Domenica 26 febbraio si apre al Cairo il processo ai 43 attivisti di Ong straniere, di cui 19 americani, accusati di spionaggio e di aver ricevuto fondi illeciti dall’estero (dagli Usa in particolare). Alla sbarra ci saranno anche alcuni cittadini egiziani, serbi, norvegesi, tedeschi, palestinesi e giordani accusati di aver fondato “rami egiziani non autorizzati di organizzazioni internazionali” e di aver accettato “fondi stranieri per finanziare i gruppi in violazione della sovranita’ egiziana”. Diversi attivisti americani si sono rifugiati nell’ambasciata Usa al Cairo, con Washington che ha minacciato di rivedere i rapporti con l’Egitto. Il principale imputato, Sam Lahood che guida il ramo egiziano dell’International Republican Institute, e’ il figlio del segretario ai Trasporti, Ray Lahood. Nel mirino ci sono altre due Ong americane, il National Democratic Institute e la Freedom House. Il giornale egiziano, l’Al-Ahram, ha scritto che durante la visita al Cairo della settimana scorsa il capo di stato maggiore delle forze armate Usa, generale Martin Dempsey, aveva preteso il rilascio degli americani affinche’ potessero ripartire con il suo aereo ed essere poi processati in contumacia. Una richiesta respinta dai vertici del Consiglio supremo delle Forze armate i quali hanno replicato che la questione e’ di competenza della magistratura egiziana.
Il sito specializzato Medarabnews, così riassume la vicenda.
“Tutto ebbe inizio nel mese di dicembre, quando le forze di sicurezza egiziane fecero irruzione negli uffici di queste associazioni non-profit sequestrando documenti e computer. Le organizzazioni americane coinvolte sono state accusate di aver operato in Egitto senza aver ottenuto una licenza da parte del governo, e di aver violato le norme sui finanziamenti stranieri.
Ne è seguita un’interdizione a lasciare il suolo egiziano, emessa nei confronti di alcuni degli americani indagati. Sette di loro si sono rifugiati nell’ambasciata americana al Cairo per evitare un possibile arresto. Fra essi spicca il nome di Sam LaHood, direttore della sezione egiziana dell’ International Republican Institute (una delle organizzazioni USA coinvolte), e figlio di Ray LaHood, segretario ai trasporti ed ex deputato repubblicano al Congresso.
Il coinvolgimento di una figura come LaHood ben spiega perché il caso sia così esplosivo, al punto da provocare una seria crisi diplomatica fra Egitto e Stati Uniti: le “ONG” americane coinvolte, infatti, non sono anonime associazioni non-profit, ma istituti legati a doppio filo con il Congresso americano.
I due principali sono il summenzionato International Republican Institute (IRI) e il National Democratic Institute (NDI), affiliati rispettivamente al partito repubblicano ed al partito democratico. Ad essi si aggiungono Freedom House e l’International Center for Journalists.
E’ per questa ragione che gli Stati Uniti hanno reagito duramente, minacciando di tagliare gli aiuti americani all’Egitto, pari a circa 1,55 miliardi di dollari all’anno (comprendenti 1,3 miliardi in assistenza militare e 250 milioni di finanziamenti economici), che fanno del Cairo il secondo beneficiario di aiuti americani in Medio Oriente dopo Israele.
Questa minaccia non ha tuttavia scoraggiato l’Egitto. Anzi, la crisi si è ulteriormente ingigantita nel momento in cui le organizzazioni americane sono state accusate da alcuni giornali governativi di aver fomentato i recenti disordini in Egitto. “L’America è dietro l’anarchia”, e “I finanziamenti americani puntano a diffondere l’anarchia in Egitto”, sono solo alcuni dei titoli apparsi su giornali come al-Ahram e al-Gomhuria, entrambi tradizionalmente utilizzati per propagandare il punto di vista dello Stato egiziano.
Questa campagna mediatica a sua volta ha preso spunto dai commenti fatti lo scorso mese di ottobre – ma rivelati solo ora – dalla ministra egiziana per la pianificazione e la cooperazione internazionale, Fayza Abul Naga, attraverso il cui dicastero passano gli aiuti finanziari americani.
Abul Naga ha affermato che il finanziamento di determinati gruppi della società civile farebbe parte di un chiaro tentativo da parte americana di pilotare la transizione egiziana dopo la caduta di Mubarak “in una direzione che realizzi gli interessi americani ed israeliani”…. Una rilevazione Gallup ha evidenziato che il 74% degli egiziani disapprova che i gruppi della società civile in Egitto vengano finanziati da fondi americani”
l’articolo integrale su http://www.medarabnews.com/2012/02/22/il-braccio-di-ferro-tra-washington-e-il-cairo-e-il-controverso-ruolo-delle-%E2%80%9Cong%E2%80%9D-americane/
Ma c’è anche un’altra Ong al centro di precise denunce sulla sua attività funzionale agli interessi strategici del governo degli Stati Uniti. E’ il caso di Avaaz. Qui di seguito un interessante dossier dal sito della sinistra svizzera http://www.sinistra.ch/?p=1627
Sostenere il governo Usa senza saperlo: il grave esempio della Ong “Avaaz”
L’associazione non governativa “Avaaz” sta spopolando su internet e nei circoli della sinistra liberal occidentale in nome della difesa dei diritti umani. Pochi conoscono però chi si cela dietro questa organizzazione che di umanitario ha solo l’apparenza e che è stata creata per “coprire a sinistra” gli interessi geopolitici ed economici dei poteri forti occidentali, soprattutto americani. La tattica è molto semplice: si promuovono decina se non centinaia di petizioni su temi umanitari, democratici, anti-corruzione che trovano immediato consenso fra il pubblico di sentimenti progressisti (ad esempio la lotta contro la censura su internet oppure il riconoscimento della Palestina). Fra di essi vi sono anche attacchi ai governi occidentali e contro lo strapotere delle banche, così da convincere questo pubblico particolare della bontà della ONG. Fra tutti questi temi – che poi non sortiranno in gran parte comunque nessun risultato – si inseriscono invece questioni strategiche per i padroni nascosti di “Avaaz” (governi, multinazionali, eserciti) che così potranno più facilmente superare la diffidenza da parte della popolazione genericamente di “sinistra”, che non sospetterà mai che dietro a questi presunti critici degli USA è nascosto proprio il Partito Democratico del presidente Obama e dell’ex-presidente Cliton, attraverso l’organizzazione “MoveOn” che sta alla base di “Avaaz”, e che ha ricevuto un finanziamento di 1,46 millioni di dollari da George Soros per utilizzarla nella battaglia elettorale contro il Partito Repubblicano.
Una ONG schierata coi potenti
“Avaaz” è infatti una ONG creata da Ricken Patel, personaggio politicamente ben schierato a destra che gode del sostegno finanziario del patron della multinazionale informatica “Microsoft” Bill Gates e della Fondazione Rockefeller (il cui ruolo a favore dei governi americani è ben spiegato in quest’altro articolo). Non è tutto: “Avaaz” collabora strettamente con la famosa Fondazione Soros, una struttura vicina all’attuale governo statunitense e ai suoi servizi segreti che viene utilizzata per organizzare disordini e golpi nei paesi che in qualche modo non ubbidiscono ai diktat di Washington oppure che non autorizzano le grandi aziende occidentali a entrare nel loro mercato nazionale. Non a caso la Cina, che dispone di un mercato ancora fortemente controllato dallo Stato, è una delle vittime preferite di Soros e della ONG di cui stiamo parlando. Naturalmente “Avaaz” non parla di “libertà economica mancante” ma attacca la Cina in altro modo, ad esempio strumentalizzando la questione della pena di morte o del separatismo feudale del Dalai Lama in Tibet. Secondo altre fonti dietro “Avaaz” vi sarebbero mandanti di ben più alta caratura come si evince ad esempio da Indymedia Barcellona, dalla discussione interna a PeaceLink, oppure da questo blog molto dettagliato. Proponiamo ora alcuni dei tanti esempi che rendono perlomeno poco credibile “Avaaz” per chi, come la nostra redazione, si dichiara di sinistra.
