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L’avatar degli Interni

Matteo Salvini, stufo di indossare le felpe in dotazione alle forze di polizia, è entrato direttamente nei panni del prefetto Piantedosi. L’uno si è travasato nell’altro, sicché il politico della propaganda che si travestiva da uomo delle istituzioni è diventato il ventriloquo dell’uomo delle istituzioni che si è calato nell’uomo della propaganda.

Il risultato di questo gemellaggio siamese lo si è visto in Parlamento quando, tra slogan gli propagandistici e gli arzigogoli burocratici, tipici di certe circolari prefettizie, l’avatar di Salvini ha riferito difronte alle due camere circa la condotta del suo ministero sul cosiddetto contrasto all’immigrazione.

Come se non fosse stato minimamente informato della bufera che certe improvvide decisioni sulla chiusura dei porti hanno di nuovo scatenato in mezzo mondo, è andata in scena la parodia di un funzionario che si sente coccolato e protetto dai piani alti.

Una sceneggiata dell’arroganza, di quelle che prima fanno sghignazzare ma subito dopo provocano la pelle d’oca, costringono a pensare con seria preoccupazione in mano a chi è stato affidato il compito di gestire l’ordine pubblico.

Il rischio che lo stato di diritto diventi un “carico residuo” è apparso subito reale.

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