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Acab, quant’è figo essere bastardi

Stefano Sollima, figlio d’arte del regista Sergio, autore feticcio per i cultori di spaghetti western, è approdato sul grande schermo con A.C.A.B., pellicola tratta dal romanzo di Carlo Bonini, incentrata sulle attività e sul profilo umano di un gruppo di agenti antisommossa. Un esordio cinematografico clamoroso con un soggetto pressoché inedito, mai nessuno finora aveva provato a rappresentare cinematograficamente gli agenti con i caschi blu.

A.C.A.B. “All Cops Are Bastards” è un acronimo longevo, transgenerazionale e transpolitico, anche molto intuivo come slogan in esteso per chi non conoscesse l’inglese. Nasce agli inizi degli anni ’80 come canzone/manifesto della controcultura skinhead non ancora “nazificata”, è riuscito a propagarsi in tutta Europa incubandosi e riproducendosi prevalentemente nelle curve degli stadi. Ora se lo rivendicano tutti questo slogan, siano essi estremisti di destra o di sinistra, criminalità comune e molto più in generale tutti coloro che si sono imbattuti nella polizia venendone fuori con qualche sfregio in corpo. Stiamo parlando di un fetta di popolazione considerevole che annovera tra le proprie fila anche “bravi cittadini” incensurati e non dediti ad alcuna forma di delitto.

Verrebbe subito da pensare che si tratti di un film di denuncia, ma non è così, ci troviamo di fronte a una vera e propria apologia del Reparto Celere. Della denuncia sociale non je ne po’ fregà de meno, nonostante Stefano Sollima sostenga che A.C.A.B. sia il risultato di una fusione tra cinema di genere e cinema d’autore. Molto più semplicemente una nuova industria di fiction, di cui lui è momentaneamente il regista di punta, ha capito da un pezzo che il processo di fascinazione a mezzo video di ciò che è socialmente torbidovende, e vende alla grande.

Il cinema italiano ha una lunga tradizione di film poliziotteschi caratterizzati da cinismo e modi spiccioli, ma mentre questi venivano prodotti con un budget assai limitato e con delle trovate tecniche molto artigianali, in questo caso i finanziamenti sono ingenti ed abbracciano il lungo processo che va dalla pre-produzione alla post-produzione. Per intenderci, i film i polizieschi all’italiana di autori come Castellari, Lenzi o Di Leo non trovavano di certo lanci e anticipazioni, nonché recensioni favorevoli, nei media mainstream.

A.C.A.B è il punto d’arrivo di un percorso partito da lontano, e per arrivare a ciò i quasi dieci anni di riscrittura di Romanzo Criminale (libro, pièce teatrale, film e serie televisiva), di cui lo stesso Sollima ha diretto la serie televisiva prodotta da Sky e ora proiettata nel mercato internazionale, sono stati un banco di prova fondamentale. In R. C. gli squallidi e impresentabili volti dei maglianesi originali vengono sostituiti da attori di grido, le loro intricate connessioni con mafia, camorra, estremismo di destra, settori deviati dello stato e istituzioni finanziarie in odor di santità, notevolmente semplificate per incentrare il tutto nella dinamica soggettivista di un gruppo di gangster alla conquista eroica del mondo.
Che c’è di male poi nel feticizzare cinematograficamente un gangster? È dai tempi di Scarface che si fa. Ma in questo caso i nostri si son spinti più in là, fornendo un’aura magica addirittura a un terrorista dei NAR come Carminati. In compenso, qualche attento osservatore chioserà che l’hanno pure fatto morire a metà della seconda serie (per chi non lo sapesse Carminati è ancora vivo).

L’operazione è andata talmente a buon fine che nell’immaginario collettivo i protagonisti di Romanzo Criminale hanno preso il posto degli veri maglianesi anche nella cognizione dei fatti storici realmente accaduti. La storia soccombe ai piedi della fiction nel cortocircuito tra realtà e rappresentazione traslata, questo è un bel problema per noi che ci occupiamo di storia, non per loro che ci guadagnano sopra.
A.C.A.B. segue il format, non si discosta più di tanto. I protagonisti sono sempre degli impresentabili, ma il contesto, di cronaca stavolta, non è traslato nel verosimile, i riferimenti ad avvenimenti di cronaca più recenti non sono allusivi ma espliciti, come l’assassinio della Reggiani, quello di Gabriele Sandri e il linciaggio dell’ispettore Raciti.
Nel gruppo capeggiato da Mazinga (Giallini) prevale uno spirito di squadra totalizzante, che si pone ben al di sopra dello Stato per cui dovrebbero agire, e anche in aperta contrapposizione ad altre categorie di poliziotti da loro considerati privilegiati. Al di là del loro ristretto ed esclusivo cameratismo c’è il vuoto morale: chi resta fuori è un nemico reale o potenziale da annichilire.

