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15 Ottobre. Ancora commenti e interventi/4

Odradek Edizioni

Déjà vu

Affezionati lettori ci hanno fatto notare il nostro silenzio sui fatti del 15 ottobre a Roma. Ci stavamo. Abbiamo avuto contrastanti reazioni, sia quella di coloro a cui è stata negata l’ottobrata romana, sia quella della spianata in cui la migliore gioventù si è spesa in una possente e mai vista coreutica. Avevamo anche scritto un testo che abbiamo trattenuto sopraffatti dalla piega presa dai commenti sui siti.  In questo ambiente di mipiace/nonmipiace, fare ragionamenti comporta sempre il rischio che, allora, comunque, stai con quelli e non con quegli altri… E allora lo postiamo, a futura memoria. Aggiungiamo anche il testo di Valentina, apparso domenica su il manifesto di domenica 16 ottobre, p. 14, perché la “critica letteraria”, a caldo, arriva prima e meglio di conati di analisi politica.

Giusto dieci anni fa pubblicammo un grande libro sui fatti di Genova, Guerra Civile Globale che fu ignorato, ma vituperato a bassa voce, dai bertinottian fottuti e dalle fetide tutine bianche. Era un’analisi articolata, a più voci, e uscì dopo quattro mesi.
A poche ore dai fatti di Roma del 15 ottobre, la sensazione di déjà vu è straniante. I commenti che vedo su fb riguardo ai black bloc sono da vomito. Le dichiarazioni di vecchi arnesi come Diliberto o Vendola suonano come dischi rotti. Al confronto giganteggia Mario Draghi per aplomb e distacco, ma anche Valentino Parlato per una sorta di riflesso condizionato.


Tutti a dire, se non era per qualche decina di infiltrati sarebbe stata una grandiosa, gioiosa e appagante manifestazione. Sempre che ci fosse gioia da manifestare.
Domanda: cosa ha fatto il comitato organizzatore per sventare questa probabile evenienza? ha approntato un servizio d’ordine che tutelasse quelli venuti da fuori pagandosi il viaggio? che piani aveva preparato in caso di incidenti, oltre a quello di darsela a gambe lasciando decine di migliaia di compagni senza indicazioni?
Che poteva succedere qualsiasi cosa, lo si sapeva, lo si avvertiva. Le parti in commedia, ognuna con le sue aspettative, si sono disposte a recitare, straccamente, il medesimo canovaccio. Quello di Genova, per esempio. Ognuno per sé.

Ci hanno perso tutti. Nessuno porterà a casa quello in cui aveva sperato.
Il ministro dell’Interno, aveva tutto l’interesse a che la grandiosa manifestazione non diventasse la “spallata” contro il governo. Bisognava rovinare la festa alle opposizioni. Ma la gestione della piazza è stata fallimentare, e l’immagine delle guardie ne esce a pezzi.
Le opposizioni, attraverso Vendola, pensavano di incamerare, gratis, il successo di trecentomila anime paganti e autoorganizzate scese in piazza su temi eterogenei. Se tutto andava bene, i trecentomila sarebbero diventati un milione, o più, nei titoli dei giornali domenicali.
Chi pagherà di più saranno quelli che hanno fatto la forzatura, nel più puro stile da intergruppi. Non potranno capitalizzare l’insperata vittoria, tanto meno in termini di egemonia. Ma avranno la gratitudine delle mille persone – ma diciamo tre volte tanto, perché ripiegavano, trovando sostituti, per rinfrancarsi e detergersi gli occhi per poi rifarsi sotto – che hanno impegnato per tre ore poliziotti maldestri guidati da capi stupidi e feroci, circondati da migliaia di persone disposte in un girone più largo, che di fatto li appoggiava e ne condivideva l’azione. Augh. O.

