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Italia. Una storia rovesciata

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Italia. La storia rovesciata

C’è una parte determinante della storia recente del nostro paese che è diventato urgente e pertinente riportare alla luce di fronte ad una rimozione/manipolazione strumentale. E’ doveroso che le nuove generazioni conoscano dati storici ma anche punti di vista che oggi vengono rovesciati, occultati e talvolta intimiditi in sede accademica, giornalistica o negli incontri pubblici nelle varie città italiane.

E’ doveroso conoscere che già alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli apparati militari e di intelligence statunitensi avviarono una operazione di salvataggio di centinaia di criminali di guerra nazisti e fascisti tedeschi e italiani in modo da poterli usare contro la nuova guerra globale che si stagliava all’orizzonte: la guerra fredda contro l’Urss e il movimento comunista.

A tale scopo, anche in collaborazione con il Vaticano, attivarono vie di fuga come l’organizzazione “Odessa” o la Rat Line (il sentiero dei topi) che aveva come snodo il porto di Genova e che trasferì in America Latina e nella Spagna franchista decine di criminali nazisti e gerarchi fascisti per porli al riparo dai processi, dalla galera o dai plotoni di esecuzione.

Ma una parte di questi criminali di guerra fu protetto e reinserito in breve tempo direttamente negli apparati statali o di sicurezza in Europa, in Germania ed anche in Italia.

Gli Stati Uniti, ad esempio, cooptarono nel proprio apparato la rete di controspionaggio nazista coordinata da gen. Gehlen e la utilizzarono per riorganizzare i servizi di sicurezza tedeschi in funzione anticomunista (all’interno) e antisovietica (all’esterno).

Il National Security Archive, istituzione non governativa che negli Usa si occupa della pubblicazione di documenti declassificati, ha dato grande risalto sul proprio sito internet (http://www.gwu.edu/nsarchiv ) alla storia delle relazioni intercorse tra i servizi di sicurezza statunitensi e l’organizzazione Gehlen, un gruppo di nazisti del Terzo Reich che nel 1956 sarebbe diventato il nocciolo del Bundesnachrichtendienst (Bnd), il nuovo servizio segreto della Germania occidentale.

 

La cooptazione dei fascisti negli apparati dello Stato repubblicano

In Italia, furono cooptati sin da subito dal costituendo Partito Atlantico (l’asse strategico tra Democrazia Cristiana e Stati Uniti che ha poi cooptato altri soggetti) i generali compromessi con il regime fascista come Roatta o i criminali di guerra fascisti come il comandante della X Mas, il Principe Junio Valerio Borghese o lo stesso Giorgio Almirante.

Inoltre l’intero apparato statale del regime fascista non solo non fu epurato ma venne reintegrato via via ai suoi posti di comando: prefetti, questori, generali, commissari di polizia, spioni dell’Ovra, transitarono tranquillamente dagli apparati del regime fascista al quelli della Repubblica democratica nata dalla Resistenza. “Nell’estate del 1946, oltre 150 spie fasciste furono “riconvertite” dal primo governo De Gasperi e inserite nei gangli vitali dell’allora nascente Stato repubblicano”…”Giova conservarli al servizio dello Stato” sostenne l’allora ministro dell’Interno Giuseppe Romita”. (1)

Occorre ammettere che tale processo fu aiutato anche dall’amnistia concessa ai fascisti dal segretario del PCI, Togliatti che in qualità di Ministro della Giustizia del primo governo della Repubblica, la concesse come gesto di pacificazione. Un atto questo destinato a provocare risentimento tra gli ex partigiani che si sentirono traditi ed avviò una “resa dei conti” sfociata in alcune zone del paese nell’esecuzione sommaria di criminali fascisti e dei loro collaboratori, in particolare nel cosiddetto Triangolo Rosso in Emilia-Romagna. Per paradosso, nel primo dopoguerra finirono in carcere più ex partigiani che ex fascisti.

