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La logica delle grandi opere, dalla Valsusa e Reggio Calabria

L’aeroporto fantasma
Silvio Messinetti
SIBARI (COSENZA)

Lo svincolo della Salerno-Reggio è bloccato da quattro anni per lavori, il porto di Corigliano è sottoutilizzato, la ferrovia non è elettrificata. Ma uno schieramento bipartisan tifa per l’ennesima grande opera in Calabria
La Sibaritide è una metropoli intermittente in agonia. Spalmata lungo lo Jonio settentrionale calabrese, composta da numerosi centri urbani di medie e piccoli dimensioni, di fatto è isolata dal resto del mondo. Non riesce più a darsi un’identità, nonostante il suo sublime passato. Un tempo crocevia del Mediterraneo, oggi non è facile arrivarci via mare, terra o aria. Uscirne è addirittura un’impresa! Anche per questo motivo, tra quanti ci vivono, il progetto bipartisan di costruirci un aeroporto non sarebbe proprio da buttare via. Potenza della disperazione: a qualsiasi proposta, rispondono con un secco «sì». Andrebbero bene anche il teletrasporto, una macchina del tempo o magari una stargate. Qualunque concreto o fantasioso mezzo di comunicazione è visto come un toccasana dagli abitanti di un territorio che sta collassando, nonostante tutti ammettano, un istante dopo il primo cenno di consenso, che «tanto sappiamo come andrà a finire. Si fregheranno i soldi e l’aeroporto non lo faranno mai».
Non è disfattismo cronico. Piuttosto, empirica consapevolezza. Del sottoutilizzato porto di Corigliano non sono mai state chiare né la funzione né le prospettive di utilizzo. Di fatto, esiste solo sulle carte marittime. Lo svincolo autostradale di Sibari, sulla Salerno-Reggio Calabria, è bloccato da quattro anni per lavori di rifacimento. L’Anas avrebbe dovuto riaprirlo nel maggio 2010. Tuttora è chiuso. La linea ferroviaria Sibari-Crotone non è elettrificata. Quella che collega la piana con Cosenza lo sarebbe, ma il sistema non è stato mai messo in funzione. Alcune settimane fa i militanti del circolo locale di Sel hanno occupato i binari della stazione, nel tentativo di denunciare l’isolamento e lanciare un appello. Chiedono il ripristino dei treni a lunga percorrenza. Peppe Carrozza, dirigente e attivista da sempre, denuncia il paradosso del famigerato corridoio adriatico: «Dovrebbe essere la porta aperta sui flussi culturali e commerciali dell’oriente. Di fatto, si ferma a Bari. È come se noi non esistessimo».
L’inciucio
Chissà se avranno avvertito Corrado Passera che in Calabria i maggiorenti dei partiti che appoggiano il governo (Pdl-Pd-Udc) stanno “inciuciando” da un pezzo sul nuovo aeroporto di Sibari. E chissà come avrà reagito il ministro dei Trasporti, colui che ha promesso di far tabula rasa di aeroporti piccoli e medi, figuriamoci dei nuovi. Intanto, la liason tra Peppe Scopelliti (Pdl), presidente della Regione, e Mario Oliverio (Pd), presidente della Provincia di Cosenza, procede spedita. Tra sguardi d’intesa, pacche sulle spalle e, particolare non da poco, una valanga di soldi pubblici pronta a scivolare sulle rive dello Jonio. «Destineremo 40 milioni per la realizzazione dell’opera» ha dichiarato Scopelliti. Il relativo ordine del giorno, che impegna la Regione ad attivarsi finanziariamente per costruire lo scalo, è stato approvato dal Consiglio regionale all’unanimità (compresi Sel e dipietristi). Tra sviolinate reciproche, tutti d’amore e d’accordo. In vista c’è la costituzione di una società con la Provincia, la Camera di Commercio, il Comune e, magari, qualche privato smanioso di investire. Naturalmente, servirà un consiglio di amministrazione e i notabili si spartiranno le ambìte poltrone. Dicono i maligni che in cambio della munificenza di Scopelliti, Oliverio abbia caldeggiato la recente nomina di Wanda Ferro (Pdl), presidente della Provincia di Catanzaro, a vicepresidente del Parco Nazionale della Sila. Insomma, una brutta vicenda di grosse koalition alla calabrese. Con buona pace delle vere urgenze di una regione scassata. Tra le quali non rientra certo quella di costruire il quarto scalo (dopo Lamezia, Reggio e Crotone) per un territorio di appena 2 milioni di