Davanti alle immagini di una camionetta della guardia di finanza che volteggia impazzita su se stessa sotto la pioggia di san pietrini di Piazza San Giovanni, mi viene in mente Moby Dick. Sì, questo mi sembra, una balena circondata da lance, che trascina nella propria foga le cime e gli arpioni. Giganteschi sfiatatoi diventano gli idranti della polizia che si riversano sui cacciatori. E quella lotta conserva tutto il suo sapore di tragedia in cui preda e cacciatori ineluttabilmente si scambieranno presto le parti. E’ così inutile la caccia che l’equipaggio del Pequod conduce contro il grande Capodoglio. Si raccontavano che per un soldo d’argento avrebbero ucciso il mostro. E se anche potranno catturare qualche piccolo cetaceo, i loro arpioni si spezzeranno davanti a Moby Dick. Nella lotta tra Achab e Moby Dick non si parteggia per nessuno. Si ha solo la sensazione di assistere al compimento di una tragedia ineludibile, superiore a qualsiasi intervento di qualsiasi umana volontà. E il Pequod, lo so, per questo affonderà.
Schierarsi dalla parte del grande Leviatano o del Capitano pazzo è un modo per restare stupidi davanti al conflitto che in realtà ci viene sottoposto. Così adesso fingere che la questione sia dissociarsi dalle violenze o giustifacarle è un’altro dei modi banali con cui verrà deviata la sostanza della situazione disumana che subiamo. Assistiamo oggi pomeriggio come ieri pomeriggio, come molti pomeriggi, sia nel palcoscenico di una piazza sia in quello più vellutato e foderato di una Camera del Parlamento, a spettacolini su cui non abbiamo più nessun potere e che in se stessi non hanno più nessun potere. Che non esprimono niente di ciò che sappiamo giusto, ma che sono giustamente il ritratto della nostra spettacolare impotenza. E ancora una volta il gioco frivolo e balordo della caccia alle responsabilità altrui ci toglierà l’ennesima occasione di ragionare sulla nostra impotenza e prenderne coscienza.
Valentina, 27 anni, una di 60 milioni 626 mila e 442 italiani che non contano nulla

 

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Il 15 ottobre, per andare oltre e “cogliere l’occasione”

 

Giancarlo Staffolani

 

La valutazione, della manifestazione del 15 nella sua concreta attuazione, va data sulla base degli obbiettivi reali e che debbono e possono essere perseguiti in questa fase al di fuori di ogni enfatizzazione di prospettive politiciste.

 

Giorgio Cremaschi parla di sconfitta e fallimento, egli parte dal fatto che gli scontri avrebbero impedito uno svolgimento pacifico della manifestazione, ma non entra nel merito, come se la partecipazione di massa fosse un indistinto valore in se da spendere sul tavolo di una ipotetica svolta politica alle porte non meglio precisata.

 

Quella di Cremaschi, pur animata da sinceri propositi, è però una analisi tutta soggettiva e miope dettata dalla cronaca politica piuttosto che dalla prospettiva, egli non parte dalle contraddizioni del movimento di classe in questa fase, ma da una petizione di democrazia in astratto e dal rammarico per un mancato percorso precostituito a tavolino, tipico di chi naviga a vista.

 

Non si può eludere il fatto che se non si va alla radice della crisi, la lettera della Banca centrale europea, con le sue ricette di massacro sociale, farà testo per chiunque governi il paese.

 

Non deve sfuggree la posizione furbesca di certi esponenti della cosiddetta “sinistra radicale” che pur di farsi accettare nel centro sinistra dicono in tv di non negare i parametri della stessa Bce, sostenendo che la questione sia invece del come e di quali misure adottare per gli obbiettivi di bilancio posti in sede europea”.

 

La crisi economica e sociale produce necessariamente forme varie e molteplici forme di ribellione sociale pacifiche o meno, per i marxisti ciò è determinato dalla reale condizione di classe di chi ne subisce a vari gradi gli effetti devastanti, bisogna quindi prendere atto che, quando tali condizioni trovano espressione in forme di lotta anche molto dure ed esasperate, sono comunque tendenze interne al movimento reale, con queste tendenze ci si deve rapportare anche criticamente in quanto esprimono la necessità di orientamento ed organizzazione adeguata al livello del conflitto (1). Come già successo in passato in Italia o in altri paesi, queste modalità di conflitto hanno il merito di mettere in discussione il legalitarismo borghese, che assegna allo stato, anche da “sinistra, “ il monopolio della forza (3). Esse emergono in pratica quasi naturalmente, mancando il progetto strategico ed il soggetto capace di produrlo. Quando “non esistono né un orientamento, né un piano e nemmeno una politica, allora l’elaborazione dell’orientamento, del piano e della politica diventa fondamentale e decisiva”. 