E’ impressionante e doveroso sottolineare come nei primi anni della Repubblica nata dalla Resistenza, mentre i fascisti vennero amnistiati, dal 1948 al 1954 si ebbero 148.269 arrestati o fermati (per motivi politici) di cui l’80 per cento iscritti o simpatizzanti comunisti, 61.243 condannati per complessivi 20.426 anni di galera (con 18 ergastoli) di cui il 90 per cento a comunisti. Nello stesso periodo in sole 38 province italiane vengono arrestati 1697 partigiani, dei 484 condannati a complessivi 5806 anni di carcere. Ma l’azione repressiva andava ben oltre: dal 1947 al 1954 in scontri di piazza tra forze di polizia e dimostranti, si contano almeno 5.104 feriti di cui 350 da armi da fuoco, un numero imprecisato di contusi e 145 morti. I morti fra gli uomini delle forze di polizia sono nello stesso periodo, 19. Tutte queste sono cifre che parlano da sole sulla situazione drammatica, iniqua e inaccettabile del primo dopoguerra per chi aveva rischiato la vita nella Resistenza e nell’antifascismo.

Le vergognose pubblicazioni storiche “rovesciste” di Giampaolo Pansa (2), omettono e manipolano abbondantemente le ragioni obiettive e il contesto storico di quelle esecuzioni, azioni scaturite dal fatto che chi si era macchiato di crimini durante il fascismo l’avrebbe fatta franca. Una prospettiva umanamente e politicamente inaccettabile per chi aveva sofferto la repressione di venti anni di regime fascista e poi la brutalità dell’occupazione nazifascista dopo l’8 settembre del 1943.

L’arruolamento dei criminali fascisti negli apparati dello Stato nel dopoguerra, ci mostra alcuni esempi piuttosto clamorosi. Il gen. Roatta – responsabile del servizio segreto del regime fascista e mandante dell’omicidio dei fratelli antifascisti Rosselli eseguito in Francia da alcuni fascisti dell’organizzazione francese La Cagoule – fu cooptato da una parte della Democrazia Cristiana, quella più vicina ad Andreotti e Cossiga e gli fu affidato il compito di organizzare un servizio segreto ignoto anche al resto degli apparati dello stato: L’Anello.

Questo servizio segreto recuperò tutti gli schedari della polizia segreta fascista, l’OVRA, e rimise insieme un gruppo di “Uomini Neri” disposti a fare tutto il lavoro sporco che ci sarebbe stato da fare per conto degli USA e di quella parte della DC più integrata nel Partito Atlantico. Di esso facevano parte personaggi come il criminale di guerra repubblichino tenente colonnello Adalberto Titta (salvato dall’amnistia di Togliatti) conosciuto come il Terrore di Montebello, l’imprenditore milanese Garufi, il re degli investigatori privati Tom Ponzi, uomini neri come Matteo Fusco di Ravello ed anche un sacerdote, don Enrico Zucca. Il gruppo aveva strettissimi rapporti con l’ex repubblichino fascista Pisanò che dirigeva il giornale “Il Candido”, un giornale che sarà un vero e proprio crocevia di tutti i lavori sporchi della prima fase di quella che nel 1969 diventerà la “guerra dei quaranta anni”.

Un altro criminale di guerra fascista che fu salvato e ampiamente riutilizzato nella “guerra dei quaranta anni”, fu Junio Valerio Borghese, il principe nero della Repubblica di Salò ed ex comandante del reparto militare fascista X Mas. Borghese usufruì dell’amnistia concessa da Togliatti. Fu tra i fondatori e Presidente onorario del MSI e sostenne Giorgio Almirante nella scalata alla segreteria. Poi ruppe con il MSI e fondò il Fronte Nazionale che nella notte del 7 dicembre 1970 tentò un vero e proprio colpo di stato militare (vedi più avanti) con la complicità di settori delle forze armate, della polizia e della guardia forestale e che venne fermato all’ultimo momento da un contrordine dell’amministrazione USA.

