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L’Italia non salverà più i migranti in mare. Ecco il documento segreto

Sos e may-day dirottati sulla Guardia costiera libica.

Il nostro Paese non è più Centro responsabile di soccorsi e salvataggio nel Mediterraneo. Ecco perché Salvini può dire che Lifeline “non ha rispettato le regole”. La circolare è stata trasmessa venerdì sera sul canale delle Capitanerie di porto. La prima missione del ministro dell’Interno in Libia: “Assoluta convergenza”. Ma Al Sarraj lo corregge: “I Centri di identificazione” fuori dai confini libici. Si torna dunque al piano Minniti: soldi alla Libia, piano di sviluppo per l’Africa, campi in Niger, Ciad e Mali, corridoi umanitari per chi ha diritto.

La “novità”, il motivo per cui il vicepremier e ministro dell’Interno può dire in un’affollata conferenza stampa, che “adesso sull’immigrazione si passa dalle parole ai fatti” non è il pur utile decalogo di intenti portato dal premier Conte a Bruxelles (“nulla di nuovo” è il commento secco a Bruxelles). Meno che mai i “Centri di protezione e identificazione” ai confini esterni della Libia, cioè Niger e Ciad dove l’Italia è attiva da almeno due anni insieme con l’Organizzazione mondiale immigrati (nel 2017 sono stati eseguiti 23 mila accompagnamenti nei paesi di origine). La novità per cui Salvini pare radioso, camicia bianca molto smart, nonostante le tre ore di sonno, la missione in Libia e grazie al successo nei ballottaggi, è una circolare satellitare INMARSAT che da sabato cambia tutte le regole del soccorso nel Mediterraneo. Almeno come le abbiano conosciute dal 2013 a oggi.

Il vero motivo della visita a Tripoli

La novità sta nel vero motivo della visita di Salvini ieri a Tripoli: da sabato gli Sos e i may day delle navi Ong nel Mediterraneo avranno come coordinatore la Guardia costiera libica. Questo significa che tutte le navi che prestano soccorso nelle acque internazionali Sar (search and rescue) e a ridosso delle acque libiche, a cominciare dalle Ong, e che raccolgono naufraghi-migranti, avranno come primo riferimento le autorità libiche e come “porti sicuri” prima di tutto Tripoli, a seguire Malta e Tunisi. L’Italia, nei fatti, non è più il centro di coordinamento dei soccorsi e non ha più l’onere di dare un porto sicuro alle imbarcazioni. I migranti sappiano che ogni volta che mettono piede su un gommone, 99 su cento torneranno in Libia. “Volevano arretrare la linea a mare dei mezzi navali italiani che prestano soccorso – spiega una fonte qualificata a Tiscalinews – Questa circolare nei fatti ci impone di arretrare”. 

Il documento

Tiscalinews può documentare questa novità grazie al documento allegato. Poche righe, molto tecniche, che hanno bisogno di essere spiegate. Dal 2103, dai tempi della missione Mare Nostrum che poi è diventata Triton e poi Themis (con agenzia Frontex), gli Sos e i may day delle carrette del mare e poi dei gommoni, venivano raccolti dal Maritime rescue coordination center (MRCC) di Roma, il Centro di coordinamento delle capitanerie di porto. Questo ha fatto sì che, nei fatti, l’Italia abbia avuto in questi anni la titolarità del soccorso e del ricovero delle varie imbarcazioni nei porti italiani. Con la conseguenza che i naufraghi-profughi hanno avuto in questi anni l’Italia come luogo di primo arrivo e, in base alla convenzione di Dublino, la responsabilità delle procedure amministrative di identificazione e di rilascio della richiesta d’asilo è stato tutto in capo all’Italia. Da qui “l’imbuto” nel nostro sistema di accoglienza, con una via d’ingresso certa e una via d’uscita (le procedure durano anni e i rimpatri per quel 70% circa che non ha diritto sono impossibili) assai incerta e costosa.

