Al centro del dibattito c’è la controversa proposta del governo boliviano di costruire un’autostrada attraverso il Territorio Indigeno del Parco Nazionale Isidoro Sécure (TIPNIS).
Il Tipnis, che copre una superficie di più di 1 milione di ettari di foresta, ha ottenuto lo statuto di territorio indigeno dal governo di Evo Morales nel 2009. Circa 2.000 persone vivono in 64 comunità all’interno del TIPNIS.
Il 15 agosto, rappresentanti della “Subcentral” del TIPNIS che unisce queste comunità, e altri gruppi indigeni, hanno iniziato una marcia verso la capitale, La Paz, per protestare contro il piano dell’autostrada.
Sono partite petizioni internazionali che dichiarano il loro appoggio alla marcia e condannano il governo di Morales per avere indebolito i diritti indigeni.
La gente del TIPNIS ha preoccupazioni legittime sull’impatto dell’autostrada. E certamente non c’è dubbio che il governo abbia commesso errori nella gestione della questione.
Disgraziatamente, le petizioni come quella lanciata dalla lobby internazionale Avaaz e una lettera del 21 settembre a Morales, firmata da più di 60 gruppi ecologisti, in maggioranza fuori dalla Bolivia, distorcono i fatti e sbagliano l’obiettivo dei loro attacchi.
Potrebbero, anche senza volerlo, aiutare gli oppositori alla lotta globale per la giustizia climatica.
Avaaz avverte che l’autostrada permetterebbe “che le imprese straniere si spartiscano l’Amazzonia…e si scatenerà una febbre depredatrice su una delle selve più importanti del mondo”. Ma non menziona il fatto che la distruzione già ha luogo nell’area, in alcuni casi con la complicità delle comunità indigene locali.
D’altra parte, il governo di Morales ha promesso di introdurre una nuova legge, dopo avere consultato le comunità del TIPNIS, per aggiungere nuove norme protettive del parco nazionale.
La legge proposta comminerebbe pene detentive tra i 10 e i 20 anni di carcere per insediamenti illegali, la coltivazione della coca o il taglio degli alberi nel parco nazionale.
Avaaz afferma anche che “immensi interessi economici” motivano l’appoggio di Morales all’autostrada. Ma Avaaz omette i benefici che una simile autostrada (che alla fine passi o no per il TIPNIS) arrecherebbe alla Bolivia e ai suoi popoli.
Ad esempio, questa autostrada di 306 chilometri che collega i dipartimenti di Beni e Cochabamba (e solo in parte passa per il TIPNIS) espanderebbe l’accesso all’assistenza sanitaria e ad altri servizi di base a comunità locali isolate che ora viaggiano giorni interi per ricevere assistenza medica.
L’autostrada permetterebbe anche ai produttori agricoli locali un maggiore accesso ai mercati per vendere i loro prodotti. Attualmente, sono costretti a passare per Santa Cruz fino ad est prima di poterli trasportare ad ovest.
In considerazione degli statuti di Beni in quanto il maggior dipartimento (Stato) produttore di carne, ciò spezzerebbe il controllo che hanno i mattatoi basati a Santa Cruz sull’imposizione dei prezzi della carne.
L’autostrada permetterebbe anche che lo Stato possa esercitare la sua sovranità su aree remote, comprese alcune dove si verificano disboscamenti illegali.
Sono fatti come questi che hanno convinto più di 350 organizzazioni boliviane, comprese molte di quelle che hanno diretto le lotte del paese contro il neoliberalismo, ad appoggiare l’autostrada proposta.
Numerose organizzazioni e comunità indigene (anche all’interno di TIPNIS) appoggiano l’autostrada. E pertanto falso descrivere quanto sta avvenendo come una disputa tra il governo e la gente indigena.
E non è nemmeno un semplice conflitto tra partigiani dello sviluppo e difensori dell’ambiente.
Tutte le parti in conflitto chiedono maggiore sviluppo e un miglioramento dell’accesso ai servizi di base. Ciò che è in gioco è come il secondo paese più povero in America, di fronte alla pressione di governi più potenti e forze corporative, possa affrontare i bisogni del suo popolo proteggendo al tempo stesso l’ambiente.