Nel 1973 Borghese scappò nella Spagna franchista dove morì nell’agosto del 1974 dopo essere stato nel Cile del colpo di stato ed aver incontrato il generale golpista Pinochet insieme ad un altro neofascista Stefano Delle Chiaie, dirigente di un’altra organizzazione fascista: Avanguardia Nazionale

E’ doveroso segnalare anche un altro fascista “salvato” e utilizzato più sul piano politico che su quello militare nella “guerra dei quaranta anni”: Giorgio Almirante. Almirante fu firmatario nel 1938 del Manifesto della razza (che accompagnò il varo delle leggi razziali contro gli ebrei in Italia), dal 1938 al 1942 su il segretario di redazione della rivista “La difesa della razza”. Alla creazione della Repubblica Sociale Italiana Giorgio Almirante passò a Salò, arruolandosi nella Guardia Nazionale Repubblicana con il grado di capomanipolo. Successivamente, dopo aver ricoperto il ruolo di Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura Popolare di Mussolini passò al ruolo di tenente della brigata nera dipendente sempre dal Minculpop. In questa veste, al pari di altri gerarchi fascisti, si impegnò nella repressione contro i partigiani in particolare in Val d’Ossola e nel grossetano. Qui, il 10 aprile 1944, apparve un manifesto firmato da Almirante in cui si decretava la pena della fucilazione per tutti i partigiani (definiti “sbandati”, all’interno del manifesto) che non avessero deposto le armi e non si fossero prontamente arresi.

Almirante già nel 1946 fu tra i fondatori prima dei Fasci di Azione Rivoluzionaria e poi del Movimento Sociale Italiano fino a diventarne segretario, incarico che ha mantenuto fino al 1987. il 10 dicembre 1969 Almirante in una intervista al giornale tedesco Der Spiegel dichiarò che, a suo avviso, la battaglia contro il comunismo avrebbe giustificato ogni mezzo e che era venuto il momento di non fare più distinzioni fra mezzi politici e militari. Analogamente il 6 maggio 1970 a Genova, al comizio che segue i funerali di Ugo Venturini, Almirante ha affermato: “Se altri popoli si sono salvati con la forza, anche il popolo italiano deve saper esprimere qualcuno che sia disposto all’uso della forza, per battere la minaccia comunista”. A costui, oggi vorrebbero dedicare strade e ponti del nostro paese.

 

Dalla guerra fredda alla guerra interna in funzione anticomunista

Questa breve carrellata ci serve a comprendere come la Repubblica democratica nata dalla resistenza, non chiuse affatto i conti con i fascisti ed il fascismo. Al contrario, se ne portò dentro tanti, li collocò in posti chiave dell’apparato dello Stato, creando così tutte le condizioni politiche, materiali, finanziarie, militari per avere a disposizione una rete di “Uomini Neri” per la guerra sporca che si è combattuta in Italia dagli anni Sessanta in poi. Ciò rende necessario aggiungere e mettere a fuoco i passaggi preliminari all’avvio della guerra dei quaranta anni scatenata con la strage di Piazza Fontana il 12 dicembre 1969.

L’uso dei fascisti negli apparati dello stato repubblicano va inquadrato in due fasi ben precise.

In un prima fase – quella della Guerra Fredda – i fascisti hanno affiancato gli apparati militari clandestini messi in piedi dagli USA e dalla NATO nel nostro paese che avevano una funzione propriamente militare: intervenire sul territorio, in modo particolare nel Nordest , sulla frontiera di Gorizia. Il loro scopo era quello di ostacolare con attentati, sabotaggi e azioni militari una eventuale invasione delle truppe del Patto di Varsavia o della Jugoslavia.

A ciò servivano organizzazioni come “Gladio”, messa in piedi dalla NATO con settori delle forze armate, dei carabinieri e dei servizi segreti italiani e la cui esistenza è stata rivelata pubblicamente come tale nel 1990 da Andreotti, quando ormai la Guerra Fredda era conclusa.

