Chissà se Meloni e Descalzi, durante la gita algerina, siano riusciti a scambiare due chiacchiere a proposito delle rispettive azioni speculative sul prezzo dei carburanti. In Italia la speculazione capovolge le regole della fisica, sfida la legge di gravità, trasforma la salita in discesa, riesce cioè a far salire i prezzi in una notte, ma ci mette almeno un mese a spingerli in discesa.
D’altronde, la speculazione non è un’entità ectoplasmatica che si aggira incorporea per l’Italia, a succhiare soldi dalle tasche dei consumatori. La speculazione è l’essenza stessa del capitalismo: comprare a poco, rivendere a molto di più, il più possibile di più si chiama plusvalore. Succede con la forza-lavoro, le materie prime, la distribuzione commerciale.
Immaginate che sarebbe la Borsa senza speculazione, sembrerebbe il tabellone delle partenze e degli arrivi di una stazione ferroviaria, invece che il campo di feroci battaglie fra listini, in cui la variazione dei prezzi delle azioni, in quel frenetico compra-compra-compra o vendi-vendi-vendi – che i broker urlano come ossessi, dall’apertura alla chiusura di Wall Street, Francoforte, Shanghai o Milano – macina miliardi e miliardi di soldi, in tutte le valute del mondo. Che è esattamente quello che succede col petrolio e col gas.
Di speculazioni Descalzi se ne intende, se è vero com’è vero che gli extraprofitti Eni ha cominciato a farli prima ancora che fosse sparato il primo colpo di cannone russo in territorio ucraino: come ha fatto Eni a far fare agli azionisti risultati da sbornia, di quelli che li hanno abbondantemente ripagati del fermo pandemico, se non speculando sul prezzo delle riserve che ha rivenduto a prezzi maggiorati in misura parossistica?
D’altro canto, anche Meloni e i suoi sono esperti di speculazioni: la speculazione elettoralistica sulle accise ne è un esempio lampante. Ma anche la speculazione politica che pretende di dare la colpa ai benzinai, come se il prezzo al dettaglio lo facessero loro, e non i grossisti che comprano a prezzi gonfiati da furbacchioni come l’Eni di Descalzi.
Il governo delle destre ha fatto solo finta di occuparsi dell’aumento dei prezzi dell’energia, perché in realtà ha semplicemente acconsentito che il prezzo schizzasse a piacere, senza intervenire. È il neoliberismo, bellezza! Col bel risultato che tutti i prezzi al consumo sono aumentati senza freno. Proprio quello che ci voleva in periodo di inflazione a due cifre.
Poi, ecco la comica speculazione propagandistica del governo Meloni che ha ordinato ai benzinai di esporre “il prezzo medio”. A chi deve fare benzina per lavorare, per portare i figli a scuola, i vecchi in ospedale, le madri e i padri che sono costretti a usare l’auto per fare la spesa, a chi è aumentato tutto tranne che lo stipendio diavolo serve il “prezzo medio”? Il motore è a scoppio non a balle populiste.
In confronto a Eni, il benzinaio che ci prova è comunque un dilettante. Anche se, in verità, il balletto inutile degli incontri col ministro per scongiurare lo sciopero delle pompe di benzina è stato sì una figuraccia del governo, ma anche una vera manna per i benzinai. Ieri hanno fatto in un pomeriggio l’incasso di 48 ore.
Come si dice? A brigante, brigante e mezzo.
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