 

Emilio Quadrelli nel suo saggio “Cogliere l’occasione” (quaderni di “politica e classe” 2011) scrive che nelle mobilitazioni del 2006, da parte degli studenti francesi universitari e medi “colti” ci fu una netta indisponibilità a comprendere la condizione “di classe” dei proletari precari delle ”banlieu” e degli studenti delle scuole professionali ed invece di unirsi ad essi ne hanno preso le distanze, diffidando delle loro azioni ritenute teppistiche a causa del degrado culturale di provenienza. C’era da un lato il “blocco cognitivo” che lottava sperando di accedere almeno in parte nella classe dirigente, dall’altra l’esercito industriale di riserva della forza lavoro manuale in via di decomposizione che non aveva niente da perdere.

 

Solo sulla base di una analisi materialista e di classe si può determinare il metro di giudizio, individuando le tendenze del movimento reale e fissare gli obbiettivi necessari da perseguire con le mobilitazioni di massa in questa fase, solo da questa analisi si può comprendere che la manifestazione del 15 non possa essere valutata come un “disastro” , come dice Cremaschi, ma piuttosto come un passo avanti dell’opposizione di classe.

 

Vediamo quali sono in realtà i veri obbiettivi qualificanti da praticare in questo momento di lotta contro la crisi strutturale del capitale senza alimentare facili illusioni:

 

1) Diffondere l’idea che il capitalismo in crisi strutturale nella sua fase imperialista non è un sistema sociale intoccabile, ma che si deve e si può sovvertire.

 

2) Spostare masse consistenti di proletari da una coscienza liberaldemocratica, riformista e provinciale ad una coscienza rivoluzionaria anticapitalista e internazionalista. “ Indignazione”  che va trasformata in “odio di classe e coscienza di classe

 

3 ) Identificazione dei nemici palesi e mascherati, personaggi e gruppi rivelatisi persino come delatori che propongono “leggi speciali”, mentre varespinto nettamente al mittente ogni tentativo di strumentalizzare il movimento a fini elettoralistici e concertativi.

 

4) Modificare “i rapporti di forza” conquistando e consolidando vittorie parziali sulle questioni economiche, sociali e democratiche, accrescendo con ciò la fiducia delle masse nella resistenza alla crisi del capitale.  

 

5) Formazione e crescita dei soggetti politici capaci di accumulare  forze rivoluzionarie organizzandole (3)

 

Il metodo da seguire è sempre la dialettica materialista.

 

Vista all’interno questo processo, la manifestazione del 15 può rappresentare senza dubbio l’inizio di una svolta ed una opportunità per tornare “cogliere l’occasione”.

 

La questione dell’egemonia di classe ritorna pertanto centrale e discriminante.

 

Oggi il movimento di classe sta delineando alcuni suoi  punti di riferimento sindacali ed in alcuni pochi casi anche come soggetto politico, essi vanno consolidati e costituiti come veri e propri punti di forza, è la sola la via lunga e difficile da perseguire senza tentennamenti in cui praticare la resistenza popolare come scuola di massa, costruire l’organizzazione militante, formare i quadri, preparare la nuova fase.

 

Note :

 

(1) Marx:”E’ il lato cattivo a produrre il movimento che fa la storia.

 

Le forze produttive si sviluppano di pari passo all’antagonismo delle classi.

 

Una di queste classi, il lato cattivo , l’inconveniente della società, va sempre crescendo finché le condizioni materiali della sua emancipazione non pervengono al punto di maturazione.

 

(K. Marx, “La miseria della filosofia” Ed. Riuniti)

 

 (2) A.Gramsci: Storia a disegno.