A questo si affiancava una rete militare di osservanza più statunitense che NATO. Era una rete di militari e civili parallela nell’operazione “Stay Behind” (stare dietro le linee) che aveva le sue articolazioni nelle basi militari USA situate in Italia (in particolare Camp Darby, tra Pisa e Livorno ma anche e soprattutto Verona e Vicenza.). Da questa rete negli anni ’60 nacquero i Nuclei di Difesa dello Stato (NDS), imperniati intorno all’organizzazione neofascista Ordine Nuovo, che saranno un fattore centrale nella guerra sporca sul “fronte interno” e nella strategia stragista.

In questa strategia i Carabinieri avevano un ruolo molto importante. “Dal 1945 in poi l’Arma dei Carabinieri ha partecipato a tutti i piani anticomunisti predisposti dallo Stato: ha addestrato gli uomini, li ha armati, spesso li ha protetti. Non si dimentichi che l’arma svolgeva in quegli anni la delicata funzione di polizia di sicurezza NATO” scrive Paolo Cuchiarelli nel suo ultimo e per moltissimi aspetti discutibile libro. (3)

Queste due reti rispondevano agli input strategici dell’amministrazione USA e dei comandi NATO e non hanno mai disdegnato collaborazioni con le reti messe in piedi dai neofascisti. Al contrario spesso c’era integrazione, soprattutto sul piano del rifornimento di armi e del controllo del territorio, ma soprattutto c’era la cabina di regia che in buona parte risiedeva negli apparati della CIA e delle varie agenzie di sicurezza USA nel nostro paese. A confermarlo è un “pezzo da novanta” del SID (i servizi segreti dello stato negli anni ’70), il gen Adelio Maletti in una intervista rilasciata nel 2000 a La Repubblica “La CIA voleva creare, attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine Nuovo in particolare, l’arresto dello scivolamento del paese verso la sinistra”.

Queste organizzazioni avevano – sulla carta – una funzione ben precisa nel quadro della Guerra Fredda: il loro scopo era fermare l’eventuale invasione delle truppe sovietiche. Ma con il passare del tempo, in modo particolare i Nuclei di Difesa dello Stato, cominciarono ad occuparsi anche e soprattutto del “fronte interno” cioè ostacolare la crescita di influenza del PCI sulla società, impedire con ogni mezzo che il PCI andasse al governo e impedire qualsiasi azione politica, diplomatica o economica che mettesse in discussione l’alleanza subalterna dell’Italia verso gli USA e dentro la NATO. Questo cambiamento di funzione è entrato talvolta in contrasto con la politica di una parte della DC.

Guerra Fredda si, Guerra Civile no” è quanto afferma un altissimo dirigente della DC come Paolo Emilio Taviani, (deceduto), più volte ministro strategico in molti governi del dopoguerra e uomo di Gladio, rivelando le preoccupazioni di una parte della DC sullo sviluppo degli eventi. (4)

La DC condivideva l’impianto della Guerra Fredda e il mantenimento delle alleanze internazionali dell’Italia con gli USA, ma temeva che l’apertura del fronte interno con attentati, provocazioni, omicidi politici potesse portare ad una guerra civile destabilizzante. E’ probabile che anche una parte delle amministrazioni USA condividesse queste preoccupazioni, preferendo un’Italia stabile, sotto controllo democristiano, alleata senza tentennamenti, senza opposizioni alla presenza di basi militari USA e NATO sul territorio, piuttosto che un Italia frutto di colpo di stato militare (vedi la la realtà di quegli stessi anni in Grecia, Portogallo, Spagna, Cile) ma destabilizzata da una guerra civile i cui esiti positivi per la stabilità strategica– in presenza del partito comunista più forte e radicato d’Europa – non erano affatto scontati.

