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Fornero-sofia

La frase del ministro con la lacrima (una sola, poi basta) ha fatto il giro del mondo dalle colonne del Wall Street Journal. «Noi stiamo cercando di proteggere gli individui non i loro posti di lavoro. L’attitudine della gente deve cambiare. Il lavoro non è un diritto, bisogna guadagnarselo, anche attraverso il sacrificio». Guadagnarsi il lavoro, non lavorare per guadagnare. Bella inversione, vero?
Incostituzionale, senza dubbio, almeno in Italia. Segue rapida precisazione: «Ho fatto riferimento alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro». Non è che cambi molto, né sul piano pratico né su quello concettuale.
Un qualsiasi studente di liceo – quelli degli istituti tecnici farebbero forse più fatica, visto che viene loro vietato di studiare filosofia – sa che non esiste un «diritto» a qualcosa se non si può avere effettivamente anche «la cosa». Certo, la si può «infarinare» bene, usando la retorica giusta. Ma così si cade nella tradizione del pensiero «sofista», roba che andava forte 2.500 anni fa; poi il pensiero umano è andato fortunatamente avanti, lasciandosi alle spalle la forza apparente del paradosso di Zenone e lo scetticismo greco. Comunque di ben altro livello, rispetto agli epigoni del ‘700 europeo e del governo in carica.
Insomma: a che mi serve essere proprietario di una casa se poi ci abita un altro e non mi paga l’affitto (o viceversa)? A che serve che mi si dica «hai diritto al lavoro» ma non a un «posto di lavoro»? Le nostre periferie sono piene di giocatori di tre carte; non c’è nemmeno bisogno di aver fatto il liceo per scoprire il giochino.
All’atto pratico, le cose non stanno in modo differente. In questo mondo, nessuno ha più la possibilità di vivere raccogliendo frutti sugli alberi: o si lavora o si fanno lavorare gli altri per il proprio profitto. Gli strumenti di produzione hanno dei proprietari che cercano qualcuno che li faccia «rendere». Nella vita metropolitana, almeno, posso vivere soltanto se lavoro (a meno di non essere tra i «fortunati pochi» che se la godono). Quindi «devo» lavorare e «ho diritto» a essere retribuito in modo adeguato, perché altrimenti non posso vivere. Se ho il diritto alla vita, ho anche quello al lavoro. Basta ragionare, non è difficile. O no?

 
da “il manifesto”

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