Proprio in questi giorni il dibattito a sinistra sulle questioni economiche e sulle possibili uscite dalla sta arrivando a punti qualificanti. Non credi ci sia stato troppo ritardo?
Il ritardo è ancora di più di quello che sembra, soprattutto se letto alla luce di vari spunti di analisi che alcuni analisti marxisti sottolineammo alcuni anni fa quando già negli anni ‘90 parlammo di crisi sistemica. Adesso dalle continue dichiarazioni degli organismi internazionali del capitale , o ad esempio con quelle di Draghi e Trichet, abbiamo la prova che la crisi non è congiunturale. Mentre le crisi cicliche servono a distruggere forze produttive in eccesso, le crisi strutturali come quella del 1929 mettono in discussione il modello di accumulazione per rilanciare il sistema con un nuovo modello. Non a caso, allora se ne uscì con il fordismo, il keynesismo, il sostegno alla domanda, e la seconda guerra mondiale. Questa crisi è peggio di quella del 1929, poiché non si va configurando un nuovo processo di accumulazione e di valorizzazione compatibile con lo sviluppo delle forze produttive.
Sempre in quel filone di ricerca marxista, al quale mi richiamo, facciamo risalire l’inizio della crisi sistemica attuale agli anni ’70, quando nei paesi a capitalismo maturo entrò in crisi il modello del consumo di massa e il fordismo, che non rispondeva più ad uno sviluppo delle forze produttive che richiedeva un nuovo modello di accumulazione.
A fronte della terza rivoluzione industriale non c’è una nuova energia capitalisticamente conveniente e socialmente gestibile che la sostenga. Nel 1929 l’encomia non era globalizzata. Oggi con l’effetto domino non si salva più nessuno. C’è inoltre un passaggio che si instaura a partire dal 1971 quando si chiudono gli accordi di Bretton-Woods; ciò di fatto vuol dire la sopravvivenza sopra le proprie possibilità dei soli Usa che emettono dollari senza avere il corrispondente in oro. In pratica gli Usa da quel momento cominciano a vivere di debito esterno, interno, pubblico e privato.
Comunque l’Europa ha trovato una strada, la supremazia della Germania…
La verità è che il capitalismo sta nascondendo la polvere sotto il tappeto. Non è stato sufficiente delocalizzare cioè esportare il fordismo in altre aree del mondo. Il risultato è che aumenta la massa complessiva del profitto ma diminuisce il saggio di profitto. Da qui nasce la supremazia della finanza, l’esplosione delle rendite immobiliari, finanziarie , di posizione.
Oggi il modello che si afferma è quello del paese esportatore ovvero la Germania. Il marco ha bisogno di crearsi un’area che sostenga questa impostazione di creditore internazionale. E’ su questa ipotesi che si comincia a costruire l’Europa. L’area dell’euro serve a sorreggere quel modello economico- produttivo diretto dall’export e credito della locomotiva tedesca. L’Unione Europea dell’euro è una nuova area monetaria competitiva con il dollaro che esprime la forza e soddisfa le necessità competitive di un marco generalizzato.
Una supremazia effimera, certo non comparabile a quella degli Usa.
La Germania ha una doppia convenienza. Primo, perché ci possono essere dei ”maiali”, i PIGS (Portogallo, Italia e Irlanda, Grecia, Spagna) cioè aree sub-colonizzate, o di colonizzazione interna, a cui imporre la deindustrializzazione, le privatizzazioni, con il corollario di smantellamenti dei legami più forti con il mercato internazionale, abbassamento del costo del lavoro, con continue contrazioni su salario diretto e welfare.
Risultato, abbiamo l’Unione Economica Monetaria e commerciale in cui i Pigs risultano essere ”importatori ideali”, ovviamente asserviti allo strapotere della Germania. Il debito pubblico corrispondente alla funzione di import e alla cattiva gestione interna viene acquistato dai paesi con il surplus, ovvero da Germania e Cina.
Il passaggio che si sta attuando ora è che dopo l’Unione Economica oggi serve l’Unione politica, cioè lo Stato sovranazionale dell’Europa dei potentati guidati dai tedeschi. La lettera di Trichet e Draghi a Berlusconi, ad esempio, in pratica impone il passaggio di sovranità e le decisioni di politica economica dagli Stati nazionali ad una entità sovranazionale. Questo non è poco. Non è poco se il Fmi impone i suoi ispettori pur in assenza di un prestito.
Nessuno si sta rendendo conto che di fatto è stata dichiarata una guerra. A fianco a quella militare dichiarata dalla Francia alla Libia attraverso la quale si cerca di mettere in discussione la supremazia della Germania, c’è una guerra alle istituzioni degli Stati nazionali come in Grecia. Lo stesso stanno facendo da noi. Una guerra anche massmediatica in cui fa la comparsa la funzione terroristica della parola ”debito sovrano”e non più debito pubblico. Che poi vuol dire che se non si accettano sacrifici ,il singolo cittadino, il lavoratore precario, il pensionato al minimo, può mettere in forse la sovranità del suo paese. E’ assurdo no?