Questa riluttanza di una parte della DC a trasformare la Guerra Fredda in Guerra Civile contro il PCI, i sindacati, l’influenza culturale della sinistra sul paese, ha visto il Partito Atlantico cominciare ad operare pesantemente per forzare la mano alla situazione mettendo in moto una strategia di provocazione e aggressione contro la sinistra. Gli apparati dello stato (servizi segreti, carabinieri, forze armate) furono così adeguati allo scopo, ma in questa operazione il ruolo dei fascisti era decisivo. La comprensione di questo passaggio richiede però qualche informazione in più sui gruppi neofascisti italiani che oggi si tende a nascondere, a “dimenticare nell’oblio” o a sussumere nelle funzioni istituzionali a livello locale e nazionale.

 

La spaccatura tra i neofascisti. Il Partito Atlantico coopta gli ex nemici

Il movimento neofascista del dopoguerra infatti, era un movimento fortemente antiamericano. Nella Seconda Guerra Mondiale i fascisti della Repubblica di Salò avevano combattuto fino all’ultimo con i nazisti contro gli anglo-americani. La subalternità dell’Italia agli USA era quindi vissuta da costoto come la continuazione del tradimento dell’8 settembre.

Le cronache di un protagonista dell’epoca, Giulio Salierno, ci raccontano dello scontro violento negli anni Cinquanta all’interno del movimento neofascista ricostituitosi intorno al MSI, tra gli antiamericani e quelli che invece virano per l’Atlantismo (entrando a far parte del Partito Atlantico insieme alla DC). (5)

Risse, divisioni, scontri cruenti, fanno sì che una parte dei neofascisti non vedano più negli USA il nemico di dieci anni prima ma un alleato fondamentale della lotta contro i comunisti. Si crea addirittura una corrente filo-israeliana all’interno del neofascismo italiano che vediamo operativa tuttoggi.

Questo passaggio contribuisce allo sdoganamento politico dei neofascisti e del MSI e alla loro marcia verso l’istituzionalizzazione nella Repubblica.

Nasce da qui la messa a disposizione e l’integrazione dei gruppi neofascisti alla costruzione della rete degli “Uomini Neri” (particolarmente attivi nei Nuclei di Difesa dello Stato) e alle operazioni della guerra sporca che i servizi segreti USA e gli apparati dello Stato italiano misero in campo contro i comunisti e la sinistra in Italia.

 

La strategia della guerra a bassa intensità è indicata già diciassette anni prima della strage

C’è un documento emblematico per capire questo progetto. E’ un intervento di uno degli intellettuali e dirigenti più pericolosi del neofascismo italiano, Pino Rauti, (il suocero dell’attuale sindaco di Roma Alemanno, NdR) ad una assemblea del MSI nel 1952 (6).

Per molti aspetti questo intervento di Rauti appare molto più importante, inquietante e indicativo ai fini della strategia di aggressione contro la sinistra di quelli svolti nel famoso convegno dell’Istituto Pollio all’Hotel Parco dei Principi tenutosi a Roma nel maggio del 1965.

Nell’intervento svolto tredici anni prima, Pino Rauti afferma testualmente che nel paese è in corso una guerra civile scatenata dai comunisti attraverso la propaganda, la forza della parola e l’infiltrazione negli apparati dello Stato. Rauti sostiene che occorre far venire allo scoperto i comunisti, provocarli e costringerli all’insurrezione attraverso un piano articolato su sette punti:

  1. Far saltare i nervi all’avversario e trascinarlo nella rissa attraverso aggressioni fisiche ai militanti della sinistra, provocazioni, bombe e scazzottate qua e là. Se i comunisti non avessero reagito a questo stillicidio avrebbero perso credibilità di fronte alla classe operaia che li avrebbe visti incapaci di difendersi;

  2. Attentati a uffici, magazzini, cinema, linee ferroviarie. L’opinione pubblica si sarebbe indignata e avrebbe invocato l’ordine pubblico senza stare a guardare chi lo avrebbe assicurato;

  3. Lavorare sull’esercito inducendolo a buttare il proprio peso nella lotta politica;

  4. Creazione di una rete europea e mondiali di organismi, giornali, gruppi di pressione dell’estrema destra. Entrare in contatto con i governi e i servizi statali stranieri interessati ad impedire l’ascesa al potere dei comunisti nel paese;