Considerando questo fatto, certamente avrebbe più senso che coloro che desiderano difendere il processo di cambiamento in Bolivia appoggino passi verso il dialogo, invece di approfondire le divisioni.
Si può esercitare una critica legittima della gestione da parte del governo del processo di consultazione. Ma la petizione di Avaaz e la lettera dei gruppi ecologisti semplicemente ignorano i ripetuti tentativi del governo di avviare discussioni con i manifestanti.
Il governo si è anche dimostrato aperto alla discussione sulla fattibilità economica e ambientale di qualsiasi strada alternativa che possa evitare il TIPNIS. Fino ad ora non è stata presentata alcuna proposta alternativa.
Il risultato di queste iniziative è stato che alcune comunità del TIPNIS che si erano aggregate alla marcia, come pure rappresentanti dell’Assemblea del Popolo Guarany, hanno deciso di tornare a casa. Andranno a discutere con il governo.
Purtroppo, i principali oppositori della consultazione proposta si trovano tra i dirigenti della marcia, che comprende organizzazioni localizzate all’esterno del TIPNIS.
Tali organizzazioni sono state anche i principali proponenti di altre 15 richieste avanzate al governo il giorno dell’inizio della marcia.
Molte delle richieste sono legittime, ma è allarmante il fatto che alcune di queste, pericolosamente retrive, siano state ignorate o sottovalutate da gruppi ambientalisti internazionali.
Ad esempio, la lettera a Morales manifesta preoccupazioni rispetto alla dichiarazione del presidente boliviano, secondo la quale “la perforazione petrolifera nel Parco Nazionale Aguaregue “non verrà negoziata”.
Questi giacimenti rappresentano il 90% delle esportazioni di gas della Bolivia e una fonte vitale di fondi che il governo di Morales sta utilizzando per affrontare la povertà e sviluppare l’economia della Bolivia.
Il fatto che la maggior parte delle entrate del gas sia controllata dallo Stato boliviano, invece che dalle corporazioni transnazionali, è il risultato di anni di lotte delle masse boliviane, che credono legittimamente che questa risorsa debba essere utilizzata per sviluppare il loro paese.
Le preoccupazioni delle comunità locali devono essere, e sono state prese in considerazione. Ma se la Bolivia dovesse chiudere questa fonte di entrate ciò provocherebbe conseguenze drammatiche per il popolo di una delle nazioni più povere dell’America.
Sarebbe, senza esagerare, un suicidio economico.
All’inizio, i manifestanti chiedevano anche l’interruzione dell’estrazione di gas a Aguaregue. Hanno fatto un passo indietro su questo e ora si concentrano sulla questione del blocco dei pozzi petroliferi in disuso in ragione della contaminazione che potrebbe causare agli approvvigionamenti locali di acqua.
Allo stesso modo, nessuna delle dichiarazioni in Internet menziona l’appoggio dei manifestanti al Programma di Riduzione di Emissioni di Carbonio causata dalla deforestazione e dal degrado delle foreste (REDD, la sigla in inglese).
REDD è un programma grossolanamente antiecologico delle Nazioni Unite che cerca di privatizzare le foreste e di permettere ai paesi ricchi sviluppati di continuare a contaminare.
Alcuni dei principali proponenti di questa misura si trovano tra le ONG che promuovono la marcia. Molte di esse hanno ricevuto finanziamenti diretti dal governo degli USA, il cui ambasciatore in Bolivia è stato espulso nel settembre 2008 per aver appoggiato un tentativo di golpe di destra contro il governo eletto di Morales.
Invece di difendere la sovranità della Bolivia contro l’interferenza degli Stati Uniti, la lettera denuncia il governo boliviano per aver portato alla luce le connessioni dei manifestanti con “interessi oscuri”.
