Il programma delle forze del capitale sta scritto lì, nero su bianco, e il vice-segretario del PD ha chiarito, in un modo che più chiaro non si può, che il prossimo governo da lì dovrà ripartire.
E allora, dal momento che non mi sembra opportuno intervenire a distanza, cioè prendere posizioni con cui non è possibile interloquire dal vivo, faccio volentieri una cosa che pure mi viene richiesta, e cioè indicare – questo si può fare anche a distanza – una possibile pista di letture sui temi oggetto della discussione che avete organizzato.
Il primo documento di cui consiglio la lettura è proprio la lettera-ricatto dalla quale estrapoliamo alcuni punti tradotti dal testo originale in lingua inglese e reperibili sul sito del Corriere della Sera.
a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.
c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano
l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di
assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi. Il Governo ha l’esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche
d) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa. È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di
idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi.
e) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali. Come è per noi chiaro, che sia la BCE a dettare fin nei dettagli il programma al governo italiano non sorprende, trattandosi solo dello svelamento definitivo di quel progetto neo-corporativo di trasformazione autoritaria degli istituti classici della obsoleta democrazia rappresentativa, che i tecnocrati della UE definiscono da tempo in termini di governance.
Per chi volesse approfondire questo tema, suggerisco di dare uno sguardo ai
diversi saggi pubblicati da un giovane studioso napoletano che si chiama Alessandro Arienzo.Tuttavia, non mi sfugge che il tema centrale del dibattito di stasera riguardi la dimensione economica della crisi, e particolarmente il tema
dell’indebitamento pubblico e della strategia più adeguata ad affrontare questa (non completamente inedita) fase di depressione economica in presenza di elevati disavanzi di bilancio.Qui le questioni sono ovviamente tante e complesse, e non mi sento – come dicevo prima – di parlarne senza che ci sia la possibilità di dibattito.
Giusto per indicare quelli che a me sembrano alcuni temi, direi che, dal punto di vista economico-capitalistico, le possibilità di gestione “normale e ordinata” della crisi appaiono al momento assai scarse. Storicamente, quando il capitalismo si è trovato in depressione, è toccato al settore pubblico dell’economia, cioè agli Stati, intervenire per sostenere la domanda
insufficiente: questo, in estrema sintesi, il nocciolo del keynesismo.Stante il livello dei debiti degli Stati – si dice – questo oggi sembra molto problematico, ma sicuramente quello che stanno facendo, e cioè l’esatto contrario del keynesismo, i tagli al settore pubblico e la riduzione della spesa sociale, non solo non funziona, ma è palese (l’esempio della Grecia è
lampante) che aggrava i problemi, anziché semplicemente rimandarli come accade se adotti politiche keynesiane. Quello che non si dice, se non da parte marxista, è che la vera differenza rispetto ad altri periodi di crisi (tipicamente il ’29) è che allora la dinamica generale dell’accumulazione era in fase crescente, adesso è declinante o – nella più rosea delle interpretazioni – stagnante, sicché hai voglia a pompare denaro: se le imprese non investono (perché la profittabilità è in media bassa) non puoi “invogliarle” nemmeno a tassi di interesse bassissimi.
Questo mi sembra il punto, colto con molta lucidità – tra gli altri, non tantissimi, ma nemmeno
quattro gatti – da Mino Carchedi a Gianfranco Pala a Paolo Giussani a Luciano Vasapollo dei cui testi raccomando la lettura. In conclusione, quello che credo valga la pena di sottolineare è che, dopo trent’anni di privatizzazioni e di propaganda ideologica a favore del liberismo, il risultato che ci troviamo davanti agli occhi (risultato che dipende fondamentalmente dallo svolgersi della crisi da sovrapproduzione e dalla caduta del saggio di profitto nelle attività industriali delle aree dominanti del pianeta) è l’esplosione della più grave ed estesa crisi del debito pubblico dei paesi imperialisti. Per superare questa fase, le indicazioni sul piano della politica economica non possono essere più divergenti: le forze del capitale, quelle economiche e le loro proiezioni politiche, sostengono che non si sia privatizzato abbastanza; le forze indipendenti del lavoro dovrebbero sostenere la strada opposta, quella dell’estensione dei beni comuni, della difesa del salario, della fine della precarietà con l’esproprio della ricchezza privata.Una formazione economico-sociale va in crisi, il capitalismo va in crisi quando la dinamica delle forze produttive non riesce ad esprimersi, anzi viene imbrigliata dalla vigenza dei rapporti sociali di produzione. Questa contraddizione va tenuta aperta e approfondita fino a che settori sempre più estesi della società non ne facciano il punto principale della propria esistenza.
Buon lavoro a tutti noi
* Economista dell’università di Teramo. Intervento al seminario di Pisa sulla crisi
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