  5. Lavorare sui potentati economici senza offrire mirabolanti soluzioni economiche ma convincendoli ad appoggiare un governo di estrema destra – anche sgradito politicamente – come soluzione dei propri interessi;

  6. Stabilire solidi rapporti di amicizia e se possibile di affari con gli uomini chiave di tutte le istituzioni in fosse stato possibile infiltrarsi;

  7. Fare capire alla Chiesa che il suo futuro stava nel consolidamento di un vero regime di destra perché la DC gli garantiva solo il presente.

 

Rileggendo oggi questo progetto di Pino Rauti, c’è l’impressionante anticipazione della strategia che verrà utilizzata da fascisti, apparati dello stato e servizi segreti USA nella guerra dei quaranta anni scatenata con la strage di Piazza Fontana contro la sinistra, i comunisti e l’intellettualità progressista nel nostro paese.

Tredici anni dopo, nel convegno sulla “guerra rivoluzionaria” organizzato dall’Istituto Pollio all’Hotel Parco dei Principi nel maggio 1965, questo progetto neofascista per scatenare la guerra civile verrà sistematizzato ulteriormente in presenza di tutto il Gotha del pensiero storico, strategico, filosofico, militare dell’anticomunismo. Tra di essi giornalisti, docenti universitari, analisti e agenti dei servizi segreti italiani, bombaroli neofascisti. Emblematica la presentazione del convegno fatta da uno dei coordinatori, Eggardo Beltrametti, coautore del famigerato libro “Mani rosse sulle Forze armate” contro la presunta infiltrazione dei comunisti nell’esercito. Beltrametti nel libro in questione teorizzerà la necessità di “Uno Stato maggiore parallelo, composto da militari e civili, il quale agendo nella clandestinità provveda a mobilitare l’apparato predisposto formato da cittadini sicuri, tra cui alcuni dei quali addestrati alla guerriglia”. Introducendo il convegno dell’Istituto Pollio, Beltrametti afferma: “Se noi volgiamo lo sguardo attorno a noi, vicino e lontano, constatiamo l’estensione e la globalità delle iniziative comuniste in tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia dobbiamo anche aggiungere che l’iniziativa comunista si estende a quasi tutti i settori della vita pubblica e la sua infiltrazione ha carattere galoppante. In questo quadro della situazione mondiale e nazionale sta la ragione per cui il Convegno di studio, promosso dall’Istituto «Alberto Pollio » di studi storici e militari, ha destato un vasto interesse, riconoscendo che la guerra, la terza guerra mondiale, è già in atto e si manifesta in modi vari ora appariscenti e cruenti, ora meno appariscenti ma forse più incisivi”. (7)

 

Perché la sinistra antagonista passa all’autodifesa collettiva

Il dato che emerge è inquietante su almeno due questioni. La prima è che già pochi anni dopo la fine della guerra e nei primi anni della Repubblica antifascista, i fascisti si erano riorganizzati, godevano di ampi sostegni politici e finanziari, potevano contare sulla complicità di molti uomini dell’apparato statale (commissari, ufficiali dei carabinieri e delle forze armate). Ciò gli consente di scatenare impunemente campagne aggressive di attentati, pestaggi, provocazioni contro i militanti della sinistra, del PCI e del PSI. Questa escalation arriverà fino al 27 aprile del 1966 con l’omicidio dello studente Paolo Rossi all’università di Roma.

La seconda è che i fascisti cominciano a praticare una strategia di infiltrazione nei gruppi della sinistra che si vanno costituendo al di fuori del PCI (soprattutto i gruppi maoisti che prendono forza dopo la rottura tra Cina e Urss) e nei gruppi anarchici. La maggiore porosità dei secondi – dovuta ad una cultura politica contraria al concetto di organizzazione centralizzata – si rivelerà decisiva nei passaggi che porteranno all’operazione “Strage di Piazza Fontana” e alla costruzione della “pista anarchica”. L’infiltrazione soprattutto nei gruppi di sinistra esterni al PCI verrà sistematizzata con l’attività della famigerata agenzia Aginter Press (con sede nel Portogallo della dittatura di Caetano prima e nella Spagna del franchismo poi) gestita dai neofascisti insieme ai servizi segreti degli stati anticomunisti europei (8).