 

<<Come domandare che le forze in lotta”moderino”la lotta entro certi limiti (i limiti della conservazione dello stato liberale -ndr),senza cadere in arbitrio o nel disegno preconcetto? Nella lotta “i colpi non si danno a patti” e ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino proporsi di distruggerla completamente e completamente sostituirla. Concepire lo svolgimento storico come un gioco sportivo , con il suo arbitro e le sue norme prestabilite da rispettare lealmente, è una forma di storia a disegno. E’ una ideologia che tende a snervare l’antitesi, (….) cioè a ridurre la dialettica ad un processo di evoluzione riformistica “ rivoluzione – restaurazione”, in cui solo il secondo termine è valido, poiché si tratta di rabberciare un organismo che non possiede internamente la propria ragione di salute>>

 

(A Gramsci “il materialismo storico e la filosofia di B Croce” ed Einaudi – pag 221)

 

( 3) Lenin : “Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunista venuta di moda è accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica”(…) “Solo un partito guidato da una teoria d’avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia” (“Che fare?” pag 55-56. Editori Riuniti)

 

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Oltre il 15 ottobre, per una rivolta permanente

Nelle nostre intenzioni, la giornata del 15 ottobre doveva essere un grande momento di avvio (ripetiamo, avvio) di un processo di mobilitazione collettiva, permanente, che nascesse dal basso, dalla libera condivisione e dall’autodeterminazione di ogni singolo e singola.

Una riappropriazione collettiva e stabile dello spazio pubblico sempre più urgente visto il precipitare della crisi economica e sociale, il carattere epocale e cruciale di questi giorni, di queste settimane, di questi mesi. Un processo inedito di mobilitazioni permanenti in corso in molti paesi, dagli Usa al Portogallo e alla Spagna ma che in Italia non è stato ancora possibile innescare.

Le notizie sul 15 ottobre dal mondo fanno crescere in noi la convinzione che questo processo si sarebbe potuto innescare anche in Italia proprio in quella giornata e invece così non è stato.
L’irriducibile complessità della giornata del 15 ottobre ci obbliga a riflessioni approfondite e pure a mantenere la calma, il sangue freddo, a reprimere sul nascere ogni, opposta, ma simmetrica, reazione emotiva di fronte a quello che è successo sabato, ai commenti di molti, così come all’utilizzo strumentale che di quella giornata si sta facendo da più parti.
A Roma hanno manifestato più persone che in qualsiasi altra capitale europea, questo è il dato che per noi più di tutti sintetizza l’occasione perduta. Sì perché alle nove o alle dieci di sabato sera eravamo tutti e tutte a casa e per questo ci domandiamo: su cosa si misura la radicalità di una pratica?
Noi siamo convinti che si misuri sulla capacità di raggiungere un obiettivo politico, di comunicarlo e farlo percepire come praticabile a livello di massa. Quasi un anno fa, il 14 dicembre, scontrarsi con chi difendeva un despota e un palazzo corrotto era un obiettivo politico che in tanti hanno sentito proprio. Nessuno ha avuto la sensazione di essere stato sovradeterminato da pochi manifestanti quel giorno, perché era chiaro a tutti da dove veniva e dove voleva arrivare quella rabbia. Sabato questo non è successo. Siamo scesi in piazza con le nostre tende, per rimanerci, per occupare una piazza e aprire uno spazio pubblico di mobilitazione permanente. Un bisogno che abbiamo ritrovato nei volti delle centinaia di persone che abbiamo incontrato sabato con le tende in spalla.

La piazza San Giovanni che avevano in mente una parte degli organizzatori non era quello che secondo noi serviva, non superava l’inutile ritualità, non avrebbe messo in campo elementi realmente utili alla costruzione del movimento necessario. Allo stesso modo però, non è stato utile nemmeno quanto accaduto da via Cavour a via Merulana, quando azioni in classico stile minoritario hanno cambiato il volto di un’intera manifestazione. Per questo abbiamo proposto altro, quell’altro che si sta dando ovunque tranne che in Italia. Una proposta di mobilitazione permanente che ci appare la più radicale, perché inedita, perché permanente, perché riproducibile, perché democratica!

