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Spagna. Dall’Indignazione all’organizzazione. Il problema è il capitalismo

Un anno fa: 15 Maggio 2011. Il movimento si sviluppa e dilaga. Gli accampamenti degli “indignados” si moltiplicano a vista d’occhio dopo la prima occupazione della centralissima “Sol” a Madrid: da nord a sud assemblee, manifestazioni, iniziative invadono le strade e le piazze di tutto lo Stato. Nascono come funghi commissioni, gruppi di lavoro, coordinamenti. Si pone in marcia una intensa mobilitazione contro il sistema politico ed economico del capitalismo in crisi. Iniziative simili si organizzano anche nel resto dei paesi dell’UE e in particolare nei famosi PIIGS dove migliaia di persone solidarizzano con il movimento conosciuto in Spagna come 15M (15 Maggio, giorno della prima mobilitazione).

Dopo i primi mesi, lo Stato decide di fare un salto di qualità in termini repressivi: il pericolo della radicalizzazione, della continuità del movimento a livello internazionale, la continua nascita di nuove “acampadas” in tutto lo Stato iniziano a preoccupare sul serio. Iniziano i primi sgomberi degli accampamenti, piovono arresti e denunce. Il movimento comprende che questo modello di mobilitazione e visibilità non può essere più mantenuto ed è necessario allo stesso tempo fare un salto di qualità articolando il movimento in forma decentrata, organizzando assemblee di quartiere, sui posti di lavoro, in scuole ed università.

Inizia un nuovo lavoro politico che dovrà confrontarsi con le contraddizioni specifiche dei territori, portando con se tutto il lavoro politico maturato nei mesi precedenti, nel tentativo di moltiplicare la capacità di accumulazione di forze e di creazione di ambiti politici di mobilitazione.

La Grecia continua a bruciare, si organizzano scioperi generali in Portogallo e in Italia: i governi di tutti i colori, di fronte alla crisi – ma soprattutto di fronte alla debolezza della classe a causa del suo impoverimento economico e alla sua debolezza politica -, colgono l’occasione per dare un’enorme spinta al processo che da anni portano avanti: la distruzione delle garanzie della classe lavoratrice a favore del processo di accumulazione del Capitale, attraverso lo svuotamento delle garanzie proprie del contratto a tempo indeterminato, un attacco al salario da tutti i punti di vista (diretto, indiritto e differito) attraverso le riforme del mercato del lavoro, della sanità, dell’istruzione, dei servizi sociali in generale e delle pensioni. L’obiettivo: incrementare a dismisura la capacità d’estrazione di pluvalore relativo ed assoluto per tentare di rilanciare, dopo l’esplosione della bolla speculativa dei mercati finanziari, l’accumulazione capitalista nella economia reale.

Ovviamente, anche nello Stato spagnolo questo processo viene portato avanti a pieno ritmo tanto dai governi del PSOE come da quelli del PP negli ultimi anni. Dopo l’inserimento della “parità di bilancio” dello Stato all’interno della Costituzione del 1978, il 15 di Ottobre (15-O) il movimento 15M lancia una nuova chiamata internazionale alla quale rispondono in molti tanto in Europa come al di là dell’Oceano Atalantico: iniziano a moltiplicarsi i movimenti “Occupy” negli Stati Uniti, in particolare a New York e Oakland. Una nuova ondata di movimento dimostra che la mobilitazione non si è ancora conclusa e che coloro che consideravano il movimento 15M come un “fiore che dura un giorno solo” si sbagliavano. Al contrario: l’esempio degli indignados è stato ripreso in molte capitali del mondo, ognuna articolandolo e adattandolo alla propria specificità.

In tutto lo Stato spagnolo nascono nuove assemblee di quartiere, mentre altre si rafforzano, coscienti che è necessario fare un salto di qualità politico tentando di sviluppare un ragionamento che superi le posizioni di compatibilità con il sistema capitalistico che, ancora oggi in buona parte, egemonizzano il movimento 15-M.

Il 20 di Novembre (20-N) in Spagna si organizzano le elezioni a livello statale. Le urne danno la vittoria al PP. Il sistema dell’alternanza partitica, che garantisce la continuità delle riforme antiproletarie, consegna al partito di Mariano Rajoy la responsabilità di proseguire il lavoro già avviato dal precedente governo del PSOE: portare a maturazione, in perfetta linea con le direttive europee e la “nuova” BCE di Mario Draghi, il processo di riorganizzazione del sistema produttivo e finanziario. A colpi di decreti reali, come un rullo compressore, si approvano decine di “riforme” che tentano di calmare i tentativi speculativi e far si che la Spagna si presenti agli occhi dei mercati internazionali come un paese con nuove opportunità per il Capitale di valorizzarsi.

