A Roma, il ministero della Difesa si sbarazza dell’ipocrita scudo “umanitario” glorificando il ruolo delle forze armate a protezione degli interessi dell’onnipotente ente nazionale per il controllo degli idrocarburi. In un comunicato, il ministero ha rivelato che dal 23 settembre scorso, la nave da sbarco “San Marco” e i corpi d’élite della Marina militare (il Comando incursori e subacquei e il Reggimento San Marco) “sono stati impegnati nella riattivazione dei siti petroliferi e gassiferi, in supporto all’ENI, nelle piattaforme Sabratha e Bouri al largo delle coste libiche”. Le installazioni alimentano il gasdotto Greenstream che, a una profondità di oltre 1.000 metri e con 520 Km di condutture sottomarine, permette di trasportare il gas sino alle coste di Gela, in Sicilia.
“L’operazione ha visto l’impiego degli elicotteri della Marina AB212 ed EH101, che hanno svolto operazioni di ricognizione e di supporto, con i tiratori scelti del GOI (Gruppo Operativo Incursori) e degli uomini dei teams EOD (Explosive Ordinance Disposal – Artificieri) del GOS (Gruppo Operativo Subacquei), impegnati nella ricerca e nell’eventuale disinnesco di ordigni convenzionali o improvvisati”, spiega il portavoce della Difesa. “Al termine dell’operazione, le strutture sono state riconsegnate all’ENI e nave “San Marco” è rimasta in zona per fornire supporto aereo per il trasporto dei tecnici incaricati al riavvio delle piattaforme che permetteranno, nel rispetto degli accordi stipulati con la Libia, l’approvvigionamento di gas per la nostra nazione”. Grazie all’intervento dei militari, da metà ottobre il gas è tornato a scorrere nei tubi del gasdotto, iniettando sino a 2-3 milioni di metri cubi al giorno. Gestito da Greenstream BV Libyan Branch, la joint venture per il trasporto di gas di ENI e NOC National Oil Corporation Libya (la compagnia nazionale petrolifera di Tripoli), Greenstream collega l’impianto di trattamento di Mellitah, nella parte ovest della costa, alla Sicilia. Prima del conflitto assicurava la copertura del 12% del fabbisogno italiano, per un valore, secondo l’ENI, tra i 2 e i 3 miliardi di dollari l’anno. Maggiori clienti del gas libico importato, le società Edison, Sorgenia e Gaz de France.
Grazie al regime di Gheddafi, l’ENI ha rafforzato il proprio ruolo di produttore di idrocarburi, affermandosi come il primo acquirente di petrolio (il 33,7%), seguito dalla francese Total (16,7%). Una leadership che i futuri assetti politico-militari libici potrebbero rimettere pericolosamente in discussione: ecco allora che Roma ha giocato d’anticipo affidando alle truppe d’élite della Marina la difesa militare degli impianti off-shore dell’ENI. L’eldorado libico fa gola a mezzo mondo: le riserve petrolifere sono stimate in 60 miliardi di barili, le maggiori dell’Africa e con i costi d’estrazione più bassi al mondo. Per non parlare delle riserve di gas naturale, stimate in circa 1.500 miliardi di metri cubi.
Meritano essere raccontati i giri di valzer in terra nordafricana dei general manager dell’ente petrolifero italiano. Nonostante un feeling lungo quarant’anni con il “dittatore” Gheddafi, in casa ENI si è compreso subito il prevedibile esito del conflitto. Così, dopo la “liberazione” di Bengasi, scortato dai reparti speciali delle forze armate e dagli 007 dell’Aise (l’ex Sismi), il 3 aprile scorso l’amministratore delegato Paolo Scaroni si è recato in Libia per incontrare i leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). “Il viaggio di Scaroni è servito a riavviare la cooperazione con l’Italia nel settore energetico”, annunciava il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Da allora, gli appuntamenti tra i manager ENI e gli uomini del Cnt si sono svolti con frequenza settimanale. “In silenzio stiamo rafforzando la nostra posizione di partner privilegiato della Libia”, spiegava lo stesso Frattini in un’intervista al settimanale Panorama. “L’ENI punta a conservare il primo posto fra i produttori di idrocarburi. Scaroni ha potuto firmare accordi importanti con il Cnt grazie al coinvolgimento del sistema paese, il ministero della Difesa, le strutture dell’intelligence”.
Il 29 agosto, Scaroni raggiungeva ancora una volta Bengasi per sottoscrivere un memorandum con il neopresidente della National Oil Corporation, Nuri Ben Ruwin. L’accordo prevedeva la riapertura entro ottobre del gasdotto Libia-Sicilia, dei giacimenti di Waifa e dell’impianto di pompaggio gas di Metillah. Come riportato da un comunicato della società, “l’ENI si impegna a eseguire una prima fornitura di prodotti petroliferi raffinati, per contribuire ai bisogni essenziali e più urgenti della popolazione libica. ENI, che già fornisce a Cnt aiuti umanitari con l’invio di materiale medico, assicurerà inoltre l’assistenza tecnica necessaria per valutare lo stato di impianti e infrastrutture energetiche presenti nel Paese, nonché per definire il tipo e l’entità delle operazioni necessarie al riavvio in sicurezza delle attività”.