Chiaramente è differente il nostro giudizio su quanto accaduto a Piazza San Giovanni, dove migliaia di persone, soprattutto giovani, hanno resistito e si sono opposti alle cariche scellerate e criminali delle forze dell’ordine, che non hanno esitato a caricare con mezzi blindati ed idranti un’intera piazza.

Ovviamente dal giorno dopo è subito partito il massacro mediatico che porta inevitabilmente alla divisione fra buoni e cattivi. Il dividi et impera, insomma, era annunciato!
I giornali chiedono condanne e denunce pubbliche dei violenti. Una denuncia pubblica la vogliamo fare: polizia, carabinieri e finanza hanno tenuto un comportamento criminale, con le cariche e i caroselli di blindati su una piazza composita ed eterogenea, dimostrando la volontà di colpire indiscriminatamente l’intero movimento.

Per questi motivi non abbiamo dubbi nell’esprimere la nostra piena solidarietà a chi da giorni sta subendo irruzioni e perquisizioni in casa, a chi viene sbattuto in prima pagina e consegnato al massacro mediatico, a chi è stato arrestato e subirà la violenza di un sistema sempre più repressivo.

Ci opporremo con tutte le nostre forze alle proposte di Maroni su nuove leggi speciali contro le manifestazioni e contro chi manifesta. Come al solito si vuole ridurre un problema sociale, frutto della crisi economica e della crisi della rappresentanza politica, ad un problema di ordine pubblico. Come al solito la ricetta parla di repressione e di limitazione degli spazi democratici e di dissenso.

Da oggi vogliamo chiudere il capitolo 15 ottobre e guardare avanti. Vogliamo ripartire dalle centinaia di migliaia di persone scese in piazza e che hanno dimostrato che in Italia è presente una larghissima opposizione sociale.
Questo movimento ha bisogno di potersi incontrare, di discutere liberamente, di condividere forme e contenuti. Questo movimento ha bisogno di poter sedimentare lentamente teorie e pratiche nuove e non di ripeterne di precostituite.
Questo movimento deve legittimarsi e non imporsi. Deve riuscire a catalizzare la rabbia e l’indignazione sociale in un percorso condiviso, ampio e partecipato, in un soggetto che sappia contrastare, contestare e sconfiggere ogni giorno le politiche capitaliste e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Questo movimento va dunque costruito.

Ripartiremo dalle nostre facoltà, dai luoghi di studio e di lavoro. Ripartiremo dalle alleanze sociali che in questi anni hanno visto scendere in piazza gli studenti al fianco dei lavoratori, dei movimenti per i beni comuni, dei migranti, delle donne, dei precari.

Siamo scesi in piazza gridando “Noi il debito non lo paghiamo”. Vogliamo trasformare questo slogan in realtà e far pagare la crisi a chi l’ha provocata!

AteneinRivolta – Coordinamento Nazionale dei Collettivi

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Il 15 ottobre contro il diritto a manifestare abbiamo visto solo la polizia.

