Un gruppo di fascisti nostrani va in Israele al seguito della nazionale di calcio italiana, e durante la partita di Haifa si esibiscono nel saluto romano dagli spalti dello stadio di Haifa. La polizia israeliana – quella che giustizia giovani palestinesi per strada senza tanti complimenti e nella più completa impunità – li allontana dallo stadio: niente arresto, neanche una denuncia. Nello ‘stato ebraico’ le manifestazioni di odio fascista non sono reato?
Sulla stampa israeliana e a ruota su quella italiana monta, giustamente, lo scandalo. Non tanto perché i fascisti non sono stati arrestati, ma perché si sono permessi di fare il saluto romano a mo’ di sberleffo alla nazionale israeliana durante il momento dedicato agli inni nazionali.
A leggere bene, però, una parte della stampa israeliana diffonde una versione di comodo dei fatti confezionata apposta per poter incolpare i palestinesi. Molti dei ‘tifosi italiani’ che esaltavano il duce e sputavano contro i loro vicini israeliani durante l’inno nazionale dello ‘stato ebraico’ altri non erano – assicurano siti e giornali – che ‘arabi’. Così vengono denominati in Israele, in maniera dispregiativa e razzista, i palestinesi con cittadinanza (di serie B, ovviamente) israeliana. I “vili arabi” si sarebbero confusi tra la folla di supporters italiani, avrebbero indossato magliette e sciarpe della nazionale italiana e si sarebbero dati agli insulti e alle intemperanze. Gira che ti rigira, insomma, la colpa non è mica dei fascisti, ma dei palestinesi…
Aitasantua
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