Nel marzo di quest’anno si organizza un nuovo sciopero generale di 24 ore contro la riforma del mercato del lavoro e contro le misure “anticrisi”, a distanza di sei mesi dalle elezioni e a un anno e mezzo dall’ultimo sciopero generale (per approfondimenti si veda anche l’articolo “29-M: quando la classe operaia spagnola si ferma per lottare e difendere i propri diritti”, presente su vari siti di movimento). Una mobilitazione enorme che blocca interi settori produttivi, con manifestazioni oceaniche, che però non raggiunge l’obiettivo di bloccare gli attacchi del nuovo governo.

Mentre si susseguono, con la giustificazione del risanamento del deficit come motivazione principale, feroci tagli ai servizi sociali, riduzioni salariali e dei diritti degli impiegati pubblici, il sistema finanziario spagnolo continua a perdere colpi sul mercato internazionale: il FMI, il BCE e le agenzie di rating iniziano a puntare il dito sulle banche spagnole. Le stesse che in questi ultimi anni hanno accumulato enormi profitti grazie alla speculazione finanziaria, adesso si trovano in una situazione gravissima: i famosi titoli “tossici” (sprattutto immobiliari) rappresentano ormai una parte troppo importante degli investimenti dei colossi bancari spagnoli come SANTANDER, BBVA, CAIXABANK ed in particolare di BANKIA (capitanata dal CAJA MADRID). Lo Stato nuovamente interviene per salvare il settore con l’iniezione di milioni di Euro di denaro pubblico per l’acquisto dei titoli “tossici”: nuovamente si socializzano le perdite mentre i precedenti profitti accumulati rimangono nelle “tasche” del Capitale. Come giustamente afferma Giulio Palermo nel suo scritto “Riformismo e Anticapitalismo nel movimento No-Debito”: “…il ruolo dello Stato nell’economia non è affatto cambiato in questi ultimi anni. Il dato nuovo è invece un altro: se oggi tutti chiedono urgentemente il pagamento del debito pubblico è perchè se lo Stato non paga, le banche falliscono. Per questo si devono salvare gli Stati: per salvare le banche.”

Dopo un primo Maggio dove ancora una volta scendono in piazza centinaia di migliaia di persone contro i tagli e le misure anticrisi, si continua ad avere di fronte il problema di come gestire una risposta politica complessiva all’enorme attacco che la classe subisce. Centinaia sono le iniziative, le mobilitazioni e gli scioperi settoriali che si sono organizzati per tentare di strutturare questa risposta.

12Maggio-15Maggio (12M-15M) 2012: è passato un anno da quando migliaia di persone sono scese in piazza e hanno iniziato ad accamparsi nei luoghi centrali delle grandi città dello Stato spagnolo. Finalmente una nuova ondata di movimento tenta di dare forma al rifiuto di un sistema in piena crisi strutturale. Una crisi che ha portato con se miseria e disoccupazione a tutti i livelli e che ha colpito in maniera devastante la classe lavoratrice, distruggendone diritti e garanzie.

Il movimento 15-M dopo un anno continua a contribuire a questo processo collettivo di accumulazione di forze e di sviluppo dell’organizzazione: per ricordare la nascita del movimento e fare il punto della situazione si promuovono una quattro giornate in tutto lo Stato. Collettivi politici, sindacati di base, collettivi studenteschi, assemblee di quartiere, associazioni di vicini e culturali partecipano e contribuiscono all’organizzazione della mobilitazione, mentre i sindacati concertativi CCOO e UGT, nonostante comunicati formali di appoggio alle iniziative, si tengono del tutto al margine contribuendo in poco o in niente alla riuscita dell’evento.

Il primo momento sarà il 12 Maggio in cui in più di 80 città si organizzano manifestazioni e mobilitazioni di vario tipo. Si organizzano mobilitazioni anche ad Atene, Roma, Lisbona, Francoforte, Parigi, Londra e New York con il movimento “Occupy Wall Sreet”. La risposta è enorme ed articolata: a Madrid si organizzano 4 “colonne” dai punti cardinali della periferia della città che marceranno fino ad arrivare alla “Puerta Sol” nel centro cittadino. La piazza sarà incapace di contenere le decine di migliaia di persone che hanno deciso di scendere in strada. Il permesso concedeva ai manifestanti di rimanere nella piazza fino alle 22 della sera, ma la concentrazione ha sfidato l’autorizzazione rimanendo fino alle 5 del mattino, momento in cui, visto il numero ridotto di persone che avevano deciso di tentare una nuova “acampada” e la chiara volontà del governo locale e nazionale di non permettere un nuovo pericoloso precedente emulabile da parte delle altre piazze indignate, la polizia ha sgomberato la zona. Nuove denunce, nuovi fermi, sempre la stessa violenza: ancora una volta decine di persone denunciano non solo la brutalità della polizia ma anche l’uso della violenza all’interno dei commisariati dopo i fermi. Questo scenario si ripeterà tutti i giorni fino al 15, giorno dell’assemblea generale a “Sol” e in tutte le piazze dello Stato.

