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La solidarietà tedesca per i nazisti ucraini

In Germania, qualche voce si leva a denunciare il fatto che uomini dei battaglioni neonazisti ucraini vengano curati in strutture sanitarie della Bundeswehr e a chiedere perché la stessa preoccupazione non venga dimostrata anche nei confronti dei civili del sudest dell’Ucraina. Ciò, ha detto Alexander Neu (deputato di Die Linke al Bundestag) “può esser interpretato come solidarietà” al regime golpista di Kiev. Secondo Deutsche Welle, i primi “lazzeretti volanti” – velivoli della Luftwaffe – furono organizzati già nel marzo 2014, per condurre in ospedali di Berlino, Amburgo, Coblenza e Ulma manifestanti di majdan gravemente feriti. Ad oggi, almeno un centinaio di feriti ucraini (sia dell’esercito, che dei battaglioni nazisti) pare abbiano sostenuto un periodo di riabilitazione in Germania, a spese del governo tedesco.

Al proposito, aveva di recente suscitato scalpore il saluto nazista (nel video, dal minuto 7,14 al minuto 8), finito sotto gli obiettivi di DW, con cui uno dei 14 feriti giunti all’aeroporto di Berlino aveva salutato un camerata. Il nazista ucraino, si sentiva evidentemente “di casa”, in un paese in cui, in risposta a una interrogazione della deputata di Die Linke, Martina Renner, al Bundestag è stato reso noto che diverse organizzazioni neonaziste tedesche avrebbero compilato “Liste di nemici”, con i dati di almeno 35.000 politici e antifascisti.

La Renner aveva domandato anche se il governo federale si sia preoccupato di informare le persone inserite nella lista. “Il risultato è altamente preoccupante”, ha detto la deputata di Die Linke. “Da quando fu scoperta l’attività del gruppo terroristico NSU (Nationalsozialistischer Untergrund) vari elenchi con nomi e indirizzi di almeno 35.000 persone sarebbero stati trovati in mano a terroristi e estremisti di destra, ma solo tre interessati sono sono stati informati dalle autorità federali“. “Il governo federale ignora semplicemente la minaccia terrorista di destra“, chiosa l’organo del DKP, “Unsere Zeit”; non si spiega in altro modo, come mai “la polizia criminale federale non abbia informato nemmeno una manciata delle decine di migliaia di persone finite nelle liste”.

Liste, a quanto pare, del tipo di quella che il sito nazista ucraino “Mirotvorets” sta stilando da tempo con i nomi di oppositori del regime golpista e anche di politici, giornalisti o semplici cittadini stranieri, “colpevoli” di denunciare il regime banderista di Kiev. O come quelle che, secondo dnr-hotline.ru, originali “ispettori scolastici” (composti per lo più da esponenti delle organizzazioni nazionaliste) hanno cominciato a compilare in diverse regioni ucraine e in cui vengono inseriti scolari e studenti sospettati di “umori separatisti”, “attività filo-russe” o rei di mettere in dubbio la “santità” dei komplizen nazisti di OUN-UPA. Le liste vengono passate agli organi di polizia e nei confronti dei sospettati vengono elevate multe, con l’obbligo di lavori “socialmente utili”. Cercheremo di rieducarli, ha dichiarato un esponente di “Tridente Stepan Bandera” (nome di battaglia “Boia”) e cominceremo a “purgare con cura i loro cervelli; poi prenderemo in consegna genitori e insegnanti“.

Chissà se alla Bundeswehr, nel prendersi cura degli uomini dei battaglioni neonazisti ucraini, terranno di conto del rapporto dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani, relativo alle violenze commesse da parte di esercito e battaglioni neonazisti nel 2014 contro la popolazione civile di Ilovajsk.

Nel 2014, dopo un iniziale periodo in cui le milizie popolari furono costrette a cedere una serie di centri del Donbass, per concentrarsi nella difesa di Donetsk, tra agosto e settembre Ilovajsk si trovò al centro di una sacca che, di lì a poco, portò alla maggiore disfatta ucraina nell’intero conflitto nel Donbass, insieme a quella di Debaltsevo, nel febbraio successivo.