Nascono in questo ambito i tentativi dei gruppi fascisti di dare vita a organizzazioni “nazimaoiste”, di circoli di anarchici spiritualisti o di gruppi con fraseologia di sinistra. Il loro obiettivo era confondere le acque, avere a disposizione dei capri espiatori “di sinistra” a cui addossare la responsabilità di attentati particolarmente odiosi, alimentare l’indebolimento dell’influenza del PCI nella sinistra, ottenere informazioni utili per eventuali provocazioni (9).

Contro tutto questo, si sono dovuti battere negli anni Cinquanta e Sessanta i militanti della sinistra. Un clima di intimidazione e aggressione fisica sistematica, affiancata dalla repressione poliziesca nelle piazze e legittimata dall’ingerenza USA sulla politica dell’Italia.

Questa escalation di aggressività e intimidazione fascista subirà una doppia battuta d’arresto con il movimento studentesco del ’68: il 1 marzo 1968 a Valle Giulia, dove gli studenti per la prima volta fronteggiano con determinazione le cariche poliziesche (“Non siam scappati più” recita la famosa canzone di Paolo Pietrangeli) e poi qualche giorno dopo all’Università “La Sapienza” quando gli studenti cacciarono manu militari dall’ateneo la spedizione degli squadristi fascisti guidata dallo stesso Giorgio Almirante in persona.

Su Valle Giulia i fascisti tentarono anche l’infiltrazione nel movimento studentesco, ma all’università di Roma, pochi giorni dopo Valle Giulia, il movimento regolò definitivamente i conti con i fascisti aprendo una fase completamente nuova in cui l’autodifesa collettiva e militante diventerà una caratteristica comune a tutta la sinistra antagonista e porterà all’aggregazione di migliaia di studenti e di giovani proletari.

La storia e il ricorso alla violenza politica usata dai militanti della sinistra nel nostro paese, non si può spiegare con un moralismo ancora oggi fuori luogo se non si comprende il contesto storico di quegli anni. Gli scontri tra studenti e fascisti a Piazza Navona nell’ottobre del 2008 vanno dunque compresi e spiegati bene, per molti aspetti hanno riproposto una rottura, un percorso e una dinamica “costituente”simile a quella del marzo ’68. La sinistra nel nostro paese ha maturato un debito di riconoscenza verso gli studenti antifascisti di Piazza Navona (10).

Con i due eventi costituenti del ’68 (Valle Giulia e la cacciata dei fascisti dalla Sapienza), inizia la fase che – rafforzata dall’ondata di lotte operaie del ’69 – scatenerà la grande paura della borghesia italiana e la controrivoluzione preventiva.

L’Autunno Caldo del ’69 segna infatti profondamente il punto più avanzato dell’emancipazione collettiva della classe lavoratrice nel nostro paese, una rottura in avanti che lo Stato e la borghesia hanno impiegato almeno dieci anni per normalizzare (a differenza degli altri paesi europei come Francia e Germania) ricorrendo ad “ogni mezzo necessario”, inclusa la “guerra non dichiarata” avviata con la strage di Piazza Fontana avviata proprio nel dicembre di quel 1969 con il lungo elenco di morti nelle piazze per mano della polizia e dei fascisti e la successiva reazione violenta della sinistra extraparlamentare alla strategia aggressiva e golpista del Partito Atlantico (11).

L’autunno caldo segna la “proletarizzazione” del ’68 studentesco che aveva invece dato protagonismo politico alle ambizioni della nuova borghesia italiana in sofferenza rispetto all’arretratezza della borghesia tradizionale e al moderatismo ed all’oscurantismo culturale e politico dominanti fino agli anni sessanta.