Un nuovo modello”

Prima l’Aquarius, poi la Lifeline, la nave mercantile Maersk (caso diverso dai precedenti). In un mese tra palazzo Chigi e il Viminale, Salvini ha cambiato la sua comunicazione sul tema immigrazione-sicurezza. Non parla più di respingimenti (“manderemo via 600 mila irregolari”) ma si è concentrato sulle navi delle ong che prestano soccorso nel Mediterraneo e sui porti contendendo al ministro titolare, Danilo Toninelli (M5s), l’apertura e la chiusura dei porti. L’Aquarius è andata come è andata (è arrivata a Valencia dopo otto giorni di navigazione con a bordo circa 300 naufraghi). La Lifeline è ancora in mezzo al mare con 134 persone e non sa dove andare. “Mai in Italia” ha ripetuto ieri il ministro dando dell’“ignorante nel senso che ignora come stanno le cose” al ministro francese per gli Affari europei Nathalie Loiseau che ha detto che “spetta all’Italia accogliere la Lifeline e il suo carico di naufraghi”. Il punto è che Salvini ha ragione a metà. La Lifeline ha effettuato il soccorso del gommone nelle acque sar mercoledì della scorsa settimana quando ancora era in vigore il vecchio modello in base al quale era il Centro di coordinamento e soccorso di Roma, e dunque Italia, a gestire il salvataggio, il soccorso e l’accoglienza delle persone tratte in salvo a prescindere dal porto di arrivo più sicuro per la messa in sicurezza dei naufraghi. Tra venerdì e sabato le cose sono cambiate. E quindi anche la “giurisdizione” dell’operazione.

Malta e Tunisi “porti sicuri” 

Il nuovo modello, come spiega il documento che vi mostriamo, ribadisce l’obbligo del soccorso ma l’autorità delegata per il coordinamento non è più Roma pensi Tripoli (si indica come Rcc, il rescue coordination center della guardia costiera libica). Da sabato, quindi – dice la circolare inoltrata sul circuito INMARSAT – la prima competenza è della Libia, poi di malta, Tunisi e infine Italia. Si tratta, è stato spiegato, di “istruzioni tecniche- operative” – dunque non un ordine politico, cioè del ministro Toninelli – dovute “ad un fatto nuovo”. Quale? “Una settimana fa sul database di Imo (Organizzazione marittima internazionale, agenzia dell’Onu che regola le regole del traffico marittimo) è comparso un nuovo numero di telefono che è operativo e riferito alla Guardia costiera libica”. Prima quel numero – 002-1821444**** – non esisteva, a significare che la guardia costiera libica non poteva operare. Ora esiste, è stato diramato e significa che Tripoli ha l’autonomia di poter operare per fare i soccorsi. La Lifeline doveva rispettare il vecchio modello o il nuovo? Nel secondo caso, la nave dell’ong sarebbe venuta meno alle regole. Da qui la richiesta di Salvini, ma anche Toninelli, di sequestro del mezzo e arresto dell’equipaggio. 

SOS ignorati?

La domanda è arrivata in conferenza stampa. Il governo italiano ha dato disposizione alla Guardia Costiera di ignorare gli SOS provenienti dalle navi delle ong nel Mediterraneo? “Chiedetelo a Toninelli (ministro Infrastrutture e Trasporti e dunque competente sui porti, ndr) ma se così fosse avrebbe il mio totale sostegno”. Con leggerezza, e un filo di sarcasmo, il ministro ha fatto finta di buttare la palla in tribuna. Ben consapevole che un nuovo ordine, comunque, alla Guardia costiera è arrivato ed è di segno molto diverso al passato: i May-day della navi che soccorrono adesso finiscono tutti in Libia dove dovrebbero tornare i migranti raccolti in mare. E’ chiaro che non è lì che vogliono andare. Non è per tornare in Libia che hanno pagato profumatamente il racket.

Il punto è anche un altro. “E’ grazie alle navi militari italiane d’istanza a Tripoli se viene garantito il collegamento radio-telefonico e quindi il coordinamento operativo tra guardie costiere, Italia, navi e Ong” spiega la fonte. Ricapitolando: la richiesta di aiuto sarebbe stata dirottata su Tripoli dove però la struttura tecnica e logistica è, a sua volta, garantita dall’Italia”.

Nave Caprera

Non è un caso che ieri Salvini, nel suo primo viaggio diplomatico con destinazione Libia, abbia visitato la nave militare italiana Caprera, ferma nel porto di Tripoli, e l’equipaggio di 55 persone che stanno formando personale per la guardia costiera libica da circa un anno e mezzo, da quando cioè l’ex ministro Minniti ha riaperto con successo il canale diplomatico con Tripoli riducendo a -75% il numero degli sbarchi. Non è un caso se nell’incontro ieri con il Governo di accordo nazionale libico (GNA) guidato da Fayez Al Sarraj, Salvini ha promesso “la formazione di altri 300 uomini della Guardia costiera libica (213 quelli già operativi, ndr)” e ha annunciato che “prima dell’estate tornerà a Tripoli per consegnare motovedette ed equipaggiamenti militari”.

