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“Dentro l’Europa ma fuori dall’Unione Europea”

Il vostro terzo congresso che cade nel mezzo di una profonda crisi sistemica del modo di produzione capitalistico .Un aspetto più volte ripreso nell’agenda dei vostri lavori, dove al compito di approfondire l’analisi sulla crisi economica, affiancate l’importanza in questa fase di rafforzare l’organizzazione del partito dando maggiore spinta al lavoro tra le nuove generazioni e nei movimenti sociali, percependo giustamente che la profondità di questa crisi crea anche le condizioni per intensificare la denuncia dei limiti e delle storture del capitalismo, “ ponendo il socialismo come alternativa necessaria, solidale”. Siamo interessati al lavoro di elaborazione e di azione del Partito Comunista Danese, soprattutto dove segnala la necessità di mettere in campo un programma di riforme “democratiche” o di struttura tese ad accumulare consensi su una piattaforma che rivendichi la redistribuzione della ricchezza. Intervenendo così sulle contraddizioni che apre la crisi economica, opponendo all’attacco ai salari ed al welfare sostenuto dalle ricette liberiste , una proposta rivendicativa che partendo dagli interessi di classe sappia porsi con una prospettiva di carattere generale .

Oggi con la crisi cambiano di nuovo le “figure“ della composizione di classe e quel processo che aveva fatto crescere i redditi nei paesi sviluppati modifica nuovamente direzione e comincia a riprendere la divaricazione tra diversi settori sociali.

Le nostre forze agiscono all’interno del polo imperialista europeo, pur con le dovute differenze essendo legate al proprio specifico contesto.

La gerarchia interna all’Unione Europea è ben individuabile nelle 5 aree definite dal punto di vista produttivo ed economico: l’Europa centrale (quella del modello esportatore tedesco, appoggiato e affiancato dalla borghesia francese), i paesi Nord europei (quelli del keynesismo sociale, cioè del mantenimento del welfare nei termini ancora possibili), i paesi a  economia debole come Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna (i cosiddetti PIIGS), i paesi dell’Est-europeo (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania ecc.) cioè quelli della delocalizzazione produttiva (utili per tentare di risolvere la conflittualità sul versante del costo e dei diritti del lavoro) e la zona  Afro-Mediterranea (Algeria, Marocco, Tunisia, ecc…) Siamo perciò di fronte ad una Unione Europea che ha in sè delle formidabili crepe. La crisi sistemica del capitalismo ha rimesso in discussione non solo l’egemonia degli USA e dell’area del dollaro, ma ha messo in grande difficoltà anche il polo imperialista europeo. E’ così che l’attuale contesto si caratterizza con l’accresciuta competizione tra i poli imperialisti e tra le aree economiche emergenti. La crisi di valorizzazione del capitale, accentua la competizione globale, rafforzando cosi la tendenza alla guerra e alla rapina delle risorse economiche e all’attacco alla classe lavoratrice .

 

L’internazionalismo di cui abbiamo bisogno nasce da un interrogativo ‘semplice’ ma pur tuttavia di carattere strategico: quale può essere il nostro ruolo e quello degli altri soggetti di classe operanti oggi in Europa , nel nostro contesto di area a capitalismo avanzato dentro il polo imperialista europeo ?

Alla lotta di classe aperta dalle borghesie europee nei confronti della classe lavoratrice in maniera modulata a seconda della divisione del lavoro assegnata alle diverse aree, hanno corrisposto lotte e movimenti di diversa intensità . La combattività e la persistenza della lotta è stata più evidente laddove c’è un forte e radicato movimento di classe , fatto di organizzazione sindacali e partiti comunisti. Questi movimenti, in queste lotte hanno palesato la cognizione della natura di classe dello scontro ed hanno ben compreso la natura e la ragione sociale dell’Unione Europea della BCE.

E’ anche per questa ragione che si va affermando tra le organizzazioni di classe europee la consapevolezza rispetto ad un comune obiettivo politico: l’uscita dalla UE, contro il suo ruolo e la funzione originaria, vale a dire una potenza imperialista guidata dalla borghesia tedesca ed in subordine francese. Questo obiettivo è sintetizzabile con lo slogan, “Dentro l’Europa, ma fuori della UE” è una battaglia forse difficile, ma pensiamo che sia l’unica possibile, se si considera l’equilibrio dei poteri tra le classi e gli Stati. A partire dall’Europa mediterranea , dai cosidetti PIIGS, dobbiamo lavorare alla costruzione di un movimento che sappia andare oltre lo slogan noi il debito non lo paghiamo. Capire che si può uscire dalla crisi con nuovo modello di sviluppo, sull’esempio che ci viene dai paesi dell’America Latina che sono stati sottoposti per anni alle politiche del FMI .Li i movimenti sociali e politici hanno messo in campo una vertenzialità e lotte durissime che li hanno portati al governo. E’ da questi paesi, una volta legati al dollaro, che ci viene l’indicazione che si può uscire dal’euro e creare una area di libero scambio alternativa all’UE a guida Franco Tedesca.

Un area di scambio che abbiamo definito ALIAS Area Libera per l’Interscambio Alternativo Solidale. Che si doti di una sua moneta e che reindirizzi la politica economica verso i lavoratori, dandogli cioè una caratteristica di interesse generale. Significa riaffermare il predominio della politica , nel nostro caso degli interessi di classe, rispetto al feticcio del mercato come modello sociale naturale e quindi possibile. Le borghesie Tedesca e Francese cioè dei paesi esportatori che guidano l’Euro-polo hanno imposto ai cosiddetti PIIGS un processo di deindustrializzazione, le economie di paesi come Italia , Grecia e Portogallo sono legate ai servizi verso il turismo e le imprese . Oggi i PIIGS sono importatori di merci e debito. L’uscita dall’euro, quindi dall’Eurozona o Euro-polo, è un’opzione e un passo verso la soluzione dei gravi squilibri strutturali delle economie periferiche che non sono semplicemente squilibri finanziari ma son innanzitutto di carattere produttivo. L’uscita dall’euro da parte di paesi che hanno delle caratteristiche comuni e complementari, come i paesi dell’Europa mediterranea è un alternativa politica, rispetto al fallimento suicida delle singole monete e al lento strangolamento dell’Europa delle banche.

Una strada che rivendica la nazionalizzazione dei settori determinanti , come le banche, le industrie strategiche e legate alle risorse, per disegnare una economia solidale e delle sostenibilità socio-ambientali verso la riaffermazione della pianificazione socialista come unico metodo per la trasformazione del superamento del modo di produzione capitalistico.  E’ un passaggio di prospettiva che richiede la scesa in campo di un movimento di lotta con caratteristiche nel caso nostro, sovranazionali che rimetta al centro la redistribuzione delle ricchezza a vantaggio dei lavoratori. Un protagonismo di classe che sappia aprire con le lotte, vertenze su riforme strutturali creando organizzazione di classe in grado di accumulare forze e consensi, attorno ad un programma di fase. Un programma che comunque nel rivendicare salario e diritti sia in grado di invertire i rapporti di forza nel conflitto capitale-lavoro, riconquistano così terreno di potere a favore dei lavoratori .

 

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