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Servizi all’infanzia, “bene comune”. Assemblea a Bologna

Servizi all’infanzia come “bene comune”. Nonostante il termine, dopo il successo del referendum, sembri essere davvero abusato, i servizi a favore dei più piccoli dovrebbe integralmente e universalmente essere considerati “bene comune”. Di più, se il “vecchio” termine diritto abbia ancora una forza concreta, i servizi all’infanzia sono innanzitutto un diritto dell’individuo bambino.

In mezzo ai nuovi mali di inizio secolo, precarietà, crescente povertà, logoramento delle pratiche si rappresentanza, va annoverato anche il progressivo indebolimento nei paesi occidentali di questo diritto formalmente tutelato. Basta guardare alle nostre città, dove trovare un posto in un asilo nido, prima esperienza educativa in cui tra l’altro l’Italia è riuscita a creare un modello studiato in tutto il mondo, è un terno al lotto. O nelle scuole dell’infanzia, dove il rapporto numerico tra alunni e maestre è stato quest’anno innalzato, da un già drammatico 1 a 25 a un insostenibile 1 a 28.
Negli scorsi due anni in molte città italiane ci sono state mobilitazioni anche dure da parte degli insegnanti e degli operatori dei servizi all’infanzia. Spesso chi è riuscito ad intercettare queste mobilitazioni è stato il sindacato di base Usb, che ora sta cercando di mettere in piedi un percorso politico che metta insieme tutti i protagonisti dei servizi all’infanzia. A Febbraio c’è già stata una prima assemblea nazionale a Roma. Oggi si replica a Bologna, patria di quel modello tanto studiato dei nidi, a partire dalle 10 nella sala Falcone e Borsellino di via Battindarno 123.
“Sarà un incontro aperto a tutti i protagonisti di un settore sottoposto a pesanti tagli e privatizzazioni, dove il benessere delle bambine e dei bambini viene messo a rischio continuo – dice Vilma Fabbiani dell’Usb – In tutte le sedi istituzionali, esemplare il caso di Bologna e dell’intera regione Emilia Romagna, si parla di infatti di “ripensamento dei servizi educativi” e di “sussidiarietà”, che si traduce in affidamento della gestione ai privati, in riduzione della qualità e aumento delle tariffe”.
Proprio a Bologna quest’anno è stato deciso di applicare un diverso rapporto numerico negli asili nido tra insegnanti e bambini, racconta ancora Fabbiani, contro cui c’è stata una fortissima mobilitazione dei lavoratori e delle famiglie. Se prima il rapporto era di un insegnante per 4 “lattanti”, cioè i bambini da 0 a 1 anno, ora quel rapporto è passato da 1 a 5. Se fino all’anno scorso il rapporto era di 1 a 6 per i bambini medi e grandi (2 e 3 anni), ora è di 1 a 7. “Si tratta di scelte molto gravi, che oltre ad aver determinato un’espulsione dal lavoro di maestre e maestri precari che da anni lavorano nel servizio pubblico, tradisce una visione dei bambini come ‘polli da batteria’. In questo modo diventa impossibile mettere in piedi un progetto educativo che sia in grado di considerare ogni bambino nella sua individualità, bisognoso di cure particolari. C’è chi si addormenta subito, chi ha bisogno di coccole, chi mangia in un modo, chi in un altro”, dice ancora Fabbiani. Così, invece, l’insegnante è solo deputato a mantenere l’”ordine”, a fare in modo che il bambino venga restituito alla famiglia non troppo “ammaccato”, rinunciando al ruolo educativo e di crescita che il nido può invece rappresentare per un bambino così piccolo. Un parcheggio, che vuoi di più?
L’assemblea nazionale ha un obiettivo ambizioso: proporre un cambiamento di rotta a livello nazionale. Un progetto che punti al riconoscimento di una offerta formativa complessiva per i bambini da zero a sei anni. Per questo verrà presentata una petizione che ha, tra i punti principali, la richiesta di riconoscere i nidi non più come servizi sociali a richiesta individuale, ma come servizio scolastico e la riduzione del rapporto numerico tra insegnanti e piccoli alunni. Una petizione che in futuro potrebbe diventare una proposta di legge popolare.

* Cinzia Gubbini – Il Manifesto 11 -11-2011 

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