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Per il riarmo nasce “la banca della Nato”

Mentre i capi di stato di governo convergono su Bruxelles per il vertice che dovrà approvare il ReArmEurope – il piano da 800 miliardi proposto da Ursula von der Leyen per moltiplicare le spese militari nel Vecchio Continente – nei corridoi della finanza ci si comincia a chiedere, più concretamente, da dove tirar fuori tutti quei soldi.

Com’è noto, l’Unione Europea non prevede un debito comune da finanziare sui mercati. Ergo, ogni paese deve indebitarsi in solitudine. E come sempre c’è chi può (la Germania di Friedrich Merz, che ha appena varato un mega-piano da 1.000 miliardi per armi e infrastrutture) e chi proprio non può (tutti gli altri, chi più chi meno).

Il problema non è di buona volontà soggettiva, ma “di mercato”: qualche ente finanziario (banca, assicurazione, risparmiatore privato, ecc) presterebbe soldi a un paese già fortemente indebitato?

Avviene tutti i giorni, certamente, ma a tassi di interesse molto più alti (è questo il famoso spread – il differenziale – tra titoli tedeschi, i più garantiti, e quelli di altri paesi). Il che significa spendere molto di più o acquistare molte meno armi, mettendo oltretutto ogni singolo paese davanti alla scelta di dover spendere per il militare togliendo altre risorse a istruzione, sanità, pensioni, ecc.

Le banche internazionali già esistenti – come la Banca europei per gli investimenti (Bei) – hanno limiti statutari precisi per quanto riguarda il finanziamento del riarmo, e dunque non sono utilizzabili neanche estendendo il loro ambito di intervento con qualche “interpretazione” lassista dello statuto).

Si potrebbe in alternativa attendere che la UE adotti, come consigliato anche da Mario Draghi, il debito comune. Ma c’è il fortissimo rischio di veder passare gli anni in discussioni inutili sulla modifica dei trattati.

Vero è che la UE ha deciso di scorporare la spesa militare da quelle computabili ai fini del rispetto del “patto di stabilità”, permettendo così anche agli Stati alla canna del gas (Grecia, Italia, Francia, ecc) di spendere circa l’1% in più per il riarmo. Ma anche in questo modo resterebbe uno scarto forte tra i diversi paesi, rendendo aleatoria la solidità della “difesa comune”.

Così è nata una nuova banca “dedicata” al riarmo, ovviamente per “iniziativa privata” ma ad opera di vecchi maneggioni che hanno ricoperto ruoli pubblici di alto livello tra Europa, Usa e Gran Bretagna. E’ una “idea” recentissima, che ha appena un mese di vita, ma sembra già avviata ad un futuro luminoso (come un’atomica, si potrebbe dire,,,).

Si chiama Defence, Security, and Resilience (DSR) Bank, è un nuovo istituto multilaterale che dovrebbe essere comunque finanziato dai Paesi “azionisti”, e potrebbe attingere ai capitali europei e americani, partendo da una dotazione iniziale di 100 miliardi di sterline (messi dagli Stati).

L’iniziativa, naturalmente britannica (l’unico vero “ponte” tra Usa e UE), intende «colmare il gap di finanziamento che minaccia la sicurezza occidentale», vista «la crescente aggressività della Russia e le sfide di sicurezza nell’Indo-Pacifico: DSR Bank costituirà una nuova istituzione finanziaria multilaterale per finanziare aspetti cruciali della difesa in tutta la Nato, l’Ue e le nazioni alleate».

Una vera “banca della Nato”, insomma, con proiezione anche verso l’Asia.

L’iniziativa nasce infatti su impulso di Rob Murray, ex capo dell’innovazione della NATO, ed ha trovato l’immediato supporto di un gruppo di noti leader militari, esperti finanziari e politici di alto livello, come Lord Stuart Peach (ex Presidente del Comitato Militare della Nato e Capo di Stato Maggiore della Difesa del Regno Unito), l’economista Rebecca Harding, Giedrimas Jeglinskas (Presidente del Comitato di Difesa della Lituania ed ex Assistente Segretario Generale della Nato), Rick Hillier (generale ed ex Capo di Stato Maggiore della Difesa canadese).

