anche indubbio che gli interessi principali e sostanziali della Russia non risiedono sul confine polacco, al pari degli obiettivi polacchi, che non sono diretti contro la Russia».

Più a ovest, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito “irritante” il rifiuto di Zelenskij a ricevere il Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, che già due giorni fa, da Varsavia, era pronto a recarsi a Kiev, insieme ai colleghi polacco e baltici.

Difficile non giudicare il rifiuto ucraino un’ulteriore conferma del continuum tra la Presidenza Porošenko e quella Zelenskij, a proposito del Donbass: da ministro degli esteri, Steinmeier aveva partecipato ai ripetuti colloqui a quattro coi colleghi russo, francese e ucraino sul conflitto in Donbass ed era stato autore di quella “road map” a tappe, mai voluta da Kiev, per metter fine alla guerra contro le Repubbliche popolari.

Cioè, Zelenskij, come il suo predecessore, e come fanno i media italici nei confronti di chiunque sgarri dalla “linea di servizio” atlantica, considera Steinmeier “filo-putiniano”.

Un giudizio, tra l’altro, ridicolo, scrive Albrecht Müller su NachDenkSeiten, dato che Steinmeier avrebbe probabilmente anche proposto nuove armi a Kiev; ma, soprattutto, si tratta di «un’accusa strana perché falsa: in una fase decisiva, Steinmeier ha persino ingannato Putin.

Nel febbraio 2014, in qualità di ministro degli esteri, insieme al suo collega francese, aveva negoziato l’accordo per consentire un ritiro ordinato del Presidente eletto Viktor Janukovič.

Poi ci furono gli spari a majdan. Steinmeier scomparve e non fece nulla per attuare l’accordo raggiunto. Questo aiutò le forze anti-russe in Ucraina e, con ciò, oggi, lo stesso Zelenskij».

In aggiunta alle parole di Müller sul preteso ruolo “filo-putiniano” di Steinmeier, si potrebbero citare, tanto per fare un solo esempio, tutti i casi in cui gli ospedali della Bundeswehr hanno curato squadristi dei battaglioni neonazisti (i lettori del giornale possono facilmente recuperare i relativi servizi) feriti in Donbass.

Tra fine 2013 e inizio 2014 il ruolo franco-tedesco fu perfettamente funzionale ai piani di oltreoceano. Otto anni di terrorismo ucraino e quindicimila morti in Donbass e, oggi, il conflitto in Ucraina “devono molto” anche a quelle scelte di Parigi e Berlino.

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