Avaaz truffa gli ecologisti
A fine 2011 dichiarazioni, articoli, lettere circolano su Internet chiedendo la fine della “distruzione dell’Amazzonia”: “Avaaz” si tinge insomma di verde per ingannare gli attivisti ecologisti che mai si sognerebbero di sostenere i veri mandanti della campagna. L’obiettivo che queste iniziative si pongono, infatti, non è certo quello di colpire le corporazioni transnazionali o i potenti governi filo-americani che le appoggiano, ma il governo popolare del primo presidente indigeno della Bolivia, Evo Morales. Al centro del dibattito c’è la controversa proposta di Morales di costruire un’autostrada attraverso il Territorio Indigeno del Parco Nazionale Isidoro Sécure (TIPNIS). Quest’ultimo, che copre una superficie di più di 1 milione di ettari di foresta, ha ottenuto lo statuto di territorio indigeno dal governo di Evo Morales nel 2009. Circa 2’000 persone vivono in 64 comunità all’interno del TIPNIS. Il 15 agosto, rappresentanti di tali comunità hanno iniziato una marcia verso la capitale, La Paz, per protestare contro il piano dell’autostrada. Sono subito partite petizioni internazionali da parte, naturalmente, di “Avaaz” che solidarizzando con gli indigeni, condannano il governo boliviano per avere indebolito i diritti indigeni. La gente del TIPNIS ha preoccupazioni legittime sull’impatto dell’autostrada. Disgraziatamente, però, la campagna di “Avaaz” strumentalizza queste preoccupazioni per indebolire politicamente Morales, il cui sentimento ostile al capitalismo americano non piace ai padroni di “Avaaz”. Con una lettera aperta firmata da più di 60 gruppi ecologisti, in maggioranza però fuori dalla Bolivia, “Avaaz” distorce i fatti e con una retorica progressista afferma “che le imprese straniere si spartiscano l’Amazzonia… e si scatenerà una febbre depredatrice su una delle selve più importanti del mondo”. Ma non menziona il fatto che la distruzione ha già luogo nell’area e che proprio il governo di Morales sta promuovendo una legge per aggiungere nuove norme protettive del parco nazionale. La legge proposta comminerebbe pene detentive tra i 10 e i 20 anni di carcere per insediamenti illegali, la coltivazione della coca o il taglio degli alberi nel parco nazionale. Avaaz questo non lo dice, ma trasmette l’idea alla sinistra e agli ecologisti che Morales (che è di sinistra e pure ecologista) non vada sostenuto. Al resto ci penseranno poi i “dissidenti” interni alla Bolivia.
Dalla Bolivia all’Iran: il caso Sakineh
A fine 2010 parte un appello mediatico globale che chiede di salvare dalla condanna a morte per lapidazione una donna iraniana, Sakineh Ashtiani. In quello stesso periodo l’Iran era il nemico numero uno dell’amministrazione Obama, si stava preparando una possibile guerra e occorreva che l’opinione pubblica avesse un’immagine demoniaca del paese. Ecco allora che “Avaaz” entra in gioco e inventa il caso Sakineh, subito dato in pasto ai giornalisti occidentali (sì, perché i giornalsti latinoamericani e orientali, invece, hanno evitato questa figuraccia andando a verificare le informazioni!). Sakineh sarebbe condannata alla “lapidazione” perché “adultera”. In realtà si verrà a sapere che Sakineh è stata condannata per aver assassinato il marito, non per averlo tradito; e in ogni caso la lapidazione nel codice penale iraniano non esiste più da decenni. Queste confutazioni sono state documentate non solo da siti di approfondimento come quello di Come Don Chisciotte, ma ha suscitato qualche dubbio infine anche ai giornalisti dei quotidiani italiani come La Stampa. Insomma “Avaaz” ha strumentalizzato politicamente questa vicenda e pochissimi media occidentali, dopo aver demonizzato l’Ira, raccontando notizie non verificate, hanno però avuto l’etica professionale di scusarsi e di rettificare, cosa che peraltro non ha fatto nemmeno l’ONG stessa, a dimostrazione che non si è trattato di un errore in buona fede.