Il progetto della nuova banca ha peraltro preso avvio con un documento firmato dallo stesso Murray e sottoposto a una peer review da parte dell’Atlantic Council.

I 100 miliardi del fondo funzioneranno da “garanzia” per l’emissione di obbligazioni classificate “AAA” – il minimo della rischiosità sui mercati – riducendo così a quasi nulla gli interessi da corrispondere agli “investitori” privati.

Questo dovrebbe assicurare un maggiore flusso di credito verso i fornitori di difesa, ma anche una maggiore stabilità della liquidità della catena di approvvigionamento, supportando così sia le esigenze di produzione immediate, sia la resilienza a lungo termine nel settore della difesa.

La proposta, insomma, sembra decisamente pragmatica, ma solleva una marea di critiche, dubbi, perplessità “extra-finanziarie”.

Scontate quelle – già indicate da noi in questo articolo – che vedono nell’incremento delle spese per la difesa una contemporanea sottrazione di risorse vitali ad altri settori, accentuando le disuguaglianze sociali e minando il benessere delle popolazioni.

Anche perché, in contemporanea alla nascita della DRS si prevede l’allargamento delle maglie della Banca Europea per gli Investimenti, che attualmente supporta solo iniziative che abbiano almeno un doppio risvolto militare e civile, e di attingere ai fondi per la Coesione, finalizzati proprio a ridurre le disuguaglianze nell’Unione. 

Riarmare”, oltretutto, significa anche aumentare le dotazioni per la “sicurezza interna”, andando così verso “stati di polizia” difficilmente difendibili con le giaculatorie sulla “Difesa delle democrazie”. Ma sono tutte preoccupazioni che non disturbano troppo gli architetti della nuova banca (supportati  tecnicamente da ex dirigenti di JPMorgan).

Anzi, sembrano decisi anche a superare i problemi “strategici” posti dall’irruenza di Donald Trump e da Elon Musk – che hanno più volte messo in dubbio apertamente la continuità della Nato o almeno dell’impegno statunitense. Spiega infatti Rob Murray,

Dopo decenni di sotto-investimenti da parte dei governi Nazionali in tutto il continente, l’invasione russa dell’Ucraina ha lasciato l’Europa in preda a una grave crisi di sicurezza. È positivo che i governi europei siano ora aperti a esplorare come poter affrontare queste sfide e qualsiasi tentativo di aumentare la capacità di difesa europea è benvenuto.

Tuttavia, qualsiasi soluzione pratica deve includere gli Stati Uniti, poiché l’Europa semplicemente non può farcela da sola in questo momento. Dopo l’incontro Trump-Zelensky, la reazione naturale e comprensibile per l’Europa è di chiudersi in sé stessa. Sarebbe un grande errore strategico che gioverebbe alle ambizioni della Russia.

L’ordine internazionale è in una fase di evoluzione e strumenti come la Dsr Bank faranno parte di questa nuova architettura. L’idea di isolarsi completamente dal supporto americano sulla sicurezza e la difesa è assurda”.

Il mondo della finanza, con il supporto dei più alti membri del vecchio establishment euro-atlantico, vede con terrore la rottura dell’antico asse e prova a correre ai ripari, garantendo strumenti che possano permettere “all’Europa” di riarmarsi, ma senza mettere in forse l’egemonia Usa. 

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3 Commenti


  • ugo

    Su RID, la rivistina aziendale di Leonardo, un annetto fa c’era un articolo: “Mai più banche etiche.” Hanno appena cominciato la scorpacciata e non finirà tanto presto.


  • Anna

    Continua a sfuggirmi chi dovrebbe invaderci. Ovvio che è una narrazione fantastica, utile solo ai profitti dei soliti. Che non mi raccontino più che donna= pacifismo, che se governasser le donne.. E le varie Kallas, Meloni, Von der Leyen, Harris, Clinton e c.?


  • Mara

    Quando guardo e sento Von der Lyen Metsola Kallas Picierno Meloni Klein ed altre del panorama istituzionale politico europeo e nazionale mi da un motivo in più per non andare a votare è mi congratulo con me stessa per non averle votate.Per quel poco che può valere.

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