Questa rappresentazione dello spirito di corpo indubbiamente corrisponde di molto alla pratica consolidata nella gestione dell’ordine pubblico di questo paese. Lo spirito di fratellanza omertosa e di impunità garantita sono state sempre denunciate ogni qual volta che i questurini si son guadagnati gli onori delle cronache con abusi di rilievo penale. Ma nel film questo dato di realtà viene bilanciato costantemente da un giustificazionismo degno della peggiore impostazione reazionaria.
Al pari dei protagonisti di Romanzo Criminale i celerini di A.C.A.B. vengono rappresentati come un manipolo eroico, in stile “Mucchio Selvaggio”, che deve tirare avanti in un mondo ostile. Questo mondo ostile è di gran lunga peggiore di loro, caratterizzato da una composizione di stereotipi sociali agghiaccianti, propri forse solo all’immaginario degli ascoltatori di Radio Padania: lo spacciatore è negro, gli ubriaconi sono rumeni, i “compagni” sono dei codardi, gli occupanti di case sono parassiti degenerati, i minatori sardi delle bestie che si esprimono solo a sputi, la moglie cubana di uno di loro una mignotta profittatrice. Come ha osservato un ragazzo che contestava la presentazione del film, mancavano solo i froci che trasmettono le malattie.
Questi poliziotti sono bastardi sì, ma hanno tutte le “loro” ragioni!

Si assiste quindi al rovesciamento semantico. Il termine “bastardo” non ha sempre un significato univoco nel senso comune, restando nell’ambito cinematografico basti ricordare Bastardi senza gloria di Tarantino. Il bastardo è colui che si pone al di sopra dei codici, morali sociali e giudiziari, che sfida la mediocrità della massa succube e pavida, una sorta di superuomo più prosaico, intellegibile a menti poco complesse. Concetti molto cari al fascismo della prima ora (e anche dell’ultima), ma del resto dei bastardi si innamorano le donne, ci si identificano i ragazzini e sotto sotto anche la gente comune sogna d’esser come loro. Ed è questo il pubblico che riempie le sale.

La citazione dei fatti della Diaz (Genova 2001) tocca l’apice di quello squallore che pervade tutto il film: “Abbiamo fatto una gran cazzata” riflette a voce alta Mazinga in una stanza costellata di ritratti di Mussolini, “ma alla fine sti cazzi” sembra replicare con uno sguardo scocciato Cobra (Favino), molto più preoccupato per l’esito di un processo per pestaggio a suo carico, in cui verrà in seguito assolto.
Arrivati a questo punto, è opportuno rivelare un ulteriore e molto significativo ragguaglio, non preso adeguatamente in considerazione dai critici di mestiere. La realizzazione di A.C.A.B. non sarebbe stata possibile senza la collaborazione fattiva dei celerini veri, incontrati prima dell’inizio delle riprese come ammesso da Favino in un’intervista promozionale. Senza il loro concorso, del resto, la produzione non avrebbe avuto il comodato d’uso di divise, automezzi, manganelli e scudi.
Forse gli addetti alla promozione del corpo di polizia stanno cambiando strategia di marketing? È più funzionale sostituire agli scrupolosi e rigorosi poliziotti delle serie televisive passate (tipo La Squadra, Ris e Distretto di polizia) celerini bastardi nella cornice epica di metropoli fuori dal controllo? Beh del resto, se i fiction-makers ci son riusciti con i maglianesi, ci riusciranno anche con il reparto celere. Così i ragazzini in pieno fermento ormonale cominceranno ad identificarsi anche con Cobra e Mazinga mica solo con Libano e con il Freddo.
Adesso possiamo aprire ufficialmente le scommesse su quale sarà la prossima regia firmata da Sollima. Un film sui G.O.M. o una serie televisiva sulla Xª Mas?

Codadilupo79

dal blog di Odradek

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