Due giorni più tardi era il ministro Frattini a recarsi in Libia per legittimare ufficialmente il Cnt quale “titolare dell’autorità di governo nel territorio da esso effettivamente controllato”. Nell’occasione Frattini autorizzava l’ENI a fornire carburante raffinato per 150 milioni di euro ai nuovi padroni di Bengasi, da pagare a fine conflitto con una fornitura di greggio di analogo valore. Il 12 settembre Scaroni volava a Tripoli per incontrare personalmente il consigliere per la sicurezza nazionale del governo provvisorio, Abdel Karim Bazama, e pianificare tempi e modalità di riavvio della produzione di petrolio e gas. “Si tratta della prima missione nella capitale libica di una società occidentale dall’inizio dell’insurrezione”, annunciava trionfalmente l’ufficio stampa ENI. “Obiettivo principale è la ripresa delle esportazioni attraverso il gasdotto Greenstream. L’operazione è stata dichiarata di interesse nazionale dal governo italiano perché strumentale alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici nazionali. A sua volta il CNT ne ha sottolineato l’importanza strategica per il nuovo governo e il popolo libico in quanto importante testimonianza del graduale ritorno alla normalità”.
Ad accompagnare Scaroni, alcuni ingegneri e tecnici dell’ente petrolifero successivamente trasferitisi sulla piattaforma offshore di Sabrata e al giacimento petrolifero di Abu Attifeel, 300 Km a sud di Bengasi, gestito dalla Società Mellitah Oil & Gas, altra joint venture ENI-Noc. Dopo la riattivazione dei primi pozzi, l’ENI spera di tornare a produrre gas a pieno regime prima che inizi l’inverno (19-20 milioni di metri cubi al giorno). Il petrolio richiederà tempi più lunghi, forse anche un anno. Se il nuovo governo libico rispetterà davvero gli impegni pre-conflitto, l’ENI possiederà fino al 2042 per il petrolio e al 2047 per il gas, tredici titoli minerari in sei aree contrattuali onshore e offshore, per una superficie complessiva di 36.375 Km quadrati. Ciò consentirà l’estrazione sino a 280.000 barili di greggio al giorno (il 13,4% della produzione mondiale ENI) e 24 milioni di metri cubi di gas.
“Gheddafi? Di certo nessuno lo rimpiangerà”, ha dichiarato Paolo Scaroni al quotidiano la Repubblica, a conclusione di una delle sue recentissime missioni in Libia. “Dal 2 settembre 1969, ossia dal giorno del colpo di Stato, il raìs s’è sempre comportato come un criminale. Basti citare l’esempio di quando con le ruspe fece distruggere il cimitero italiano di Tripoli, o la quantità di dittatori africani che ha sostenuto e addirittura sovvenzionato, da Jean-Bédel Bokassa in Centrafrica a Charles Taylor in Liberia”. L’intervista si chiudeva con una robusta dose di cinismo. “Affari con Gheddafi? Non potevamo fare altrimenti, la Libia era ed è un paese importante per non trattare con chi lo dirigeva…”. Trattative e contratti multimiliardari quelli dell’ENI con l’ex dittatore di Tripoli. È con Scaroni (già vicepresidente Techint e amministratore delegato Enel, una condanna patteggiata a un anno e quattro mesi per il pagamento di tangenti al Psi di Bettino Craxi), infatti, che l’ENI si aggiudica quattro permessi esplorativi su una superficie di 17.876 Kmq nei bacini meridionali del Murzuk e di Kufra (aprile 2005) o sottoscrive un accordo da 28 miliardi di euro per lo sfruttamento per venticinque anni dei giacimenti di greggio e l’aumento della produzione di gas (giugno 2008).
Il 19 dicembre 2010, due mesi prima dell’inizio dei bombardamenti contro la Libia, l’amministratore delegato ENI aveva pure firmato con il primo ministro libico, al-Baghdadi Ali al-Mahmudi, un Memorandum of Understanding per la realizzazione di “1.000 unità abitative con relative infrastrutture di servizio, un porto navale, opere industriali e un impianto di desalinizzazione dell’acqua” nell’area di El Agheila, 280 Km ad ovest di Bengasi. Sempre sotto il regno di Scaroni, nel 2006 l’ENI ha sottoscritto un programma da 150 milioni di dollari con la Gheddafi Development Foundation e la compagnia petrolifera libica per la realizzazione di “progetti sociali” miranti alla “formazione professionale di giovani laureati, alla realizzazione di strutture ospedaliere, alla conservazione e ripristino del sito archeologico di Sabratha, all’intervento in campo di edilizia scolastica, ambientale ed industriale”. Scaroni non avrebbe sicuramente potuto fare altrimenti e di meglio con un “criminale” opportunamente “giustiziato” dai nuovi partner e soci del sistema Italia.
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