abitanti. «Prassi corretta vorrebbe che si elaborasse perlomeno uno straccio di studio di fattibilità – sottolinea Mimmo Gattuso, docente di Ingegneria dei Trasporti all’Università di Reggio – prima di lanciarsi in velleitari entusiasmi. Non è vero che l’aeroporto sia la panacea dei mali che affliggono la Sibaritide. Un’infrastruttura non equivale automaticamente a sviluppo. Basterebbe pensare per un attimo ai porti di Corigliano e Marina di Sibari, degli autentici fallimenti». E invece l’entusiasmo c’è, eccome. Fino a sfiorare il delirio. È nata persino un’associazione, “le Ali per Cosenza”, che si batte per la realizzazione del progetto. «Sibari con il suo aeroporto può diventare l’Eldorado d’Italia, grazie alle clementine e al mercato ittico» si infervora Franco Corbelli, pittoresco leader del movimento Diritti Civili. Un aeroporto per le clementine a Sibari e magari un altro in Sicilia per pachini e datterini d’esportazione… Ci sarebbe da ridere se la storia non fosse invece tremendamente seria.
A chi giova?
Chi parla dell’aeroporto di Sibari come di un’irripetibile occasione di sviluppo o è in mala fede o non ci ha capito niente. Perché dietro l’abuso della parola sviluppo in Calabria si sono consumati scempi che gridano ancor oggi vendetta: la Liquichimica di Saline Joniche, la Sir a Lamezia, la Marlane a Praia a Mare, la Pertusola di Crotone. E, ancora, la portualità diffusa che ha devastato le coste, la cementificazione delle città, l’urbanizzazione delle campagne, le discariche a go go, l’inceneritore che avvelena la Piana di Gioia Tauro, le centrali a biomasse che bruciano i boschi secolari. «Ci chiediamo cui prodest – denuncia il circolo locale del Prc a cui fanno eco Francesco Saccomanno del Forum Ambientalista, insieme a Pasquale Cersosimo e Anna De Blasi dell’associazione Palombella Rossa – e bisognerebbe sempre porsi questa domanda in Calabria dove lo pseudo sviluppo si è sempre trasformato nel quadrilatero speculazione-malapolitica-devastazione-‘ndrangheta». In effetti, di sicuro non giova alla popolazione della Sibaritide «a cui bisognerebbe fornire piuttosto una rete ferroviaria efficiente anziché annunciare la chiusura della stazione, come è stato fatto, nonché mettere in sicurezza la famigerata Statale 106. Nella culla della Magna Grecia servirebbe una sola risorsa ovvero la presa di coscienza delle ricchezze culturali, archeologiche e territoriali, per difendere i beni comuni contro le illusioni propagandistiche di una classe politica senza scrupoli». Che la vicenda puzzi di propaganda e business è lampante. «Seppure possa essere facile realizzare una pista in quanto i costi sarebbero limitati – spiega Gattuso – resterebbero comunque da verificare l’appetibilità per le compagnie di volo, l’attivo della gestione finanziaria dei servizi aeroportuali, i livelli di domanda tali da garantire che non si abbia a che fare con una cattedrale nel deserto, l’impatto benefico sull’economia regionale. Personalmente ho forti dubbi sulla consistenza di uno solo di tali requisiti. Anzi, l’impatto economico rischia di essere negativo se si determinasse per drenaggio di quote di traffico la morte dello scalo crotonese e l’arretramento di quello lametino».
Per capire ancor di più il copione della storia, basta poi affacciarsi sull’altra sponda della Calabria, a Scalea, sul Tirreno cosentino. Qui da anni sorge un’aviosuperficie costruita con soldi pubblici e adagiata nel letto del fiume Lao. Un serpentone di 2 chilometri sul quale (senza radar) sarebbero dovuti atterrare piccoli aerei da turismo. Il progetto venne approvato attraverso i Patti territoriali del Tirreno cosentino e venne presentato come «utile agli aerei della protezione civile, al trasporto merci, con 75 mila passeggeri previsti e un centinaio di posti di lavoro garantiti». A distanza di anni il fallimento è sotto gli occhi di tutti. L’opera è abbandonata, come le promesse rivelatesi vane illusioni. Scalea ieri, Sibari (forse) domani: lingue d’asfalto dove a volare son solo sprechi e malaffare. Ministro Passera, che ne pensa?
da “il manifesto”

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