Davanti alla crisi quali soluzioni?
Il centrosinistra dice ”rilancio della crescita”. Ma come si fa pensare che in un momento in cui c’è questa guerra in corso ci siano i margini economici per rilanciare il modello keynesiano, significa stare fuori dal contesto storico-economico, costruirsi un mondo secondo le proprie illusioni , che significano ingannare i lavoratori.
La soluzione non è economica ma politica, questo sostengo nell’ultimo libro “Il risveglio dei maiali” , che vuole essere un manifesto politico per il non pagamento del debito , l’uscita dall’euro , le nazionalizzazioni. L’atto di nuova conflittualità da parte del movimento dei lavoratori deve essere di pari livello di quello formulato dal capitale. Riprendiamo un percorso di lotte che mettano al centro le rivendicazioni salariali, il lavoro vero a pieni diritti e pieno salario, la riforma fiscale, la tassazione incisiva di tutti i capitali; sì, il riformismo strutturale ma che dia le gambe, l’accumulazione di forze nuove, spazio al protagonismo dei soggetti sociali e del sindacalismo conflittuale di classe. Bisogna sedimentare le forze attraverso percorsi di lotta e di democrazia partecipativa e non pensare a ricette di vertice.
Ridare fiato alle lotte di potere a partire da quelle di redistribuzione del reddito e poi della ricchezza sociale. Due fasi, prima la rivendicazione e la lotta, per cambiare l’agenda dettata dalle cosiddette regole dell’economia. E poi la creazione di una piattaforma politica forte per la costruzione di una nuova area fuori dall’euro, con al centro un modello solidale come l’area dell’ALBA in America Latina.
Prima che loro decidano i buoni e i cattivi perché non mettere in moto un sistema eco-socio compatibile fuori dai dettami del FMI come hanno fatto nella Nuestra America i paesi dell’ALBA.
Ma in America Latina sono partiti dalla conquista del potere…
Lì si sono rimesse in marcia masse di milioni di lavoratori su lotte rivendicative, come la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua, lotte che hanno creato l’humus politico per portare al potere formazioni di sinistra attraverso le elezioni. L’FMI si comportava con loro come gli strozzini con i debitori. E loro si sono sottratti a questo gioco creando un’area alternativa.
Qui potremmo chiamarla Alleanza libera per l’interscambio alternativo e solidale (Alias), che adotta una nuova moneta Libera, cioè libera dai vincoli dell’usura istituzionalizzata imposta dalla BCE.
Qual è lo schema?
Questa area si stacca dall’Euro con una moneta che ha il tasso di cambio flessibile valutata su un cambio che rappresenta un paniere misuratore della ricchezza reale dell’ insieme dei paesi partecipanti. In questo modo si svaluta automaticamente il debito non più misurato in euro. Il vantaggio è anche politico e consiste nel proporsi a livello internazionale come interlocutore politico ed economico dei paesi ad esempio dell’Africa mediterranea e poi con i paesi dell’Est dove sono approdate le delocalizzazioni. Questa è una proposta che oggi circola nei movimenti internazionali, proposte vive e patrimonio delle lotte del Pame in Grecia e di tanti movimenti sociali e sindacali di classe in Europa. In Italia il ripudio del debito , le nazionalizzazioni sono parte del programma dei movimenti del 15 ottobre 2011.
Appunto, ripeto l’obiezione di prima, bisogna partire da una posizione istituzionale…
Per far questo occorre nazionalizzare le banche e i settori strategici. Venerdì sull’Unità un grande filosofo italiano Luciano Canfora metteva in evidenza proprio questo deficit di sovranità dell’Unione Europea. Le soluzioni non sono economiche ma politiche, ha risposto anche Canfora
” I paesi dell’Europa Mediterranea devono avere il coraggio di uscire dall’euro”, aggiungeva, cioè quella stessa proposta politica prima che economica che noi proponiamo nel libro “Il risveglio dei maiali” .
Che ne pensi del dibattito sviluppato su sbilanciamo.info?
Comunque è in atto un processo di dissoluzione dell’euro. Dissoluzione che sta anche nei piani di Francia e Germania, dal quale i lavoratori devono difendersi contrattaccando , muovendo proposte che vadano al di là del singolo paese.
Gnesutta ha ragione nel momento in cui si è parlato di uscita dall’euro del singolo paese. Ma la proposta nostra su Alias è quella di uscire come gruppo di paesi, con una nuova moneta , nazionalizzando in primis le banche e di attuare un blocco dei capitali in uscita e una tendenza al pareggio e poi al surplus nella bilancia dei pagamenti . Se non si parte da quello che ho detto, ovvero dalla centralità della politica e il suo dominio sull’economia, da una nuova stagione di protagonismo delle lotte del movimento di classe, non si riuscirà a spuntarla.
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