L’entrata in scena nell’Autunno del ’69 dell’autonomia operaia (intesa come coscienza di sé di migliaia di operai e non come il soggetto politico che emerse negli anni successivi) e il condizionamento proveniente dal conflitto su scala internazionale (il Vietnam, i movimenti di liberazione nel terzo mondo etc.), innestarono sul ’68 studentesco un valore aggiunto politico e sociale che rese non più utopistica agli occhi di milioni di persone l’opzione rivoluzionaria nel nostro paese. La realtà – abbiamo verificato – era diversa, ma la percezione della lotta per il cambiamento del sistema di potere aveva raggiunto indubbiamente una dimensione di massa.

Dunque è con questo passaggio dalla fase della Guerra Fredda (avviata nel ’45) alla fase della Guerra a Bassa Intensità (la guerra dei quaranta anni avviata nel ‘69), ampiamente teorizzata, preparata e pianificata dal Partito Atlantico che ha ormai imbarcato anche i gruppi neofascisti, arriviamo alla strage del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, sita in Piazza Fontana, a Milano: la prima che fu definita opportunamente la Strage di Stato, una operazione di guerra interna contro cui la sinistra extraparlamentare italiana si fece le ossa e diventò una realtà politica rilevante.

Note:

  1. Stefania Limiti: “L’Anello della Repubblica”, edizioni Chiare Lettere, 2009, p.47

  2. La categoria di rovescismo è stata opportunamente spiegata dallo storico Angelo D’Orsi in “Dal revisionismo al rovescismo storico”, su Il Manifesto del 9/9/2008

  3. Paolo Cucchiarelli: “Il segreto di Piazza Fontana”, p.507, edizioni Ponte alle Grazie 2009

  4. Vedi l’audizione di Paolo Emilio Taviani alla Commissione parlamentare sulle strag. Seduta del 1 luglio 1997

  5. Giulio Salierno: “Autobiografia di un picchiatore fascista”, disponibile in una recente riedizione a cura della Minimum Fax del novembre 2008.

  6. Idem, vedi a pag. 135 e 136

  7. Vedi gli atti di questo convegno che vide partecipare un vero e propria Gotha di esponenti fascisti, dei servizi segreti e dei servizi di intelligence legati agli USA il 3 e 4 maggio1965 all’Hotel Parco dei Principi a Roma. Gli atti sono disponibili su: http://www.stragi.it/la_guerra_rivoluzionaria/index.htm

  8. Sul ruolo della agenzia Aginter è emblematica la ricostruzione fatta nell’inchiesta del giudice Salvini sulla strage di Piazza Fontana.

  9. Il più noto era il gruppo “Lotta di Popolo” messo in piedi da due neofascisti assai noti come i fratelli Bruno e Serafino di Luia.

  10. E’ questa la ragione per cui occorre essere immensamente grati agli studenti che a ottobre del 2008 hanno affrontato ed espulso i fascisti dalla manifestazione studentesca a Piazza Navona

  11. Elencare le organizzazioni golpiste e stragiste messe in piedi dalla collaborazione tra apparati dello stato (servizi segreti, servizi NATO, carabinieri, settori delle forze armate) è un lavoro quasi enciclopedico. A tale scopo riteniamo utile la sintesi sulle “cinque entità” elaborate dal giudice Salvini che pubblichiamo nella documentazione. Ma è bene ricordare nomi come il MAR di Fumagalli,la Fenice di Rognoni, Ordine Nero, la Rosa dei Venti del col. Spiazzi gestita insieme a nuclei degli apparati della NATO in Italia, i Nuclei di Difesa dello Stato messi in piedi da Freda e Ventura insieme con ufficiali delle forze armate, i NAR di Fioravanti e della Mambro che oggi fanno i santarelli perseguitati. E’ il cosiddetto “mosaico” a cui ancora oggi si richiamano anche sui manifesti e nei loro siti gli attuali gruppi neofascisti.

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