L’occupazione della cittadina, pur di non lunga durata, con l’arrivo dei battaglioni “Azov”, “Donbass” e “Šakhtërsk” si trasformò in un autentico inferno per la popolazione civile. Nel rapporto ONU si ammette che il ricorso ad armi con “azione esplosiva in aree popolate, senza osservare i principi di distinzione, proporzionalità e adozione di misure precauzionali”, causò la morte di almeno 36 civili, la distruzione o il danneggiamento di un terzo delle abitazioni singole e di 116 palazzi civili”.

Nel rapporto si parla anche di civili rimasti uccisi non sotto i bombardamenti, ma assassinati direttamente dalle forze ucraine; di persone – in particolare, maschi da 30 a 66 anni, sospettate di simpatie per le milizie popolari – torturate dai neonazisti del battaglione “Donbass”. Detta così e con un asettico, bestiale riferimento alle cifre nude e crude, potrebbe sembrare che i trentasei civili uccisi a Ilovajsk siano “poca cosa”, confrontati, ad esempio, con gli oltre duecento nella sola Gorlovka, o i più di cento bambini e ragazzi rimasti sotto le bombe di Kiev in tutto il Donbass; ma è significativo che l’ONU renda sempre più spesso noti i risultati delle proprie indagini.

Già lo scorso giugno, l’Alto commissariato aveva registrato 201 “testimonianze degne di fede, relative a 321 violazioni dei diritti umani” in Ucraina, nel periodo gennaio-maggio 2018, la cui responsabilità veniva addebitata sia al governo che ai raggruppamenti armati estremisti ucraini, con decine di morti e feriti civili sotto i bombardamenti e il danneggiamento mirato di infrastrutture civili (stazioni di filtraggio dell’acqua potabile, linee elettriche, distruzioni di raccolti, ecc.) nelle aeree abitate delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk.

Significativo, nota news-front.info, che l’unico riferimento alla Russia citato nel rapporto ONU sia indiretto e di fonte ucraina, costituito dalla formulazione secondo cui, a partire “dal 27 agosto 2014, le forze ucraine rimasero accerchiate da gruppi armati, che, secondo il governo ucraino, ricevevano rinforzi in reparti armati e armi dalla Federazione Russa“.

In realtà, Mosca era intervenuta per convincere le milizie popolari a lasciare aperto un corridoio, per permettere l’evacuazione delle forze ucraine accerchiate; le milizie (pare che tra i comandanti ci fossero anche “Givi” e “Motorola”) avevano posto come unica condizione che gli ucraini abbandonassero la sacca disarmati. Alla sortita del grosso delle forze di Kiev in pieno assetto di combattimento, la risposta fu l’annientamento di circa la metà di esse.

Che significato attribuire dunque alla “sensibilità” tedesca per i neonazisti ucraini? Vien da dire che appaiano assolutamente centrate le parole pronunciate sabato scorso dal Ministro della difesa russo Sergei Šojgu. In un’intervista al canale “Rossija 24” e rispondendo indirettamente alle dichiarazioni fatte nell’aprile scorso dall’omologa tedesca Ursula von der Leyen, secondo cui con la Russia bisogna parlare da posizioni di forza, Šojgu ha detto che è necessario guardare “alla storia. E dopo quello che la Germania ha fatto nel nostro paese, credo che almeno per altri duecento anni non si debba tornare sulla questione”. La Ministra tedesca si riferiva alla necessità di aggravare le sanzioni anti-russe, ovviamente accusando Mosca e non Kiev, del non rispetto degli accordi di Minsk sul Donbass. “Se non sapete leggere, chiedete ai nonni” ha detto Šojgu, “cosa significhi parlare con la Russia da posizioni di forza, Probabilmente loro ve lo possono raccontare”.

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