Pacifisti che preparano la guerra
Di recente di fronte alle rivolte di alcune tribù feudali contro il governo della Libia Popolare, “Avaaz” – sempre con la scusa dei diritti umani – ha sostenuto e diffuso la rivendicazione di una “Non-Fly-Zone” contro la Libia, la quale altro non era che il primo passo per l’invasione militare del paese nordafricano da parte delle truppe della NATO che, con bombardamenti a tappeto, hanno ucciso migliaia di civili e hanno permesso ai rivoltosi di assumere il controllo del Paese e di uccidere Muammar Gheddafi. Una scelta duramente condannata, ad esempio, dal gruppo anti-militarista di Alicante (leggi). Va ricordato che oggi in Libia il governo “democratico” sostenuto da “Avaaz” e dalle diplomazie occidentali è di carattere liberista (vedi filmato), ha riabilitato non solo la figura del dittatore fascista Benito Mussolini, ma ha pure definito quale “periodo fiorente” l’epoca in cui il fascismo italiano aveva colonizzato e saccheggiato la Libia. Sul fronte dei diritti umani, inoltre, la Libia odierna si caratterizza per violenza di vario genere spesso di tipo razziale contro i neri accusati di essere tutti “mercenari al soldo di Gheddafi”, come documentato dai video pubblicati dal sito di “Fortresse Europe“. Stranamente, però, “Avaaz” ora della Libia non si occupa più, evidentemente ha raggiunto il suo vero scopo.
Esportare la democrazia e rubare il petrolio
“Normalizzata” la situazione libica al volere delle multinazionali occidentali, ora “Avaaz” si è spostata su altri fronti: anzitutto inventare notizie false su quanto accade in Siria. Secondo l’ONG il governo siriano guidato dal presidente Assad (e composto – guarda caso – da socialisti e comunisti particolarmente invisi a Washington e a Bruxelles) starebbe massacrando la popolazione civile e la starebbe opprimendo. Una falsità smentita non solo dallo stesso ex-cancelliere statunitense Henry Kissinger che anzi ha espresso stupore (e rammarico) per il fatto che il popolo siriano sia fortemente schierato a favore di Assad, ma anche da altre fonti, come il sito d’inchiesta indipendente “Informare per resistere” e come la Federazione Sindacale Mondiale, la quale parla di diritti sociali a favore dei lavoratori molto avanzati grazie al governo siriano che cerca di frenare il capitalismo europeo ed americano. “Avaaz” queste cose non le dice, così come non dice che i ribelli siriani hanno già promesso petrolio gratis alla Francia se invaderà il paese come abbiamo scritto qualche mese fa su questo stesso sito. Al contrario, “Avaaz” impropriamete si fa passare per paladina dei diritti umani, quando i suoi promotori non sono affatto dei benefattori. Il lavoro di “Avaaz” in Siria è molto pericoloso poiché qualora si scatenasse una guerra dell’Unione Europea, di Israele e degli USA contro questo paese mediorientale, molto probabilmente la Cina e la Russia dichiarerebbero guerra per impedire agli occidentali di colonizzare il bacino mediorientale e asiatico. Ognuno, soprattutto chi si dichiara a favore della pace e dei diritti umani, dovrebbe operare non per riscaldare gli animi, ma per disinnescare l’odio fra i popoli. Invece in una situazione esplosiva come questa “Avaaz” ha il compito ideologico di far passare come una lotta per la democrazia e la libertà nella mente dei cittadini dei paesi occidentali e nella sinistra europea e americana, così che non si mobiliti contro la guerra.
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