Col sorcio in bocca

Il ministro dell’Interno ieri è sembrato particolarmente “soddisfatto”: per i ballottaggi che hanno chiuso la narrazione delle “regioni rosse”; per il suo successo personale e della Lega; per “l’assoluta convergenza” con le autorità di Tripoli e, infine,  per una missione diplomatica che, il giorno dopo il mini vertice di Bruxelles, toglie di nuovo luce al premier Conte e al suo piano per l’immigrazione (European multilevel strategy for migration) che in 10 punti era riuscito comunque a cambiare l’agenda e la narrazione di Bruxelles, di Macron e di Merkel. Salvini, uno e trino – ministro dell’Interno, vicepremier e ministro degli Esteri – si è corretto sui Centri di identificazione per migranti che “non saranno in Italia come vuole la Francia” e “neppure in Libia” come gli ha fatto notare il governo di Sarraj, bensì “ai confini meridionali esterni della Libia” come in realtà è già da tre anni. Tre anni fa, infatti, l’Italia ha aperto Centri nella Valle di Agadez al nord del Niger dove fare filtraggio e smistare chi ha diritto e chi no ad arrivare in Europa. Nel 2017 la missione italiana in Niger, con l’aiuto dell’Oim, ha potuto accompagnare nei paesi di origine 23 mila migranti.

In linea col piano Minniti

In realtà il piano con la Libia di Salvini prosegue per filo e per segno quanto già avviato dai governi Renzi e Gentiloni: il Fondo per lo sviluppo dei paesi africani (sei miliardi ma finanziato solo per uno), i Centri di identificazione nei paesi di transito (Niger, Ciad e Mali gli unici che possono avere stabilità politica); corridoi umanitari per chi ha diritto alla protezione.  E poi “una conferenza sull’immigrazione illegale, di iniziativa italo-libica, da tenersi a settembre a Tripoli”; la “ripresa della partnership commerciale ed industriale tra i due Paesi”, con Roma definita “primo partner” e magari anche un volo di linea diretto Roma-Tripoli.

Il patto con la Libia è un tassello importante, il più importante, del piano generale che vede il potenziamento della difesa delle frontiere europee. Il governo di Al Serraj ha ribadito la volontà ad essere più collaborativo ma chiede “soldi, mezzi e investimenti”. Da sempre, l’unica moneta di scambio reale con la Libia. Fin dai tempi di Gheddafi. La differenza tra prima e adesso? “Prima mettevano sul tavolo i dossier con soluzioni e richieste, adesso passiamo dalle parole ai fatti” ha sottolineato Salvini.

Italia “più forte” al vertice di Bruxelles

Raccontato fin dalla partenza in aereo militare con tweet, post, foto, dirette facebook e conferenza stampa al ritorno, il blitz del titolare del Viminale a Tripoli ha anticipato quelli annunciati dallo stesso Conte, dell’altro vicepremier Luigi Di Maio e del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta. E se Minniti viaggiava sempre top secret, spesso informando la stampa solo dopo, la missione di Salvini ha avuto fin dalla partenza una dimensione molto social e quasi in streaming. Con buona pace dell’ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Perrone (unica sede diplomatica aperta) e degli 007 dell’Aise cui tocca, come sempre, la responsabilità di mettere in sicurezza la missione. E in Libia, purtroppo, la sicurezza non è il bene primario.

La missione diplomatica dovrebbe dare più forza alla delegazione italiana attesa giovedì a Bruxelles per il vertice.  Anche la Libia chiede “un presidio più consistente alle frontiere esterne”. Libia, Niger e Sudan sono dunque i paesi che fin da subito l’Europa deve aiutare per fermare i flussi migratori che, al 90 per cento, arrivano dalle spiagge libiche.

Il piano Conte

Il Piano in 10 punti del premier Conte mostra coerenza ed efficacia se preso sul serio fin da subito da tutti i paesi europei. “Ogni Stato deve stabilire quote di ingresso di migranti economici” recita il punto 10 del Piano Conte. Significa riaprire i flussi che in Italia sono chiusi dal 2011 per cui dall’Africa non esiste altro modo di arrivare in Italia e in Europa se non passando dalla Libia e dal racket dei gommoni. Anche il ministro è d’accordo: “Una volta messe sotto controllo le frontiere, possiamo prevedere, noi come altri, la riapertura dei flussi”. All’Italia serve mano d’opera. E adesso anche Salvini l’ha capito.

* da Tiscali News

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1 Commento


  • Mariano Carcatella

    Analisi sempre impeccabili! Complimenti!

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