Cosí anche nella capitale catalana dove più di 20 mila persone hanno percorso le strade della città per arrivare nella centralissima piazza Catalunya.

A Valencia, protagonista nei passati mesi di grandi manifestazioni studentesche contro le riforme europee di scuola ed università tutte represse con violenza, arresti e denunce, si è registrata la partecipazione di altrettante persone.

In Galicia sono scesi in migliaia in piazza con le manifestazioni di Vigo e Oviedo. Lo striscione di apertura della mobilitazione di quest’ultima città non lascia spazi a dubbi sul nuovo salto di qualità del movimento galego: “Non è la crisi, è il capitalismo”. Anche in Castilla la Mancha, Extremadura e Andalucia la riposta è stata importante: in quest’ultima a Sevilla e Malaga hanno sfilato più di 15 mila persone, mentre a Córdoba circa 4 mila persone hanno percorso le strade del centro cittadino. Il messaggio è chiaro: “Contro gli attacchi alle nostre libertà e i nostri diritti, dall’indignazione all’organizzazione”. A Granada la repressione ha colpito i compagni che erano riuniti pacificamente in assemblea arrestando due militanti, rilasciati poco dopo senza nessuna denuncia.

La valutazione di questa quattro giornate è sicuramente positiva, perchè dimostra che continua un forte processo di accumulazione di forze – processo che la nascita del movimento 15-M ha sicuramente favorito in tutti i suoi aspetti -. È vero anche però che questo movimento ancora non può rappresentare la soluzione ultima di questo processo. Il 15-M ha dimostrato e fatto emergere la necessità di una risposta politica complessiva alla crisi a livello statale, ha espresso la volontà di cambio di una società devastata dalla ingordigia del Capitale e dei suoi rappresentanti istituzionali. Ma come movimento nato dall’indignazione e dallo spontaneismo non poteva che strutturarsi, alla sua nascita, su basi ideologiche dominanti, riformiste e piccolo borghesi, basi perfino appoggiate inizialmente dalla socialdemocrazia e dalla sinistra istituzionale (inclusi i sindacati concertativi, CCOO e UGT) con l’intento di controllarlo e svilupparlo a suo favore. Dopo un anno di assemblee, iniziative e mobilitazioni il movimento è sicuramente maturato, le realtà e i collettivi politici preesistenti, i sindacati di base, i lavoratori e gli studenti che si sono avvicinati col tempo hanno contribuito molto allo sviluppo di una linea di classe in alcune delle sue componenti. Una linea che stenta però a essere egemonica a livello dell’intero movimento. La risposta internazionale di solidarietà nei confronti del 15M rappresenta un altro elemento interessante che sottolinea ancora una volta la necessità di un coordinamento che fuoriesca dai confini nazionali. Le contraddizioni a livello europeo, i commissariamenti di interi paesi (come la Grecia), le misure sul deficit in tutti i paesi membri, le ristrutturazioni in tutti i settori produttivi e del sistema finanziario – in due parole la crisi capitalista a livello internazionale -, ci dimostra ancora una volta e in forma ancor più evidente di come gli interessi di classe da difendere sono gli stessi. Nonostante le contraddizioni abbiano raggiunto un tale livello, ancora ci risulta difficile iniziare a tessere rapporti stabili tra i movimenti e le organizzazioni, a sviluppare un dibattito politico di classe che sappia accumunare e organizzare lotte comuni in tutti gli stati, rispondere politicamente alle misure repressive della borghesia. Sviluppare il discorso di classe all’interno del movimento, costruire e tessere connessioni con altre realtà che lavorano politicamente nella stessa direzione, senza dimenticare l’essenziale lavoro quotidiano nella classe sui territori, rappresenta ancora una sfida fondamentale con cui confrontarsi e necessaria per lo sviluppo di un maturo movimento rivoluzionario a tutti i livelli, a partire da quello europeo. 

Maggio 2012,

* corrispondente dalla Spagna per Contropiano online

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