L’ordinanza di custodia cautelare a domicilio del GIP di Piacenza – la procura aveva chiesto la custodia cautelare in carcere per tutti – per 4 dirigenti del SiCobas e 2 dell’Unione Sindacale di Base, più misure meno afflittive per la libertà personale, come il divieto di dimora e l’obbligo di firma per altri due sindacalisti, è un pesantissimo attacco non solo ai singoli compagni e alle due sigle del sindacalismo conflittuale in questione, ma alla possibilità di organizzazione sindacale in s; eé non solo nel settore della logistica.
Le 350 pagine con cui vengono “giustificati” i provvedimenti e vengono esplicitati i capi d’imputazione – due “associazione a delinquere” e 150 fatti criminosi specifici – sono frutto di indagini iniziate nel 2016, condotte sia dalla DIGOS che dalla Squadra Mobile della cittadina emiliana, sentendo numerosi testi, seguendo costantemente le varie vertenze, con un uso copioso delle intercettazioni telefoniche.
Violenza privata, sabotaggio, resistenza, interruzione di pubblico servizio e ovviamente associazione a delinquere “in qualità di capi, promotori e partecipi, organizzatori”, sono i capi d’imputazione alcuni dei quali – esclusi questi 8 per cui era stata fatta la richiesta di carcerazione – riguardano decine di indagati.
Sabotaggio, cioè il bloccare un nastro trasportatore; interruzione di pubblico servizio, cioè il blocco delle merci in aziende che si occupano del sistema postale: Resistenza quando si viene caricati ad un picchetto sono alcuni dei reati contestati, e così via.
Si tratta di fatto di una immensa schedatura di massa esercitata sull’attività sindacale degli ultimi 7 anni nel settore della logistica, negli hub delle multinazionali del settore.
Una attività sindacale che ha permesso non solo il concreto miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori, ma l’emersione del sistema truffaldino dei “cambio d’appalto” e la sua cogestione insieme alle “false cooperative”, ai sindacati complici e ad una politica servile, come se Piacenza fosse ormai una company town in mano ai colossi della logistica.
Bisogna forse ritornare alla FIAT di Valletta, e poi di Agnelli, e alle inchieste che fecero allora “scandalo” per potere tentare un paragone su come una azienda, in questo caso più imprese, orientasse in maniera così pesante un’attività investigativa monstre perché vedeva lesi i propri interessi.
Fare il bello e cattivo tempo senza doversi scontrare con alcun soggetto organizzato, tranne i propri diretti concorrenti, è il mondo ideale di lorsignori che ritengono “normale” ricevere qualsiasi beneficio dai territori e però pagare le tasse dove gli fa più comodo (non mancano i paradisi fiscali anche nell’Unione Europea).
Si tratta in sintesi di un “teorema giudiziario” che si nutre di alcune narrazioni piuttosto suggestive, nate da uno stravolgimento semantico evidente tra “aggressore ed aggredito”, che vorrebbe da un lato mettere una “pietra tombale” sulla possibilità di organizzazione su quell’anello debole per la filiera del valore dove l’azione dei lavoratori si è dimostrata più incisiva, facendo crescere una propensione alla lotta più avanzata che in altri settori, e dall’altro preparare il terreno per un ulteriore restringimento del diritto di sciopero, in modo tale da renderlo “penalmente perseguibile”.
Per Procura e GIP sono le multinazionali della catena del valore la “parte lesa”, insieme ai singoli iscritti dei sindacati, almeno fin quando non diventano dirigenti sindacali.
La lotta di classe per ottenere migliori condizioni lavorative – anche in caso di cambio d’appalto – migliori diventa estorsione, e lo sciopero un ricatto contro l’azienda.
Incentivare il tesseramento sindacale, il tentativo di conquistare una maggior rappresentatività dentro l’azienda e la dialettica tra sigle sindacali differenti – talvolta un po’ ruvida – diventa una sorta di “scontro tra organizzazioni criminali” con pratiche al limite del gangsterismo…
I datori di lavoro “esasperati”, per garantirsi la pace sociale, hanno dovuto “cedere alle richieste sindacali”, e siccome i rapporti di forza con la crescita dell’organizzazione collettiva hanno quanto meno relativizzato il Far-West in cui è potuto prosperare in precedenza il settore, qualcuno ha pensato che “c’era bisogno di dare un segnale”, in previsione di una autunno che si annuncia molto più caldo di quest’estate rovente.
Il messaggio sottotraccia che si vuole far passare è che i militanti sindacali, soprattutto quelli conflittuali, e le organizzazioni che dirigono, sono in fondo delle organizzazioni a fini di lucro che taglieggiano le aziende ed i singoli iscritti, non dissimili – se non per la totale assenza di contrasto alle imprese – da quei pachidermici apparati sindacali concertativi dove prospera la corruzione ai danni degli iscritti ed il servilismo nei confronti del business e dei palazzi del potere (Draghi in testa, ultimamente).
Di “strumentalizzazione di lavoratori inconsapevoli” parla più volte il GIP, come se si trattasse di un massa amorfa di creduloni gabbati da dirigenti sindacali senza scrupoli, e non di lavoratori che decidono di intraprendere forme di lotte dure perché le uniche incisive in un settore dove le condizioni di lavoro erano pessime e il rispetto dei contratti una chimera, mettendo a rischio la propria incolumità – anzi la propria vita, come si è visto nei casi di Abd Elsalam e Adil Belakhdim – stimolati da lotte analoghe, i cui risultati si volevano emulare.
C’è un certo immaginario deviato nella narrazione che si vuole propinare (e i media padronali stanno lì per farsene megafono) nelle giustificazioni a contorno di questo gravissimo atto contro il “nuovo movimento operaio”.
Una “ispirazione letteraria” che sembra attingere alle Criminal Union Laws della seconda decade nel Novecento negli Stati Uniti durante il Red Scare, o anche dai noti “teoremi giudiziari” promossi da una parte della magistratura, più volte, nel nostro disgraziato Paese.
Di fronte a tutto questo gli scioperi proclamati nel settore della logistica dalla mezzanotte del 19 luglio – e quelli spontanei già messi in atto nella stessa giornata – le iniziative locali e la manifestazione nazionale di questo sabato pomeriggio a Piacenza sono una prima risposta per fare sì che questa inchiesta si trasformi in un caso da manuale di eterogenesi dei fini della lotta di classe dall’alto, e nell’anticipazione di un nuovo ciclo di lotte.
Foto di Patrizia Cortellessa
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