Questi “interessi oscuri” riguardano la Lega per la Difesa dell’Ambiente (LIDEMA), che è stata creata con fondi del governo degli USA. Tra i suoi patrocinatori c’è l’agenzia di aiuti del governo degli USA, USAID, e la Fondazione Konrad Adenauer che frequentemente finanzia azioni contro governi come Cuba, a cui si oppongono gli USA e i governi europei.
Cablogrammi diplomatici segreti degli Stati Uniti, pubblicati recentemente da WikiLeaks e da archivi e da documenti declassificati del governo degli USA, hanno dimostrato in modo inconfutabile che USAID scommette direttamente sulle comunità indigene nel tentativo di separarle da Morales, perché sostengano gli interessi statunitensi.
Dietro questi interessi molto concreti si nasconde la campagna delle nazioni ricche e dei gruppi ecologisti conservatori per promuovere politiche che rappresentino una nuova forma di “imperialismo verde”.
Dopo aver saccheggiato per secoli le risorse di altri paesi, annientando popolazioni indigene e creando una spaventosa crisi ecologica, i governi delle nazioni ricche utilizzano ora le preoccupazioni sull’ambiente per promuovere politiche che negano alle nazioni sottosviluppate il diritto di controllare e amministrare le loro stesse risorse.
Se riusciranno a prevalere, questi gruppi ridurranno i popoli indigeni a semplici “guardaboschi”, pagati dai paesi ricchi per proteggere aree limitate, mentre le corporazioni multinazionali potranno distruggere l’ambiente in altri siti.
La maggioranza indigena della Bolivia ha scelto una strada molto diversa. Cerca di creare un nuovo Stato in cui non possa più essere emarginata o trattata alla stregua di gruppi minoritari che richiedono una speciale protezione.
Alleata ad altri settori oppressi, vuole dirigere il suo paese in funzione del benessere collettivo della maggioranza.
Le masse boliviane hanno strappato con successo il potere governativo alla élite tradizionale, hanno conquistato il controllo sul gas e altre risorse, e hanno adottato una nuova costituzione.
Probabilmente hanno commesso errori, e forse ne commetteranno in futuro. Ma sono gli errori del popolo di un piccolo paese, senza sbocchi al mare e sottosviluppato, che combatte contro costanti attacchi imperialisti.
Essenziale per la lotta del popolo boliviano è il fronte mondiale per la giustizia climatica, in cui la Bolivia gioca un ruolo essenziale di leadership.
Un esempio è rappresentato dal Vertice dei Popoli sul Cambiamento Climatico, con la partecipazione di 35.000 persone, organizzato dal governo di Morales a Cochabamba nell’aprile del 2010.
La dichiarazione finale ha individuato nei paesi sviluppati la “causa principale del cambiamento climatico”. E ha insistito sul fatto che questi paesi devono “riconoscere e farsi carico del loro debito climatico”, reindirizzando i fondi destinati alla guerra all’aiuto allo sviluppo delle economie delle nazioni più povere “per produrre i beni e i servizi necessari a soddisfare i bisogni fondamentali delle loro popolazioni”.
Per ottenere ciò, il movimento internazionale per la giustizia climatica deve concentrare i suoi sforzi per costringere le nazioni ricche ad accettare le loro responsabilità.
Il movimento globale deve respingere esplicitamente l’intervento imperialista in tutte le sue forme, comprese le politiche di “imperialismo verde” delle ONG finanziate dagli Stati Uniti.
Solo attraverso una campagna simile potremo appoggiare gli sforzi dei paesi più poveri per pianificare una via di sviluppo che rispetti l’ambiente.
Disgraziatamente, Avaaz e le organizzazioni che hanno firmato la lettera contro Morales liberano dalle loro responsabilità i veri colpevoli.
La loro campagna deve essere respinta da tutti gli ecologisti e gli antimperialisti che lottano per un mondo migliore.
* da www.marx21.it:80/internazionale/america-latina-e-caraibi/84-bolivia-le-ong-sbagliano-su-morales-e-lamazzonia.html
traduzione a cura di Marx21.it da boliviarising.blogspot.com/2011/09/bolivia-ngos-wrong-on-morales-and.html
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