In tutto il mondo si sta dispiegando un movimento di opposizione sociale alle politiche di sacrifici e austerity contro i lavoratori a favore dei profitti di padroni e speculatori vari. Sabato 15 ottobre in tutto il mondo si sono svolte grandi manifestazioni. A Roma una manifestazione enorme ha sfilato per le strade della città. Diversamente da quanto successo in altre città d’europa, una serie di organizzazioni, alcune delle quali interessate più a costruire un’alternativa elettorale all’attuale governo che alla costruzione di un movimento duraturo, hanno deciso che il corteo sfilasse lungo un percorso “addomesticato”. Infatti uno spropositato spiegamento di polizia ha tenuto ben lontani i manifestanti dal centro della città e dalle stanze dei bottoni. Sabato 15 noi abbiamo visto (e chiunque può vedere nelle immagini che sono in giro, a patto di guardarle in buonafede) una realtà completamente diversa da quella che leggiamo oggi sui giornali: abbiamo visto un corteo oceanico. Abbiamo visto differenti e numerosi gruppi di compagni (e non di “infiltrati”) che hanno scelto di praticare azioni durante il corteo. Non è questo il momento né il luogo per analizzare queste azioni. E’ sufficiente notare che si trattava di azioni circoscritte e che nessuna di esse era “contro il corteo”, come ci viene raccontato. Contro il corteo abbiamo visto solo camionette lanciate a folle velocità e cariche volte a spezzarlo. Abbiamo anche visto, con immenso piacere, migliaia e migliaia di persone contrastare in piazza San Giovanni la brutale aggressione poliziesca, praticandi una resistenza di massa durata ore. E soprattutto non abbiamo visto nessuna “regia occulta” da parte di questa o quell’altra struttura che ora viene indicata come capro espiatorio, alle quali esprimiamo la nostra totale solidarietà (pensiamo soprattutto ai compagni di Acrobax, di Askatasuna, del movimento No TAV, di Gramigna,  e a tutti e tutte quelli/e che si sono visti sbattuti in prima pagina come mostri). Una campagna stampa (la disgustosa “Repubblica” in testa) martellante ci sta raccontando una versione palesemente falsa di quello che è successo in quella giornata. Purtroppo con l’aiuto di settori di movimento con cui abbiamo condiviso fino a pochi giorni fa percorsi di lotta anche importanti. E’ sconcertante constatare che questi settori arrivino fino a compagni molto, ma molto, vicini a noi. Ci raccontano che un gruppo di “violenti” (o “infiltrati”, o “black bloc”, o “parafascisti” e via delirando) hanno negato alle centinaia di migliaia di manifestanti il diritto ad esprimersi. Non ci stupisce leggere queste menzogne sui giornali dei padroni, ma ci lascia allibiti leggerlo nei comunicati dei compagni, specialmente in un clima di caccia alle streghe in cui gli inviti alla delazione fanno da spartiacque e impongono di prendere posizione. Se gli spazi di discussione, critica ed auto-critica sono quanto mai necessari all’interno del movimento, è semplicemente ignobile schierarsi dalla stessa parte di chi chiede arresti di massa di compagni e compagne. I risultati di questa vergognosa situazione si vedono. Oltre a dodici giovani compagni e compagne rastrellati/e a caso durante la manifestazione e ancora in carcere, ieri c’è stata una prima ondata di perquisizioni e denunce in tutta Italia. Dichiarazioni bipartisan da caccia alle streghe con tanto di Di Pietro che richiede il ritorno alla Legge Reale (uso di armi da fuoco contro i manifestanti, fermo preventivo di 96 ore senza la necessità della flagranza di reato). Maroni, sentendosi scavalcato a destra, rincara la dose proponendo fermi obbligatori e fideiussioni in banca per poter svolgere manifestazioni. Facile folks devil giornalistico, i famigerati black bloc sono una categoria fittizia comodo strumento per demonizzare tutto quanto avviene al di fuori della ridicola dialettica politica istituzionale. Oggi la repressione si scaglia contro gli anarchici, domani contro i centri sociali, gli studenti, gli operai. Infatti già oggi oggetto delle perquisizioni sono compagni/e di diverse aree politiche non solo anarchici ma anche sindacalisti di base e ovviamente centri sociali. Parlare a vanvera della violenza di piazza serve a coprire ben altre violenze (molto meno simboliche!): quelle dei 740 mila lavoratori e lavoratrici oggi in cassa integrazione, quelle dei 700 morti sul lavoro all’anno, quelle di migliaia di famiglie sotto sfratto e tante altre che non la crisi, ma questo sistema produttivo capitalistico produce. Per questi motivi esprimiamo la nostra solidarietà a chi si trova in carcere, a chi è stato svegliato all’alba ed ha avuto casa perquisita, a chi è stato fermato, denunciato o intimidito da polizia, carabinieri e delatori. Solidarietà ai compagni e alle compagne colpiti dalla repressione. Marchionne, Marcegaglia, Caltagirone: ecco i veri criminali! Costruiamo l’alternativa sociale alla dittatura delle banche, del Fondo Monetario Internazionale e degli industriali!

Aderiamo e rilanciamo il presidio in solidarietà con gli/le arrestati/e al Gianicolo giovedì 20 ottobre ore 17

CSOA Macchia Rossawww.inventati.org/macchiarossa

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