Menu

“Il valore d’uso di uno spazio vuoto è incommensurabile”

Analizzando il termine “valorizzazione” e la sua declinazione più di moda, si incontra subito la rendita immobiliare con i suoi insani appetiti e la sua vocazione al consumo permanente di suolo, di aria e di vite. Con questo termine le amministrazioni locali stanno mettendo sul mercato tutto ciò che gli possa consentire di fare cassa, o quanto meno di scrivere in bilancio un’entrata in più proveniente dalle dismissioni e dalle privatizzazioni. Di fatto il territorio viene messo a valore e con esso le nostre vite, la nostra qualità della vita. Ci piace dire che la nostra precarietà è tanto più grande quanto più città disegnata dal profitto avanza.

Questo dato ce lo conferma anche l’Istat. Oramai in Italia una regione dell’ampiezza dell’Emilia Romagna risulta impermeabilizzata, questo vuol dire che il cemento usato ha prodotto un danno ambientale rilevante e non solo, nelle zone più altamente cementificate la disoccupazione ha raggiunto picchi superiori alle restanti aree meno consumate. Questo vuol dire che la messa a valore dei territori attraverso il mattone, le grandi opere, i centri commerciali, le residenze private, non producono ricchezza e benessere bensì precarietà e disagio sociale.

Proprio i centri commerciali ci dimostrano questo. Salutati come nuove piazze di nuovi insediamenti, ora ci appaiono per quelli che sono, degli incubatori di lavoro precario e produttori di una socialità effimera ed artificiale, votata al consumismo e spesso causa di frustrazione giovanile verso il prodotto agognato ed economicamente non raggiungibile. I riots di Londra ci hanno raccontato un po’ di queste storie.

La metropoli dunque si trasforma e si rende appetibile. Costruisce eventi ed infrastrutture, lucida vetrine. Dentro questo modulo di lavoro i poteri forti legati alla speculazione immobiliare stanno a meraviglia dentro la crisi e si preparano una via d’uscita da gestire anche socialmente. Nuovo lavoro nell’edilizia e nell’intero comparto legato alle edificazioni, facendo felici anche quei sindacati che plaudono e manifestano con gli imprenditori edili o firmano accordi capestro per l’inquilinato degli enti pubblici privatizzati in dismissione. Una vera associazione a delinquere in difesa degli interessi di pochi e a danno di milioni di abitanti.

In questo senso si sviluppano progetti “antidegrado” come quello del risanamento di Torbellamonaca o l’avveniristico Waterfront di Ostia e della Cristoforo Colombo. Su questi progetti ancora sulla carta già girano milioni di euro tra consulenze e dettagli urbanistici, euro che potrebbero essere utilizzati per affrontare il disagio di ceti sociali sempre più larghi che in questa città faticano ad abitare la crisi. Ora in programma ci sono “Gli Stati generali del sociale e della famiglia”, si parla del 26 e 27 giugno, e tramite questa operazione si vuole bissare l’evento degli “Stati generali della città” costati un bel po’ di euro e che dovevano rappresentare il lancio delle Olimpiadi di Roma. Sappiamo tutti e tutte come è finita la storia e il timore forte che la cosa si ripeta c’è tutto. Intanto però questi eventi sono parte di quella “valorizzazione” di cui sopra e per sostenerli sono disponibili sempre parecchi denari.

Per cui anche l’evento che non produce risultati ha la sua funzione/vetrina e produce comunque movimento di soldi e sviluppa rapporti “globalizzati”.

Rifiutare questa logica dal punto di vista formale può avere il suo senso, ma probabilmente non incide. Secondo noi solo la riappropriazione dei beni comuni, dei territori, del reddito diretto e indiretto, può produrre un’inversione di rotta. Inserendosi nell’ingranaggio della valorizzazione si può far saltare il meccanismo e le buone pratiche in questo senso non mancano. Affermare il diritto alla casa nell’accezione più generale dell’abitare è uno dei passaggi che ha consentito ad un movimento come il nostro e ad altri di affrontare il tema della precarietà di vita, di come questa confligge con la rendita, di quanto sia migliore la nostra esistenza occupando un alloggio piuttosto che accettare il ricatto di un mercato immobiliare gestito da delinquenti, di come sia più interessante produrre cultura, socialità e saperi dentro spazi destinati alla speculazione immobiliare, di quanto sia interessante sviluppare complicità dentro la città meticcia.

La messa a valore capitalistica, liberista, ha bisogno di sviluppare anche strumenti di controllo. Senza la cosiddetta “sicurezza” le città possono sfuggire di mano e i territori produrre incubi. Per cui le amministrazioni gestiscono di pari passo recinti e paure, provano ad amplificare il tutto per poi passare all’incasso, alfine di produrre meccanismi autoritari che consentano le trasformazioni utili alla rendita e al mantenimento delle posizioni acquisite.

Anche la legislazione si adegua alle necessità di cui parliamo. I neonati “piani casa regionali” non sono altro che strumenti edificatori che basandosi sulla liberalizzazione delle procedure urbanistiche e definendo premi di cubatura e cambi di destinazione d’uso come merce di contrattazione per oneri concessori legati al consumo di suolo pubblico e privato, mettono a valore spazi anche di pregio o destinati a verde, oltre a costruzioni dismesse precedentemente. Questa deregolamentazione produce devastazioni e saccheggio legalizzato e monetizzato bene.

Chiamare “piano casa” questi impianti legislativi è un vero insulto. Eppure con più o meno gravi articolazioni sia il centrodestra che il centrosinistra vanno d’accordo sulle declinazioni portate avanti. D’altra parte è il governo Monti che detta la linea su vendite e valorizzazioni, privatizzazioni e facilitazioni procedurali. Senza disdegnare regali importanti alle imprese esonerate dal pagamento dell’IMU per almeno tre anni.

Le pratiche di contrasto al meccanismo che riduce i territori a merce non possono quindi essere convenzionali. Affermare sovranità sul suolo attraverso le pratiche di riappropriazione, come avviene in Val di Susa o sulla questione dei rifiuti, ci racconta qualcosa di più della difesa del giardino di casa propria. Ci dice che la qualità della vita e della difesa della dignità, dei redditi, dei diritti, non è staccato dal luogo che si abita e che vogliono trasformarci sotto i piedi. Il game over a questo modello di sviluppo va dato ora, altrimenti sono le nostre vite che diventano merce ed è il nostro presente ad essere modificato, modellato, piegato. Il conflitto quindi affronta il tema del regime proprietario suoi suoli e sulle sue aberrazioni e ne può uscire vincitore se non molla quei centimetri, quegli ettari sottratti alla rendita e che vanno destinati ad una ripubblicizzazione “forzata”. La nuova città si rifonda riusandola e non immaginando nuove cubature, densificazioni o messa a valore di aree dormienti. Da oggi uno spazio vuoto deve essere un valore in se e non uno strumento di scambio, di compensazione, pronto ad ospitare nuovo cemento. Il valore d’uso di uno spazio vuoto è incommensurabile e ci fa respirare. Ce lo vogliamo tenere così mentre usiamo la città costruita.

* Blocchi Precari Metropolitani

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *